Ostaggi a Gaza in pericolo: per il 75° anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, un appello per un rilascio immediato

Israele

di Sofia Tranchina
Malnutrizione, carenza di cure mediche e di aria fresca, e torture psicologiche e fisiche: iniziano a trapelare, lentamente, le condizioni degli ostaggi a Gaza che da 63 giorni preoccupano Israele.

Per questo, in occasione del 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948), il Forum degli ostaggi e delle famiglie scomparse, un’organizzazione di volontariato creata per rappresentare e aiutare gli ostaggi e i dispersi, ha pubblicato un appello per un intervento internazionale.

Nel rapporto è reiterato in più punti che «il rapimento e la detenzione arbitraria violano diversi standard internazionali delineati nella Dichiarazione Universale dei diritti umani, compreso il Patto internazionale sui diritti civili e politici (articoli 6, 7, 9, 10) e la Convenzione sui diritti dell’infanzia (articoli 6, 9, 19)».

Il gruppo invita «tutti coloro che detengono il potere» ad agire «per i diritti umani fondamentali con tutti i mezzi necessari»: chiedono «il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi detenuti da Hamas a Gaza» e «che agli ostaggi siano fornite cure mediche immediate».

Tra mogli che hanno dovuto lasciare i mariti nel calvario della cattività, madri che hanno lasciato i figli e figli che hanno lasciato i padri o i fratelli, ancora oggi le reticenze superano le testimonianze, per paura delle ripercussioni sui cari rimasti indietro ma anche per paura delle minacce mosse dai terroristi: «sappiamo dove abitate, vi verremo a cercare».

Ciononostante, tra referti medici e interviste ai parenti inizia a prendere forma il quadro delle condizioni di chi ancora è trattenuto a Gaza – si ritiene che siano ancora 138 gli ostaggi, anche se l’IDF ha confermato la morte di 18 di loro – ed è un quadro dell’orrore.

I racconti dei liberati

Ha aperto la pista alle testimonianze il giovane Jimmy Pacheco, del primo gruppo dei rilasciati: dopo aver assistito al trucidamento del suo datore di lavoro, è stato trascinato – pur essendo filippino e non avendo mai fatto il soldato – a Gaza, dove è sopravvissuto a stento alla fame.

«Ci davano una pita sola per tutta la giornata. Dopo pochi giorni, l’acqua che ci davano era salata e fangosa, e io avevo già sofferto di problemi ai reni».

Per sopperire alla sete e alla fame, non usava i pezzetti di carta igienica che gli venivano concessi per defecare: «li tenevo da parte, e li mangiavo quando avevo fame. Eravamo una quarantina di metri sottoterra, era freddo e umido e la carta igienica umida placava un po’ la fame e la sete».

Alony-Cunio ha raccontato che in prigionia «non sai mai se la sera ci sarà una pita, quindi la mattina ne risparmi un po’ per la sera, e un po’ per la mattina dopo».

Anche Keren Munder, sua madre e suo figlio di nove anni – che hanno dovuto dormire su sedie di plastica – hanno sopportato giorni di fame, mangiando solo pita. Keren e sua madre hanno entrambe perso sette chilogrammi di peso corporeo.

L’appello del forum punta l’attenzione sulla mancanza di cure mediche per gli ostaggi affetti da malattie croniche precedenti, quali diabete, asma, osteoporosi, anemia, malattie infiammatorie intestinali, ipotiroidismo, malattie cardiache, epilessia, ipertensione, e cancro.

«La mancanza di un trattamento adeguato porterà, e ha già portato in molti casi, a condizioni immediate di pericolo di vita».

Inoltre, a molti degli ostaggi rilasciati sono state diagnosticate nuove gravi malattie legate alla prigionia, tra cui ictus, aritmia, malattie infettive, e ridotta funzionalità polmonare e renale.

Una donna di 84 anni è stata ricoverata in ospedale in condizioni critiche e potenzialmente letali, non avendo ricevuto cure adeguate durante la prigionia, mentre un altro ostaggio liberato ha avuto bisogno di un intervento chirurgico.

