L’antisemitismo digitale in Australia. Intervista ad Andre Oboler

Mondo

di Nathan Greppi

Dopo il 7 ottobre, in tutto il mondo la diffusione dell’antisemitismo ha raggiunto livelli che in alcuni casi non si vedevano dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Questo odio è stato alimentato in modo particolare dalla galassia dei social, dove istigazione all’odio, notizie false e teorie complottiste circolano indisturbate.

Esemplare in tal senso ciò che è avvenuto il 16 aprile a Sidney, in Australia, dove sei persone sono state uccise a coltellate. In seguito, sui social si diffuse una bufala secondo cui l’aggressore fosse uno studente ebreo di nome Benjamin Cohen, ripresa anche dall’emittente televisiva australiana 7News. In breve tempo però è emerso che il vero assalitore era un quarantenne di nome Joel Cauchi, ma nel frattempo l’accusa contro Cohen era stata rimbalzata su decine di migliaia di post e sdoganata anche da una grossa emittente, la quale si scusò pubblicamente per la disinformazione veicolata.

Per capire la portata del fenomeno in Australia, dove nel 2023 la popolazione ebraica risultava essere sopra le 117.000 persone, abbiamo parlato con Andre Oboler: esperto di odio in rete e già docente di cybersicurezza alla La Trobe University di Melbourne, è il presidente dell’OHPI (Online Hate Prevention Institute), istituto di ricerca per il contrasto dell’odio online, nonché membro della delegazione australiana presso l’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance).

Quale era il livello di antisemitismo presente in Australia prima del 7 ottobre?

Guardando nello specifico ai social network, in Australia vi era già una massa consistente di contenuti antisemiti, che le piattaforme non rimuovevano se non in percentuali minime. Poi è arrivato il 7 ottobre; a quel punto, abbiamo iniziato a confrontare quanti contenuti ci venivano segnalati ogni ora. Su Gab, principale social dell’estrema destra, l’aumento di contenuti antisemiti è stato circa del 1000%.

Su quali social è più diffuso l’odio verso gli ebrei e Israele?

Innanzitutto, occorre fare una precisazione: in base ai nostri dati, che riguardano in generale il mondo anglofono a livello globale, la maggior parte dei contenuti antisemiti non fa riferimento a Israele, perlomeno non direttamente.

Per capire la situazione, abbiamo monitorato 10 piattaforme social: Facebook, Twitter, Telegram, TikTok, YouTube, Instagram, LinkedIn, Gab, Reddit e BitChute. In ciascuno di questi, abbiamo passato 16 ore a monitorare i contenuti antisemiti e altre 16 ore per i contenuti islamofobi. Abbiamo suddiviso i casi di antisemitismo in 4 categorie: distorsione e negazione della Shoah, incitamento alla violenza verso gli ebrei, antisemitismo tradizionale e quello legato a Israele.

Come si distribuiscono questi tipi di antisemitismo sulle varie piattaforme?

È emerso che Facebook e Twitter sono le piattaforme dove sono più diffuse l’istigazione alla violenza e la distorsione della Shoah. Di contro, LinkedIn è quella dove è più alta la percentuale di contenuti antisemiti legati a Israele, seguita da Instagram. Ma in generale, a parte LinkedIn su tutte le piattaforme la categoria più presente è quella dell’antisemitismo tradizionale.

Sia l’antisemitismo sia l’islamofobia sono aumentati dopo il 7 ottobre, ma con delle differenze: i contenuti antisemiti che abbiamo trovato sono circa 2,4 volte più numerosi di quelli islamofobi (rispettivamente 2.739 e 1.151). Se Gab è il social con il tasso di antisemitismo più alto, a sorprenderci davvero è stato LinkedIn: sebbene venga generalmente usato per cercare lavoro, questo social è quello dove l’antisemitismo è cresciuto di più, passando dall’essere praticamente inesistente prima del 7 ottobre a livelli tali da posizionarlo al 6° posto tra le 10 piattaforme analizzate per quantità di contenuti antisemiti.

