Tutti cantano OyOyOy! il festival si conclude tra gli applausi

Spettacolo

Alla fine OyOyOy! è riuscito a mettere tutto il Teatro Municipale in piedi per un lunghissimo applauso, una standing ovation che è andata idealmente non solo all’ultimo gruppo in scena: i favolosi Klezmatics, ma anche all’intera rassegna. Sì, perché gli ultimi giorni del Festival di Cultura ebraica, sono stati anche i più esaltanti di questa maratona di 70 appuntamenti, cominciata il 4 maggio e finita domenica 25 maggio.

Un festival che nell’ultimo week end, pur sfidando la pioggia, ha ottenuto comunque numeri di tutto rispetto: 300 persone domenica per l’ultima serata, oltre 500 per il concerto dei Fanfara Tirana la sera prima nel chiostro di Santa Croce, 400 persone anche Hans Kung per la prima volta a Casale nella conferenza al Castello. E lo stesso maniero dei paleologi con il bel cortile ritrovato per l’occasione ha avuto anche questo fine settimana la cifra record di oltre 2.000 visitatori per la mostra dedicata a Allen Ginsberg e per il concerto rigorosamente Bebop di domenica pomeriggio a cui si sommano un centinaio di presenze sabato per la conferenza di Paolo De Benedetti dedicata agli animali sabato. Quasi duecento i pasti distribuiti nella tappa che Giustogusto ha fatto a Casale con un menù che ha proposto un bel mix di cucina etica e di cucina israeliana. Buoni i risultati anche nelle altre città: ad Alessandria la sinagoga ha avuto una media di circa 100 visitatori ogni domenica mentre l’incontro con Yarona Pinhas e Roberto Robotti ha fatto registrare circa 50 presenze. Centinaia di visitatori anche per Trino, Vercelli, Moncalvo, Cherasco, Carmagnola, Chieri.


“Anche quest’anno siamo soddisfatti per come ha risposto il pubblico – dichiara Antonio Monaco, presidente di Monferrato Cult, l’associazione che da tre anni organizza OyOyOy! -, ma più che il numero dei visitatori mai come nell’edizione corrente siamo riusciti a trasmettere la missione del Festival: il dialogo come ponte tra culture differenti. Ad ogni tavolo abbiamo avuto sempre interlocutori significativi e autorevoli per i diversi fronti culturali, non solo quello ebraico e in tutte le conversazioni abbiamo sempre assistito ad un rispetto specifico delle posizioni ma anche al fiorire di idee. La concomitanza con la Fiera del Libro e la presenza di alcuni ospiti di livello internazionale ha inserito il dibattito sviluppato a Casale Monferrato in un orizzonte più ampio. Ma l’offerta complessiva del Festival è così diversificata tra dibattiti, musica e arti visive che ognuno ha trovato quello che gli è più congeniale, senza la necessità di contrapporsi, per esistere”.




UNA GIORNATA PER GLI ALBANESI

Sabato 24 maggio rimarrà nella memoria come uno dei momenti più emozionanti del Festival specie per la popolazione di Casale. L’occasione è stata la dedica di un ‘Albero dei Giusti’ all’Albania, unico tra i paesi sotto il dominio nazifascista a non deportare ebrei. Ma per la città è stata soprattutto l’occasione per conoscere una minoranza consistente delle propria popolazione. Gli albanesi a Casale solo il 5%, 1500 persone, oltre 570 famiglie (tutte invitate personalmente dall’organizzazione di Monferrato Cult) che hanno reso palese per la prima volta un patrimonio affascinante di tradizioni e cultura di cui si conosce pochissimo. La giornata albanese di sabato è cominciata alle 17,30 nel cortile del comune alla presenza del Sindaco di Casale Monferrato Paolo Mascarino, del Console Generale di Albania Giovanni Firera e di altri illustri ospiti come Mustafa Nano, popolare ancorman della televisione albanese e Milto Baka direttore del quotidiano Koha Jone.


Silvana Mossano giornalista de La Stampa ha rievocato quei giorni del 1991 quando il sindaco di allora Riccardo Coppo ricevette una telefonata da Roma in cui gli annunciava l’arrivo di circa 1000 albanesi direttamente dalla Puglia entro 36 ore. Fu chiaramente emergenza, con un enorme numero di problemi logistici da risolvere, ma la decisione più importante fu decidere l’atteggiamento da tenere “Vinse la logica dell’accoglienza – ricorda Silvana Mossano – con i Casalesi che lasciavano giocatoli e beni di prima necessità sulle porte della caserma dove erano alloggiati gli albanesi” e anche se non mancarono le proteste, i risultati di quella scelta sono oggi ben visibili 17 anni dopo: con Casalesi e Albanesi che hanno riempito la sala consigliare per ascoltare lo storico Giovanni Villari rievocare un’Albania cove le leggi razziali italiane del 38 non venivano applicate e dove le ordinanze dei tedeschi venivano sistematicamente disattese. Del resto come ha ricordato il Console le regole dell’ospitalità in Albania impongono che il padrone di casa consideri chiunque varchi la sua porta come sotto la sua protezione. Regole che valgono anche quando si tratta di un intero popolo, perchè come ricordato il giornalista rai Andrea Riscassi allo Yad Vashem (museo della memoria israeliano) si sono ricostruite le tracce di almeno 2000 ebrei in Albania salvati dalla deportazione. “Cose di cui non si sapeva nulla” come ha sottolineato anche il presidente della comunità ebraica casalese Giorgio Ottolenghi in un commosso ringraziamento.

