L’onore perduto di Amnesty che accusa Israele di apartheid. La copertina di Bet Magazine di marzo

Mondo

di Paolo Castellano e Ester Moscati

Disonore su Amnesty International: da tempo l’associazione non coltiva più solamente il nobile scopo di liberare prigionieri politici. In un rèport dichiara che Israele tiene i palestinesi in regime di apartheid. E anche altre ONG, apparentemente super partes, propalano contro Israele una narrazione a senso unico, in cui le responsabilità arabe e il terrorismo palestinese sono ignorati. Le reazioni israeliane sembrano così il frutto di una “violenza inspiegabile”. Una lettura a senso unico. «È antisemitismo», la replica di Gerusalemme. Ma la macchina del fango coinvolge anche Save the Children, Action Aid, Terres des Hommes … che accusano lo Stato ebraico di ogni male.

 

Esawi Frej ha 58 anni, è un membro del Governo israeliano, ricopre il ruolo di ministro della Cooperazione regionale ed è un arabo musulmano che ha studiato economia all’università di Gerusalemme. È il secondo ministro arabo di un governo israeliano dopo il laburista Raleb Majadele, in carica dal 2007 al 2009 come ministro della Scienza, della Cultura e dello Sport. Hamad Amar è il ministro israeliano delle Finanze ed è druso. Sono 14 i deputati arabi oggi alla Knesset, tra i quali 4 donne; una presenza che si è registrata sin dal primo Parlamento, nel 1949. Salim Joubran è invece un magistrato israeliano, membro permanente della Corte suprema di Israele, dove è entrato nel 2003. Ha fatto parte del Collegio di giudici che ha confermato la condanna per abusi sessuali del presidente israeliano Moshe Katsav. Anche lui è un arabo musulmano e non è certo l’unico caso nella magistratura.

Ma non c’è solo la politica e la giustizia nell’orizzonte degli arabi israeliani e delle altre minoranze nello Stato ebraico. Rana Raslan, araba di Haifa, è stata eletta Miss Israele e nella prima intervista ha dichiarato: «Spero di rappresentare nel migliore dei modi Israele; non ha alcuna importanza se io sia araba o ebrea. Dobbiamo provare al mondo che siamo in grado di vivere bene insieme».

Sono solo alcuni esempi di una realtà che vede integrazione, parità di diritti e opportunità nello Stato d’Israele: negli ospedali, il 35 per cento dei medici e il 25 per cento degli infermieri sono arabi, una percentuale superiore a quella demografica, essendo arabo “solo” il 20 per cento della popolazione. È questo uno scenario che fa pensare a uno Stato in cui vige l’apartheid? Fa pensare alla segregazione razziale, da cui viene mutuato il termine, in vigore in Sud Africa dal 1948 al 1991, dove per i neri non c’erano diritti né integrazione, né libertà di studiare ciò che preferivano?

Gli arabi in Israele sono davvero come la popolazione nera cui venne negata la cittadinanza? Davvero? Così è per Amnesty International, l’organizzazione per i diritti umani che il 1° febbraio ha pubblicato un’inchiesta di quasi 300 pagine in cui accusa Israele di compiere un’apartheid sul popolo palestinese. In risposta, il governo israeliano ha bollato come false, parziali e antisemite le affermazioni contenute nel documento. Infatti, tra le pagine del report di Amnesty si può leggere che lo Stato ebraico ha compiuto “atti inumani o disumani di trasferimento forzato, detenzione amministrativa, tortura, uccisioni illegali e gravi ferite, e la negazione dei diritti e delle libertà fondamentali”, perseguitando la popolazione palestinese e creando “un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e di dominio sui palestinesi”. “Amnesty International conclude che lo Stato di Israele considera e tratta i palestinesi come una gruppo razziale non ebraico inferiore”, hanno scritto gli attivisti dell’organizzazione internazionale.

Tra l’altro, la pubblicazione sostiene che, sin dalla sua fondazione nel 1948, Israele ha perseguito una “esplicita politica nello stabilire e mantenere l’egemonia di un gruppo demografico ebraico” per massimizzare il suo “controllo sulla terra a beneficio degli ebrei israeliani”. È la prima volta che Amnesty usa ufficialmente il termine apartheid a sostegno dell’accusa di privare i palestinesi dei diritti fondamentali. E lo fa 390 volte in un rapporto.

