“La notte più lunga”. Un racconto

di Ghila Piattelli
Prosegue la pubblicazione di racconti di finzione legati a temi di attualità. Qui un nuovo racconto di Ghila Piattelli, italiana residente in Israele, sull’attacco missilistico dell’Iran su Israele e il clima di tensione che regna nel Paese dopo gli attacchi terroristici del 7 ottobre. Qui il suo primo racconto che abbiamo pubblicato.

 

Sono rimaste da noi, dopo aver passato il pomeriggio a studiare, due amiche di mia figlia.

«Forse dovreste andare a casa» faccio io mentre guardo preoccupata lo schermo del televisore dove campeggia la scritta “Secondo l’intelligence l’attacco dell’Iran contro Israele è imminente”.

«No, restano a dormire qui» mi risponde mia figlia e io mi chiedo se entreremo nel nostro minuscolo rifugio antimissile in caso di bisogno. Ci piazziamo tutti davanti alla televisione ma i nostri occhi sono rivolti agli schermi dei cellulari: Telegram, Instagram, Facebook come profeti di sventura annunciano all’unisono che l’attacco è stato sferrato: «50 droni con 20 kg di esplosivo» dice mia figlia, «i razzi da Gaza ne hanno molto di più» mio figlio ora è diventato esperto di strategie militari. Per calmare gli animi preparo una caraffa di camomilla. «Ce l’hai una coca cola?» mi chiede invece l’amica di mia figlia. «Scherzi? Zuccheri, coloranti, conservanti…meglio morire sani sotto un drone esplosivo» risponde mio figlio.

Iniziano ad arrivare le chiamate delle mamme preoccupate, «forse è meglio che tornate a casa» insisto. «Shtuiot, stupidaggini», risponde la più sfacciata delle due amiche, «non permetteremo all’Iran di decidere dove dormiremo questa notte», aggiunge, ma suona come uno dei tanti slogan di questa guerra; infatti, mio figlio le fa da eco «e insieme vinceremo» e strappa una risata alle ragazze.

Ecco, sullo schermo della televisione appare un’altra inquietante scritta. “Lanciati anche missili balistici”. «Impiegheranno dodici minuti per raggiungere Israele» spiega il nostro giovane esperto di armi. E io pronuncio la frase che mai avrei pensato di pronunciare: «Allora vai a fare la doccia prima che arrivino i missili balistici, poi vai a sapere che cosa succede…» Mio figlio mi lancia uno sguardo traverso, ma davanti alle amiche di sua sorella evita le discussioni. Chiede a Siri di mettere un timer di dodici minuti e fila in doccia. Torna dopo mezz’ora. Nessun missile balistico si è schiantato contro la nostra casa, per il momento.

Mia figlia e le sue amiche passano da Telegram, al profilo Instagram della sorella di una loro compagna di classe: alla festa per il suo fidanzamento indossava un vestito bellissimo, dicono. «Vero mamma?» mia figlia mi mostra la foto. È vero, essere genitori è essere costretti a camminare costantemente a un ritmo dettato da altri, sempre troppo sostenuto, sono anni che lo faccio, ma questa sera ho l’affanno e arranco, mi dispiace non riesco a passare con leggerezza da scenari apocalittici al vestito a balze della futura sposa. Le ragazze sembrano capirlo perché all’improvviso si fanno silenziose.

Partono i primi allarmi missilistici, i segnali si susseguono sullo schermo senza sosta. Restiamo in silenzio, in attesa. Forse le sirene suoneranno anche qui, penso, forse non abbiamo comprato abbastanza acqua, batterie, tonno, cetrioli in salamoia. Però ho una spranga di legno che blocca la porta del rifugio in caso di infiltrazione di terroristi, ma quella era la puntata precedente, ora servono torce e approvvigionamenti per 72 ore.

Malgrado le mie proiezioni apocalittiche, i missili vengono intercettati in uno spettacolo pirotecnico sui cieli delle nostre città, che è una liberazione. Le immagini si succedono, il cielo di Gerusalemme, del Neghev, di Eilat si illumina. Mio figlio si addormenta.

Restiamo io e queste tre diciassettenni che in sei mesi hanno visto più di quanto abbia fatto io nei cinquant’anni che hanno preceduto quella mattina di ottobre. Siete le protagoniste di un capitolo di un libro di Storia che qualcuno scriverà, vorrei dirgli, protagoniste della sceneggiatura di un film d’azione che invece nessuno ha avuto abbastanza immaginazione per poterlo scrivere, siete la generazione dei testimoni, lo racconterai ai tuoi figli è rivolto a voi. Ma resto in silenzio.

Poi vengo colta da un moto di inaspettata incoscienza, mi alzo, ricompaio con tre lattine di Coca Cola che avevo nascosto dietro agli asciugamani da cucina. Loro sorridono complici. «Non sarà questo ad ucciderci», dice mia figlia.

 

Illustrazione di Noa Kelner, concessa gratuitamente come contributo al momento drammatico che Israele sta attraversando.