Infine, abbiamo verificato quanto siano attive le piattaforme nel rimuovere i contenuti antisemiti. La media complessiva tra tutte quelle analizzate è del 18%; tuttavia, se si guarda alle singole piattaforme, ci sono delle differenze evidenti: se su LinkedIn il 36% dei contenuti antisemiti viene rimosso, su BitChute e Telegram questo succede solo nel 4% dei casi. Tra gli altri social, il tasso di rimozione è del 27% su Instagram, 25% su YouTube, 24% su Twitter, 22% su TikTok e Gab, 16% su Facebook e 9% su Reddit.

Quando si tratta di contrastare l’odio in rete, che differenze ci sono tra le leggi australiane e quelle dell’Unione Europea?

La differenza è che in Australia l’antisemitismo non viene sanzionato come in Europa. L’UE può anche avere la forza di affrontare su questo punto le aziende dei social, mentre l’Australia questa forza non la possiede. In teoria le leggi sono simili, e i discorsi d’odio sarebbero proibiti anche in Australia, ma in pratica non esistono vere e proprie sanzioni per le piattaforme che permettono all’antisemitismo di circolare.

Dopo il recente attentato a Sidney, un ragazzo ebreo è stato accusato ingiustamente di esserne il responsabile…

Tutto è partito da un utente chiamato Simeon Boikov, il quale da un anno vive nel consolato russo a Sidney, e che ha chiesto asilo politico in Russia per evitare un mandato di arresto per aggressione. Per capire come si è diffusa la falsa notizia, basti vedere cos’è successo su 4Chan: all’annuncio iniziale che fosse un ebreo, degli utenti filorussi hanno aggiunto speculazioni sul fatto che fosse un agente del Mossad, o che sia stato fermato da un russo. E anche dopo che i media riportarono la vera identità dell’attentatore, su 4Chan ci fu chi continuò a dire che la colpa era degli ebrei, bollando come “fake news del governo” gli aggiornamenti più recenti e decretando come “vera” la versione originale su Benjamin Cohen.

Ci sono stati altri casi simili a questo in Australia?

Una volta è successo dopo che nel novembre 2023 a Caulfield, un sobborgo di Melbourne, un locale di hamburger gestito da un palestinese fu vittima di un incendio doloso. Siccome il locale si trova a breve distanza dalla zona ebraica di Melbourne, in molti incolparono gli ebrei per l’accaduto; ciò portò ad una protesta violenta da parte di manifestanti filopalestinesi nel quartiere ebraico. Inoltre, diverse organizzazioni che rappresentano le comunità islamiche e palestinesi in Australia dissero che si trattava di un crimine d’odio, che aveva colpito il proprietario del locale in quanto palestinese.

A gennaio, le autorità hanno arrestato i veri colpevoli, due giovani che non sono ebrei e non c’entrano nulla con la comunità ebraica. Al termine delle indagini, venne dichiarato ufficialmente che non si è trattato di un crimine d’odio, a dispetto di quello che si pensava all’inizio.

Come OHPI, organizzate mai degli incontri di sensibilizzazione nelle scuole o nelle università?

Solitamente non molto, ma quest’anno stiamo portando avanti un progetto in merito. Andiamo di rado nelle scuole, però forniamo molto materiale e teniamo dei corsi di formazione per gli insegnanti, facendo loro leggere i nostri report. Siamo andati a mostrarli anche a diversi parlamentari, non solo in Australia ma anche negli Stati Uniti e in Canada.

La classe politica e le istituzioni australiane sono consapevoli dei rischi che questo odio comporta per la sicurezza della comunità ebraica?

Generalmente lo sono, ma non come da voi in Italia; ricordo ancora quando sono venuto nei vecchi uffici del CDEC a Milano, e c’erano i militari a sorvegliare la zona. In Australia questo non avviene, la comunità ebraica ha il proprio servizio di sicurezza, che però riceve fondi dal governo. Semmai, il problema è che non sono altrettanto attenti quando si tratta di contrastare l’antisemitismo online.