La risposta di Yoseph Haddad, arabo-israeliano, attivista per i diritti «In quanto arabo israeliano cresciuto a Nazareth, il recente rapporto di Amnesty International cerca di distorcere la mia identità». È quanto scrive in un editoriale sul Jerusalem Post Yoseph Haddad, arabo-israeliano, attivista per i diritti, riguardo al report in cui Amnesty International definisce Israele uno Stato di apartheid. «Il documento fa costantemente riferimento a un’apartheid contro i ‘cittadini palestinesi di Israele’, senza fare distinzione tra arabi israeliani e palestinesi – continua Haddad -. I palestinesi vivono sotto il controllo dell’Autorità Palestinese in Cisgiordania o sotto il controllo del gruppo terroristico Hamas a Gaza. E gli arabi israeliani come me? Viviamo sotto il governo democraticamente eletto di Israele, con uguali diritti, come qualsiasi cittadino ebreo. Sono nato israeliano e rimarrò israeliano. Ho esattamente gli stessi diritti di qualsiasi cittadino di Israele. Sono stato un soldato delle forze di difesa israeliane che proteggevano il nord di Israele, dove vive la maggior parte della comunità arabo-israeliana, dagli attacchi terroristici di Hezbollah. Non solo, ma ero anche comandante di dozzine di soldati ebrei. Che tipo di ‘apartheid’ permetterebbe agli arabi di dare ordini agli ebrei? Un tipo che non esiste».

«Il rapporto di Amnesty include numerose falsità e incidenti che si adattano alla sua narrativa per delegittimare Israele – continua Haddad -. Ad esempio, Amnesty menziona ripetutamente la segregazione fisica tra arabi ed ebrei. I loro ‘ricercatori’ dovrebbero visitare un ospedale israeliano dove una donna araba musulmana può ricevere le migliori cure da un medico ebreo, o un bambino ebreo ultra-ortodosso può essere curato da un medico arabo. Nella nostra comunità arabo-israeliana, la maggioranza dei cittadini vuole vivere in pace con gli ebrei. Molti vogliono essere, e lo sono già, parte integrante della società israeliana. Invece di promuovere la cooperazione e una visione per un futuro migliore, organizzazioni come Amnesty International delegittimano l’unico Stato democratico del Medio Oriente, cercando di etichettarlo come uno stato di ‘apartheid’».

Le reazioni israeliane al rapporto di Amnesty International

Immediate le reazioni del Ministro degli esteri israeliano Yair Lapid. «Amnesty era una volta un’organizzazione stimata che tutti rispettavamo – ha dichiarato in una nota. – Oggi è l’esatto opposto. Invece di cercare fatti, Amnesty cita bugie diffuse da organizzazioni terroristiche», ha detto. «Israele non è perfetto, ma è una democrazia impegnata nel diritto internazionale e aperta al controllo». Come riporta The Times of Israel, Lapid ha anche accusato Amnesty di antisemitismo. «Odio usare l’argomento secondo cui se Israele non fosse uno Stato ebraico, nessuno in Amnesty oserebbe opporsi, ma in questo caso non ci sono altre possibilità», ha sottolineato. Il ministero degli Esteri ha affermato che Israele rifiuta assolutamente tutte le «false accuse che compaiono nel rapporto di Amnesty, che consolida e ricicla bugie, incongruenze e affermazioni infondate che provengono da note organizzazioni di odio anti israeliane», ha affermato. «Ripetere più e più volte le stesse bugie delle organizzazioni di odio non rende le bugie realtà, ma piuttosto rende illegittima Amnesty». Anche altre organizzazioni ebraiche e israeliane hanno criticato fortemente il rapporto.

Il presidente del Congresso ebraico mondiale Ronald S. Lauder lo ha definito un «rapporto unilaterale e palesemente politicizzato che ignora totalmente sia gli atti terroristici palestinesi sia l’obbligo di Israele di difendere i suoi cittadini da tale terrorismo». L’International Legal Forum, un gruppo filo-israeliano, ha affermato che il rapporto «equivale a una calunnia del sangue contro lo Stato ebraico e merita di essere gettato nella pattumiera della storia antisemita». «Una bugia detta mille volte è ancora una bugia», continua la dichiarazione dell’ILF. «Forse Amnesty International, che è stata assediata da accuse di razzismo istituzionalizzato, farebbe meglio a rimettere in ordine in casa propria, prima di tenere conferenze in Israele».

