Parashat Shemot

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò

I capitoli iniziali dell’Esodo ci immergono nel bel mezzo di eventi epici. Quasi di colpo gli israeliti si trasformano da minoranza protetta in schiavi. Mosè passa da principe d’Egitto a pastore madianita a capo degli israeliti attraverso un incontro che cambia la storia al Roveto ardente. Eppure c’è un piccolo episodio, spesso trascurato, che merita di essere visto come una svolta nella storia dell’umanità. Le sue eroine sono due donne straordinarie, Shifra e Puah.

Non sappiamo chi fossero. La Torah non ci dà altre informazioni su di loro se non che erano levatrici, istruite dal Faraone: “Quando aiuterete le donne ebree durante il parto, sul sedile dì pietra, se vedete che il bambino è un maschio, uccidetelo; ma se è una bambina, lasciatela vivere» (Esodo1:16). La descrizione ebraica delle due donne come hameyaldot ha’ivriyot è ambigua. Potrebbe significare “le levatrici ebree”, così viene tradotto nella maggior parte delle volte e letto dai commentatori. Ma potrebbe anche significare “le levatrici degli ebrei”, in questo caso le due donne potrebbero essere state egiziane. È così che lo interpretano Giuseppe Flavio, Abarbanel e Samuel David Luzzatto, sostenendo che è semplicemente poco plausibile supporre che le donne ebree siano state parte dì un atto di genocidio contro il loro stesso popolo.

Quello che sappiamo, tuttavia, è che si sono rifiutate di eseguire l’ordine: “Le levatrici, tuttavia, temettero Dio e non fecero ciò che il re d’Egitto aveva detto loro di fare; lasciarono in vita i bambini» (Esodo 1:17). Questo è il primo caso registrato nella storia di disobbedienza civile: rifiuto di obbedire a un ordine, dato dall’uomo più potente dell’impero più potente del mondo antico, semplicemente perché era immorale e disumano.

La Torah suggerisce che lo abbiano fatto senza storie o drammi. Convocati dal Faraone per spiegare il loro comportamento, risposero semplicemente: “Le donne ebree non sono come le donne egiziane; sono vigorose e partoriscono prima che arrivino le levatrici» (Esodo 1:19). A questo, il Faraone non ebbe risposta. La concretezza dell’intero incidente ci ricorda una delle scoperte più salienti sul coraggio di coloro che salvarono vite ebraiche durante l’Olocausto. Avevano poco in comune tranne il fatto che non vedevano nulla di straordinario in quello che facevano. Spesso il segno dei veri eroi morali è che non si considerano eroi morali. Fanno quello che fanno perché è quello che dovrebbe fare un essere umano. Questo è probabilmente il significato dell’affermazione che “temevano Dio”. È la descrizione generica della Torah di coloro che hanno un senso morale.

Ci sono voluti più di tremila anni perché ciò che le levatrici fecero, fosse sancito dal diritto internazionale. Nel 1946, tutti i criminali di guerra nazisti processati a Norimberga offrirono la difesa che stavano semplicemente obbedendo agli ordini, dati da un governo debitamente costituito e democraticamente eletto. Secondo la dottrina della sovranità nazionale ogni governo ha il diritto di emanare le proprie leggi e di ordinare i propri affari. Ci voleva un nuovo concetto giuridico, vale a dire un “crimine contro l’umanità”, per stabilire la colpevolezza degli artefici e degli amministratori del genocidio.

Il principio di Norimberga ha dato sostanza giuridica a ciò che le levatrici hanno capito istintivamente: che ci sono degli ordini a cui non si deve obbedire, perché immorali. La legge morale trascende e può prevalere sulla legge dello Stato. Come dice il Talmud: “Se c’è un conflitto tra le parole del Maestro [Dio] e le parole di un discepolo [un essere umano], le parole del Maestro devono prevalere” (Kiddushin 42b).

La storia delle levatrici appartiene a una visione più ampia, implicita in tutta la Torah e nel Tanach nel suo insieme: cioè che il diritto è sovrano sulla potenza, e che anche Dio stesso può essere chiamato a renderne conto in nome della giustizia… . La sovranità in definitiva appartiene a Dio, quindi qualsiasi atto o ordine umano che trasgredisca la Sua volontà è solo per questo fatto ultra vires (al dì là dei poteri). Queste idee rivoluzionarie sono intrinseche alla visione biblica della politica e dell’uso del potere.

Alla fine, però, fu il coraggio di due straordinarie donne a creare il precedente ripreso poi dallo scrittore americano Thoreau nel suo classico saggio Civil Disobedience (1849) che a sua volta ispirò Gandhi e Martin Luther King Jr. nel ventesimo secolo. Anche la loro storia termina con un bel finale. Il testo dice “Così Dio fu gentile con le levatrici e il popolo crebbe e divenne ancora più numeroso. E poiché le levatrici temevano Dio, Egli generò da loro famiglie (sacerdotali e reali)» (Esodo 1:20-21). Luzzatto interpretò quest’ultima frase nel senso che diede loro delle famiglie proprie. Spesso, scriveva, le levatrici sono donne che non possono avere figli. In questo caso, Dio benedisse Shifra e Puah dando loro dei figli, come aveva fatto con Sara, Rebecca e Rachele.

Anche questo è un punto non di poco conto. La letteratura greca più vicina all’idea di disobbedienza civile, è la storia di Antigone che insistette per dare sepoltura a suo fratello Polinice, nonostante il fatto che il re Creonte si fosse rifiutato di permetterlo, considerandolo come un traditore di Tebe. L’Antigone di Sofocle è una tragedia: l’eroina deve morire a causa della sua fedeltà al fratello e della sua disobbedienza al re. Al contrario, la Bibbia ebraica non è una tragedia. Infatti l’ebraico biblico non ha una parola che significhi “tragedia” nel senso greco. Il bene è ricompensato, non punito, perché l’universo, opera d’arte di Dio, è un mondo in cui il comportamento morale è benedetto e il male, per breve tempo in ascesa, è infine sconfitto.

Shifra e Puah sono due delle grandi eroine della letteratura mondiale, le prime ad insegnare all’umanità i limiti morali del potere.

Di rav Jonathan Sacks zl

 

(Foto: Orazio Gentileschi, ‘Mosè salvato dalle acque, 1633. Fonte: Wikimedia Commons)