Neuroscienziati israeliani testano un nuovo approccio contro l’Alzheimer

Salute

di Michael Soncin
Degli scienziati israeliani dell’Università Ben-Gurion del Negev hanno potuto constatare il pieno ripristino delle facoltà cognitive, in 30 topi affetti da Alzheimer, ai quali era stata somministrata una nuova molecola da loro creata, chiamata VBIT-4. La ricerca peer-reviewed è stata pubblicata sulla rivista scientifica Translational Neurodegeneration.

Essi precisano che per il momento si tratta di una verifica su piccola scala e che la prova è ancora lontana per essere ripetuta sull’essere umano; ma al contempo, vista l’importanza del risultato ottenuto, credono che vi sia la possibilità che la neo-molecola sintetica possa diventare un farmaco, per il trattamento della malattia neurodegenerativa, entro 10 anni.

“Abbiamo adottato un metodo di gran lunga differente, rispetto agli sforzi fatti per i farmaci contro l’Alzheimer che abbiamo visto finora”, ha detto al Times of Israel la professoressa Varda Shoshan-Barmatz, principale autrice dell’esperimento. “I roditori che avevano l’Alzheimer e che hanno poi ricevuto la nostra molecola, dopo essere stati sottoposti ad un test, si è visto, che avevano le medesime capacità cognitive di quelli che non avevano mai contratto la patologia”.

Normalizzare l’attività mitocondriale

La letteratura scientifica parla spesso della disfunzione dei mitocondri nei soggetti con Alzheimer. I mitocondri, come spiega il testo di Citologia e Istologia a cura di Isabella delle Donne, sono degli organuli di cui è costituita la cellula “responsabili della produzione di energia”, la cui morfologia e dimensioni varia “secondo il tipo di cellula”. Una loro disfunzione porta all’incapacità di produrre le normali quantità energetiche, portando alla morte cellulare, all’infiammazione e alla diminuzione della risposta immunitaria.

Sebbene l’Alzheimer sia collegabile alla disfunzione mitocondriale, non esiste al momento un farmaco specifico, poiché le ricerche si concentrano principalmente sull’accumulo delle proteine di scarto che si depositano all’interno dei neuroni, fenomeno ritenuto essere i tra i responsabili dell’insorgenza. Quello che ha fatto il gruppo di studi da Israele è stato di normalizzare l’attività mitocondriale contrastando gli effetti dannosi che si presentano quando la proteina denominata con la sigla VDAC1 viene prodotta in eccesso. Se prodotta in quantità regolari, questa proteina, svolge un ruolo fondamentale nel corretto funzionamento dei mitocondri, mentre se prodotta in grande eccesso -come hanno scoperto i biologi nel cervello dei topi con l’Alzheimer – interferisce con l’attività mitocondriale.

I ricercatori sono riusciti ad impedire a questa proteina prodotta in eccesso di provocare la morte cellulare, grazie alla molecola artificiale che interferirebbe con il suo effetto dannoso: “Legandosi alla proteina VDAC1, questa molecolare impedisce che avvenga la morte delle cellule neuronali e altri cambiamenti associati all’Alzheimer, tra cui la neuroinfiammazione e le disfunzioni neurometaboliche”, ha detto Shoshan-Barmatz.

Forse un trattamento clinico fra 10 anni

La nuova molecola VBIT-4 è stata somministrata ai 30 topi per un periodo di 5 mesi. “I topi sono stati sottoposti a vari test. All’inizio avevano perdita di memoria e compromissione delle capacità cognitive; ma alla fine dell’esperimento, i topi che hanno ricevuto la molecola avevano la stessa memoria e capacità cognitiva dei topi senza Alzheimer”, ha detto Shoshan-Barmatz, sottolineando che per un trattamento clinico è ancora presto, e che ci vorrà del tempo, un periodo ipotizzabile che va dai sette ai dieci anni.

Il  gruppo della prof.ssa Varda Shoshan-Barmatz comprende: la prof.ssa Shira Knafo, il prof. Alon Monsonego, la prof.ssa Noga Vardi, la dott.ssa Anna Kuzmin-Steinfer e il dott. Ankit Verma.

(Foto: La professoressa Varda Shoshan-Barmatz /Fonte: Dani Machlis/Ben Gurion University)