Yagil e Or Yaacov (di 12 e 16 anni) sono stati marchiati sulle gambe con bruciature inferte dalla marmitta di una moto, per «renderli riconoscibili in caso di fuga».

Alcuni ostaggi sono stati picchiati, torturati, e tenuti con catene alle caviglie, mentre altri sono stati trattati – per quanto possibile – in modo decente, a seconda di chi li aveva in mano.

Ma persino Yocheved Lifshitz – la donna di 85 anni diventata nota per aver stretto la mano al suo carnefice augurandogli Shalom (pace), la quale ha inizialmente detto di essere stata “trattata umanamente” dai suoi carcerieri (benché vi sia il sospetto che abbia parlato così sotto la minaccia che pende sul marito ancora in ostaggio) – ha esternato preoccupazioni: «gli ostaggi rischiano di morire», a causa della «mancanza di aria, cibo e medicine».

Ad oggi, Hamas continua a negare l’accesso al Comitato Internazionale della Croce Rossa.

«Le ripetute richieste di visitare e valutare le condizioni degli ostaggi, di consentire l’accesso agli aiuti umanitari e di consentire contatti familiari sono state tutte respinte. Impedire deliberatamente di ricevere le cure mediche necessarie costituisce una grave violazione dei diritti umani e mette direttamente in pericolo la loro vita. Le risoluzioni UNSCR 1820 (2008), 1888 (2009), 1960 (2010), 2106 (2013), 2122 (2013) e 2493 (2019) sottolineano la necessità di fornire cure specializzate alle donne, bambini e individui. Di conseguenza, le azioni di Hamas – che ha preso oltre 240 ostaggi – costituiscono una violazione chiara e inequivocabile del diritto internazionale».

Le testimonianze rivelano anche violenza di genere, deturpazione dei volti e decapitazioni. Sia gli uomini che le donne hanno subito violente aggressioni di natura sessuale, stupro aggravato e mutilazione del seno e dei genitali.

Omer Niv, vicedirettore dell’ospedale pediatrico Schneider, ha dichiarato all’Ansa che ci sono stati anche casi di abusi sessuali su minorenni.

Oltre alle sofferenze fisiche, alcuni ostaggi sono stati minacciati e traumatizzati dai miliziani di Hamas: Dvorah Cohen, la zia del dodicenne Eitan Yahalomi, ha raccontato ai media la prigionia del nipote.

I terroristi lo hanno «costretto a guardare i video degli orrori» del massacro del 7 ottobre ripresi dalle bodycam, e «ogni volta che piangeva i suoi rapitori lo minacciavano con una pistola».

Ad alcuni bambini è stato anche detto «che i genitori erano morti e che Israele non esisteva più e nessuno li avrebbe salvati», e ora, terrorizzati e traumatizzati, i bambini «scoppiano a piangere se vedono un estraneo».

Inoltre, i parenti dell’85enne Yaffa Afar hanno raccontato che gli ostaggi «non hanno fatto la doccia o cambiato i vestiti per l’intero periodo della loro prigionia», e «solo il giorno prima di essere rilasciati hanno ricevuto un nuovo set di vestiti».

Testimonianza che completa quella della dottoressa Hagar Mizrahi, che dopo test medici ha spiegato che i terroristi di Hamas hanno somministrato tranquillanti agli ostaggi poco prima della liberazione «per farli apparire felici».

Anche per questo l’appello ha sottolineato «l’urgenza della situazione, alla luce del danno medico già evidente tra gli ostaggi ritornati in Israele» e ricordato che «ci sono ancora neonati e anziani in cattività, così come individui con esigenze dietetiche uniche»:

«Quanto più a lungo gli ostaggi vengono tenuti prigionieri a Gaza in queste terribili condizioni, tanto maggiore è il rischio di ulteriore malnutrizione con le sue complicazioni».