Amnesty accusa Israele di apartheid. La Germania condanna: “Così si incoraggia l’antisemitismo”

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di Paolo Castellano
Continua a suscitare forti polemiche il report in cui Amnesty International accusa Israele di compiere un’apartheid sul popolo palestinese, la cui pubblicazione è stata annunciata lunedì 31 gennaio.

È di oggi, giovedì 3 febbraio, la notizia che il governo tedesco e diversi membri del parlamento del paese hanno reagito con rabbia al rapporto di Amnesty. Come riporta The Times of Israel, il portavoce del ministero degli Esteri Christopher Burger ha affermato che Berlino “rifiuta termini come l’apartheid e un focus unilaterale su Israele”.

Tali calunnie “non sono utili per una soluzione al conflitto in Medio Oriente”, ha aggiunto. Ha anche osservato che, sullo sfondo del crescente antisemitismo in Germania e altrove in Europa, “chiunque si batta per i diritti umani ha la responsabilità di non incoraggiarlo“.

Oltre alla condanna del governo tedesco del rapporto sull’amnistia, diversi membri del Bundestag, il parlamento federale, hanno espresso pesanti critiche, con alcuni che hanno accusato il gruppo per i diritti umani di alimentare le fiamme dell’antisemitismo.

La Germania, però, non è il solo Stato ad avere criticato apertamente il report di Amnesty: l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele martedì 1 febbraio ha infatti definito l’accusa di Amnesty “assurda“.

Il report: “Israele compie atti inumani”

Il primo febbraio, l’organizzazione per i diritti umani ha pubblicato un’inchiesta di 300 pagine in cui accusa Israele di compiere un’apartheid sul popolo palestinese. In risposta, il governo israeliano ha bollato come false, parziali e antisemite le affermazioni contenute nel documento.

Infatti, tra le pagine del report di Amnesty si può leggere che lo Stato ebraico ha compiuto “atti inumani o disumani di trasferimento forzato, detenzione amministrativa, tortura, uccisioni illegali e gravi ferite, e la negazione dei diritti e delle libertà fondamentali”, perseguitando la popolazione palestinese e creando “un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e di dominio sui palestinesi”. Lo riporta CNN.

«Amnesty International conclude che lo Stato di Israele considera e tratta i palestinesi come un gruppo razziale non ebraico inferiore», hanno scritto gli attivisti dell’organizzazione internazionale.

Tra l’altro, la pubblicazione sostiene che, sin dalla sua fondazione nel 1948, Israele  ha perseguito una “esplicita politica nello stabilire e mantenere l’egemonia di un gruppo demografico ebraico” per massimizzare il suo “controllo sulla terra a beneficio degli ebrei israeliani”.

Un fatto grave se si pensa che, come sottolineato da La Stampa, è “la prima volta che Amnesty usa ufficialmente il termine apartheid a sostegno dell’accusa di privare i palestinesi dei diritti fondamentali. E lo fa 390 volte in un rapporto”.

La reazione del governo israeliano

Immediate le reazioni del Ministro degli esteri israeliano Yair Lapid. «Amnesty era una volta un’organizzazione stimata che tutti rispettavamo», ha dichiarato il ministro degli Esteri Yair Lapid in una nota. «Oggi è l’esatto opposto». «Invece di cercare fatti, Amnesty cita bugie diffuse da organizzazioni terroristiche», ha detto. «Israele non è perfetto, ma è una democrazia impegnata nel diritto internazionale e aperta al controllo».

Come riporta The Times of Israel, Lapid ha anche accusato Amnesty di antisemitismo. «Odio usare l’argomento secondo cui se Israele non fosse uno stato ebraico, nessuno in Amnesty oserebbe opporsi, ma in questo caso non ci sono altre possibilità», ha sottolineato.

Il ministero degli Esteri ha affermato che Israele “rifiuta assolutamente tutte le false accuse che compaiono nel rapporto di Amnesty”.

«Il rapporto consolida e ricicla bugie, incongruenze e affermazioni infondate che provengono da note organizzazioni di odio anti-israeliane, il tutto con l’obiettivo di rivendere le merci danneggiate in nuovi imballaggi», ha affermato. «Ripetere più e più volte le stesse bugie delle organizzazioni di odio non rende le bugie realtà, ma piuttosto rende illegittima Amnesty».

Le reazioni dal mondo ebraico

Anche altre organizzazioni ebraiche e israeliane hanno criticato fortemente il rapporto in arrivo.

Il presidente del Congresso ebraico mondiale Ronald S. Lauder lo ha definito un “rapporto unilaterale e palesemente politicizzato che ignora totalmente sia gli atti terroristici palestinesi che l’obbligo di Israele di difendere i suoi cittadini da tale terrorismo”.

L’International Legal Forum, un gruppo filo-israeliano, ha affermato che il rapporto “equivale a una diffamazione di sangue contro lo stato ebraico e merita di essere gettato nella pattumiera della storia antisemita”.

«Una bugia detta mille volte è ancora una bugia», ha continuato la dichiarazione dell’ILF. «Forse Amnesty International, che è stata assediata dalle accuse di razzismo istituzionalizzato, farebbe meglio a rimettere in ordine la propria casa, prima di tenere conferenze in Israele».

Il termine apartheid è stato coniato per descrivere il sistema di segregazione razziale e di “sviluppo separato” adottato in Sud Africa tra il 1948 e il 1994. Questa politica aveva l’obiettivo di concentrare i “non bianchi” nel bantustan, ovvero i territori del Sudafrica e della Namibia assegnati alle etnie nere dal governo sudafricano nell’epoca dell’apartheid. Alla popolazione nera venne negata la cittadinanza, attraverso un sistema di abbonamenti e documenti di identità che determinava dove i “non bianchi” potessero viaggiare e lavorare.