Nella parashat Nasò si parla dei Cohanim

Parashat Nasò, la benedizione divina

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Quando si arriva alla parashà di Naso, la più lunga fra tutte, indubbiamente la nostra attenzione viene catalizzata dalla presenza dalla formula della benedizione dei Cohanim, della Birkat Cohanim. Nei versetti che sono in Numeri 6,23-26: “Parla ad Aron ed ai suoi figli dicendo: Voi benedirete così i benè Israel, direte loro: “ Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò”.

Esiste un bel midrash, Midrash Tanchuma, Nasò 8, che sottolinea come il popolo ebraico espresse il proprio disappunto quando sentì le parole di Dio: “Quando Israele ha sentito Kadosh Baruch Hu che diceva: “Così benedirete i figli di Israele” disse l’assemblea di Israele a Kadosh Baruch Hu: “Signore dell’Universo! Ai sacerdoti hai detto di benedirci? Ma noi non abbiamo bisogno che della tua benedizione e di essere benedetti dalla tua bocca, come è detto: sporgiti al di fuori del luogo della tua santità dal Cielo e benedici il tuo popolo Israele”.  Disse loro Kadosh Baruch Hu: Anche se l’ho comandato ai sacerdoti, sono io che sto in mezzo a voi e vi benedico, come è detto: “ E porrete il mio nome sui figli di Israele ed io li benedirò.”
Il popolo ebraico voleva essere benedetto solamente da Dio, temeva la presenza degli intermediari, con tutto il rispetto per i Cohanim, e, secondo il Midrash, chiese a Dio una spiegazione rispetto a questa delega ai sacerdoti.
Di fatto, però, non esisteva nessuna delega perché Dio stesso conferma al popolo di Israele che i Cohanim sono un mezzo e la vera benedizione giunge “dal mio nome”, secondo le stesse parole dei versetti di Numeri 6, 26.
Questo è un punto fondamentale per la comprensione del senso della benedizione sacerdotale e della presenza dei Cohanim rispetto al rito della benedizione.

Lo Zohar afferma che: “La capacità del risveglio per ricevere la benedizione influenza la Volontà Eccelsa di concedere la benedizione.” Come a dire che i Cohanim ed il rito da loro messo in atto risveglia la capacità degli ebrei di predisporsi a ricevere la benedizione e la Volontà Eccelsa di donare la benedizione stessa. Il rito sacerdotale pone in connessione una potenziale capacità di ricevere con la Volontà di concedere. Per questo motivo secondo il Maghen Avraham 128,18 e la Mishnà Brurà 128, 37 un Cohen che non ama la propria comunità o non è amato dalla propria comunità non può mettere in atto la cerimonia perché non è un luogo che connette amore proprio e proprio dovere di essere un mezzo per benedire con l’amore di Dio per il popolo ebraico ed il popolo ebraico che riceve la benedizione in nome dell’amore. Comprendiamo quindi che il Cohen è un mezzo di amore tra Cielo e terra, quindi espressione dell’amore verso l’alto, con l’amore sociale, quello verso il basso. Proprio perché il Cohen è un mezzo e non uno sciamano o un mago Rav Hirsch sottolinea il fatto che lui non ha una forza magica che gli derivi dal suo status o dall’uso che egli fa delle parole della Torà. La visione, la partecipazione stessa del Cohen che benedice è essa stessa parte della benedizione ed è questa partecipazione con amore che rende la birkat cohanim una vera benedizione. E’ fondamentale comprendere che il Cohen è si un mezzo che connette cielo e terra, ma è anche un luogo di incontro come abbiamo detto e per incontrarsi con l’altro lo deve “vedere”: ecco quindi che il Talmud Bavli Sotà 38 a insegna: “ Dirai a loro, insegnano i maestri, così benedirete, faccia a faccia, ma non faccia contro cervice.  Insegna il Talmud: come un uomo che parla al suo prossimo”. Ed allora chiudiamo questa riflessione capendo che il Cohen che ci benedici usa parole di Torà per farlo e deve essere come un uomo che parla ad un altro uomo e come Dio quando a parlato al primo uomo: viso a viso.

Di rav Pinchas Punturello