Poi tutti a mangiare Birek e altre specialità albanesi preparati nel cortile del comune (e d’obbligo menzionare le cuoche: Olivi Katuci, Susanno Cicko, Irene Birkaj)

Un sondaggio di Renato Mannheimer che ha inaugurato il festival vede gli albanesi ‘antipatici’ per il 70% degli Italiani, un dato che è sembrato inammissibile la sera di sabato nel chiostro di Santa Croce di fronte all’esibizione di Fanfara Tirana. Oltre 500 biglietti venduti equamente divisi tra (albanesi e italiani) praticamente indistinguibili nell’esaltarsi per un gruppo dall’energia trascinante, degno della migliore tradizione della musica balcanica che si conosce in occidente. Ma soprattutto insieme per ballare. Il concerto era iniziato da appenda 5 minuti e già sotto il palco si formavano lunghe file di uomini e donne dove tutti i casalesi indipendentemente dall’accento si tenevano per braccio in un lungo girotondo. Un boato di metà della platea ha accolto l’arrivo sul palco di Hjsni Zela, contante popolarissimo in Albania che ha interpretato tra l’altro la struggente ‘Jamina’ dedicata ad un città che non c’è più.

La giornata Albanese ha avuto poi una appendice domenica mattina, quando il console i giornalisti al suo seguito hanno visitato la città ed è ovviamente scattato l’invito per i Casalesi a visitare l’Albania.




LA LEZIONE DI HANS KUNG

Domenica mattina era in visita alla città anche una personalità eccezionale del pensiero religioso: Hans Kung, teologo, autore di saggi fondamentali per comprendere non solo il pensiero cristiano, ma anche quello Ebraico e Islamico. Il tema della sua lectio magistrale era: un’ ‘Etica globale per un mondo unico’, svolto insieme a Rav Giuseppe Laras, rabbino della comunità di Milano. Le due personalità sono state presentate rispettivamente da Rosino Gibellini e da Claudia De Benedetti
Per Kung esiste un’etica universale, innata nell’uomo “Ho studiato gli aborigeni in Australia e anche quelle comunità vietano l’omicidio, il furto e hanno regole di comportamento sessuale”.
Il teologo basa il pilastro di questo regole nella creazione dell’uomo secondo la Torah, fatto a somiglianza con Dio e quindi con un missione innata di farsi carico del proprio Mondo. Kung fa delle scritture un punto di riferimento importante per la codificazione di un ethos superiore, ma non uno strumento esclusivo: la regola d’oro della reciprocità. Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te, risale a 5 secoli prima di Cristo, è presente in tradizioni culturali e religiose diverse, anche nella filosofia greca. Kung si permette di citare un aneddoto riferito ad un suo vecchio compagno di studi con cui spesso si è trovato in polemica: “Parlavo con Benedetto XVI e lui mi ha detto che ci vuole un’etica mondiale fondata sulla religione, io ho risposto, si per quelli che sono religiosi, ma per gli altri ci vuole un’etica fondata su altre basi, purchè comuni. Alla fine si è trovato d’accordo”.
Un’ora di lezione affascinate attraverso culture e religioni differenti che si può riassumere con questa idea: “Non c’è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni, non c’è pace tra le religioni senza dialogo, non c’è dialogo senza un’etica comune”.

IL FINALE PIU’ ELETRIZZANTE: TUTTI A CANTARE CON I KLEZMATICS

Sono circa le 21,30 di domenica sera quando i Klezmatics salgono sul palco del Teatro Municipale di Casale Monferrato, la pioggia caduta fino al tardo pomeriggio ha dissuaso molti che volevano vedere questo spettacolo a mettersi in viaggio da Torino o Milano, ma ha fatto guadagnare ai 300 spettatori del teatro un’acustica invidiabile. Fin dalle prime note si capisce che i Klezmatics non sono un gruppo folk o tradizionale come gli altri che hanno fatto conoscere il klezmer in giro per il mondo. Prima di tutto sono musicisti eccezionali e non solo per il loro curriculum individuale, ma anche per l’energia che ci mettono. I temi esposti all’unisono dai fiati sono di un sincrono impressionante e quando si pensa che siano già arrivati alla velocità massima ingranano una marcia più alta e sorprendono con un altro salto mortale fatto di note. Ma non si limitano a mettere insieme un concentrato di danze tradizionali trascinanti, le elaborano con gusto sapiente che vanno dalle escursioni jazz del saxofonista Matt Darriau e del trombettista Frank London alla poesia, con cui Lorin Sklamberg intona alcuni commoventi canti che sembrano venire dall’Est Europeo. La loro passione tocca sovente il folk song americano, riecheggiato anche dal violino di Lisa Gutkin che passa con disinvoltura da certe armonie orientali alla giga irlandese. E tutti insieme hanno arrangiamenti che strizzano l’occhio alla grande epopea del ‘progressive’ anni ’70.

Davvero non c’è da annoiarsi: non c’è una canzone uguale all’altra, tutte sono appassionanti, tutte hanno una storia da raccontare. Come quando intonano insieme ‘Non temere Dio ma quello che l’uomo fa in nome di Dio’. Hans Kung sarebbe daccordo.

Già è difficile stare fermi sulle poltrone di velluto ma l’ultima canzone si intitola proprio OyOyOy! e allora non rimane che cantare, ballare nel poco spazio in platea e naturalmente applaudire e applaudire per richiamarli ancora su palco e non basta ancora. Il pubblico li aspetta di fronte all’uscita del Teatro e ancora canta OyOyOy! Con loro in piazza Castello. Davvero un bel modo per concludere un lungo viaggio di tre settimane ed augurarsi un arrivederci al 2009.