La Germania difende Israele contro il rapporto di Amnesty

Anche il governo tedesco e diversi membri del parlamento del Paese, in note diffuse il 3 febbraio, hanno reagito al rapporto di Amnesty. Il portavoce del ministero degli Esteri Christopher Burger ha affermato che Berlino «rifiuta termini come apartheid e il focus unilaterale su Israele». Tali calunnie «non sono utili per una soluzione al conflitto in Medio Oriente», ha aggiunto. Ha anche osservato che, sullo sfondo del crescente antisemitismo in Germania e altrove in Europa, «chiunque si batta per i diritti umani ha la responsabilità di non incoraggiarlo». Oltre alla condanna del governo tedesco, diversi membri del Bundestag, il Parlamento federale, hanno espresso pesanti critiche e hanno accusato Amnesty International di alimentare le fiamme dell’antisemitismo. La Germania, però, non è il solo Stato ad avere criticato apertamente il report di Amnesty: l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele ha infatti definito l’accusa di Amnesty “assurda”.

Diverse ONG sono contro Israele: il caso di Save the Children

Non solo Amnesty International. Nell’ottobre 2021, Israele ha messo al bando alcune organizzazioni palestinesi per i loro legami con gruppi terroristici. Ma nella galassia delle ONG politicamente schierate contro lo Stato ebraico, le ragioni di Israele non vengono nemmeno valutate e prese in considerazione. Questo è il caso di Save the Children, la cui mission dichiarata è: “Noi vogliamo che ogni bambina e ogni bambino abbia un futuro. Lavoriamo ogni giorno con passione, determinazione e professionalità in Italia e nel resto del mondo per dare alle bambine e ai bambini l’opportunità di crescere sani, ricevere un’educazione ed essere protetti”. Tra questi bambini non figurano evidentemente i bambini israeliani vittime del terrorismo palestinese, visto quello che si legge nel sito di Save the Children a proposito della decisione israeliana: “Sei importanti organizzazioni palestinesi per i diritti umani con la sede in Cisgiordania sono state dichiarate fuori legge da Israele. L’ordine è stato rilasciato con effetto immediato e consente la chiusura degli uffici, gli arresti e le deportazioni. (notare l’uso del termine “deportazioni”, ndr). Questa notizia arriva dopo che una sentenza del 19 ottobre aveva designato queste organizzazioni come ‘terroristiche’ e vietava le loro attività all’interno di Israele. Il governo israeliano ha affermato che esse avevano legami con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), un gruppo considerato terroristico dall’UE, da Israele e dagli Stati Uniti. Riteniamo che queste accuse infondate – continua Save the Children – delegittimino, interrompano e ostacolino il lavoro di queste Organizzazioni, compromettendo i diritti dei bambini palestinesi”. Quali informazioni e prove ha Save the Children per dichiarare “infondate” le accuse di Israele? Perché nel loro sito Cisgiordania e Gaza vengono definiti “Territori Palestinesi Occupati” anche se Israele ha lasciato Gaza nel 2005 e per diverse aree della Cisgiordania l’amministrazione è in capo alla ANP? Bassem Eid, un attivista palestinese che vive a Gerico e ha una lunga carriera nella difesa dei diritti umani, in un articolo ripreso da Israele.net ha dichiarato invece: «Il Ministero della Difesa israeliano ha rivelato che sei ONG palestinesi sono complici del terrorismo. Era ora. Questi sei gruppi di facciata intrattengono profondi legami con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp), un gruppo estremista che non ha mai esitato a uccidere e mutilare innocenti in nome della sua ideologia fanatica. Da decenni queste organizzazioni indirizzano denaro dai loro conti alle casse di terroristi i cui attentati hanno causato la morte di innumerevoli ebrei, musulmani e cristiani. La decisione di Israele di denunciarli pubblicamente contribuirà a garantire la sicurezza pubblica e ad assicurare che il denaro degli aiuti internazionali fluisca solo verso enti umanitari autentici e legittimi. I gruppi Addameer, Al Haq, Defense for Children International-Palestine, Union of Agricultural Work Committees, Bissan Research Center e Union of Palestinian Womens Committees hanno tutti aiutato e favorito il Fplp. Queste sei ONG condividono personale e risorse con lo spietato gruppo terroristico e ne sostengono, direttamente o indirettamente, le attività illegali attraverso il riciclaggio di denaro. La decisione israeliana nei loro confronti non dovrebbe sorprendere nessuno. Parecchie di queste organizzazioni sono già state oggetto di controlli e denunce da parte della comunità internazionale a diversi livelli. Si dà il caso che quando si rubano fondi degli aiuti internazionali e li si incanala verso il terrorismo, si tende prima o poi ad essere scoperti».

Emergency: niente equidistanza ma …

In occasione della escalation militare scatenata dal lancio di migliaia di missili palestinesi da Gaza contro Israele, nel maggio 2021, sul sito di Emergency si leggeva: “Il conflitto israelo-palestinese è ormai la storia angosciante di un circolo vizioso di violenza e negazione di diritti: l’embargo e la segregazione in cui vivono da anni i palestinesi e la militarizzazione estrema di Israele si autoalimentano a vicenda senza fine”. È un altro esempio di come sia evidente, anche da parte di questa ONG, la mancanza di obiettività ed equidistanza nel conflitto arabo-israeliano. D’altra parte, però, in una intervista al Corriere della Sera nel gennaio 2019, lo stesso Gino Strada, fondatore di Emergency,dichiarò che “Coi palestinesi ci ho provato, un ospedale a Ramallah. Andai dal ministro. Mi disse: ‘Ma voi avete 5 milioni da spendere? Sa, un posto letto vale 100mila dollari’. ‘Arrivederci…’ Ho sempre pensato che una parte d’aiuti alla Palestina finisca altrove”.

Le posizioni di Terre des Hommes, Medici senza Frontiere, Action Aid

Altre ONG “politicamente corrette” e in apparenza super partes, portano avanti la stessa narrazione del conflitto arabo-israeliano, in cui tutti i torti stanno solo dalla parte di Israele. Terre des Hommes, per esempio, definisce Gaza “prigione a cielo aperto, sottoposta da anni ai bombardamenti israeliani, ad un blocco feroce che impedisce l’ingresso dei generi di prima necessità, a misure restrittive di ogni tipo che, giorno dopo giorno, la privano dei mezzi di sussistenza…”, ignorando totalmente le forniture di acqua ed energia, cibo e medicinali che attraversano quotidianamente il valico di Eretz tra Israele e Gaza. E ancora, Medici senza Frontiere scriveva sul proprio sito, durante la guerra del maggio 2021: “Mentre Israele continua i suoi bombardamenti su Gaza, molti membri del nostro personale, così come i pazienti assistiti, sono stati costretti a fuggire dalle loro case per sicurezza. I danni arrecati alla clinica dimostrano come nessun posto sia sicuro a Gaza. Di fronte al crescente numero di feriti e sfollati, ulteriori aiuti umanitari e rifornimenti non possono tardare ad entrare a Gaza”. Non una parola sul fatto che Hamas ha scatenato la guerra con un massiccio attacco missilistico e che ha usato gli ospedali e le scuole come rampe di lancio per i missili contro Israele. Medici senza Frontiere finge di ignorare anche il fatto che numerose morti civili palestinesi, soprattutto bambini, sono da addebitarsi al loro uso come scudi umani da parte di Hamas. Anche la ONG Action Aid, che si occupa di adozioni a distanza, ha una propria “lettura” del conflitto israelo-palestinese: “Nel giugno 1967 Israele ha occupato la Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est; aree conosciute oggi come territori palestinesi occupati. L’occupazione è stata condannata dalla comunità internazionale e a Israele è stato chiesto il ritiro dalle aree occupate (Risoluzione 242 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e molte altre che sono seguite). Dopo mezzo secolo la Palestina è ancora occupata”. Non una parola sulle guerre scatenate contro Israele dagli Stati arabi, né sul terrorismo contro civili israeliani, tra cui moltissimi bambini. Insomma, una narrazione costantemente, insopportabilmente, a senso unico.