Storia di una donna “contro”: la scrittrice dei diritti umani

di Elèna Mortara

Paladina degli ultimi. Idealista e combattiva, George Eliot spese vita e opere al servizio di grandi cause e contro i soprusi dell’uomo “bianco”: dagli schiavi neri d’America ai servi delle risaie asiatiche, agli ebrei in cerca di una patria. È tempo di rendere onore alla sua assoluta modernità. Un saggio di Elia Boccara.

 

Sono trascorsi duecento anni dalla nascita di George Eliot (pseudonimo di Mary Anne Evans, 1819-1880), una delle più grandi romanziere dell’Inghilterra vittoriana e raro caso di scrittore inglese dell’Ottocento filosemita, e ora, in una bella edizione rilegata, la casa editrice Giuntina celebra questo bicentenario con la pubblicazione del libro di Elia Boccara, George Eliot e la nascita dello Stato ebraico: ultimo di una serie di cinque libri dello stesso infaticabile autore pubblicati dalla casa editrice a partire dal 2011. Il nuovo studio di Boccara, come chiarito dal sottotitolo Daniel Deronda: un idealista nell’Inghilterra vittoriana, riguarda l’ultimo romanzo di George Eliot intitolato appunto, dal nome del suo protagonista, Daniel Deronda (1876). Vi si ricostruisce il percorso attraverso il quale è passata la scrittrice per giungere ad un testo che, attraverso colpi di scena e l’intreccio di vicende dei suoi personaggi, fa a poco a poco emergere, e infine prevalere nella coscienza del suo protagonista, avventurosamente riscopertosi ebreo di nascita, il sogno di un ritorno del popolo ebraico alla terra dei padri, quale nazione tra le nazioni del mondo: una nazione separata e forte della sua cultura, ma insieme aperta alla comunicazione con il resto dell’umanità.

L’eccezionalità di questo romanzo protosionista, che precede di vent’anni la nascita del sionismo politico di Theodor Herzl (il cui fondamentale Der Judenstaat – Lo Stato Ebraico – è del 1896), è ben messa in evidenza nella prefazione di Dario Calimani che apre il volume. Qui il noto studioso anglista, già autore in passato di due importanti saggi sulla scrittrice, contestualizza l’opera della Eliot all’interno della storia letteraria inglese, ponendola a confronto con la persistente tradizione antiebraica che scorre in questa letteratura da Chaucer a Dickens.

Di tale tradizione, e del contesto di pregiudizi riguardanti gli ebrei allora ampiamente diffusi in Inghilterra, la coraggiosa scrittrice vittoriana era ben consapevole. Ne è testimonianza quanto da lei scritto, poco dopo la pubblicazione del suo romanzo, in una lettera inviata oltre Atlantico all’amica Harriet Beecher Stowe, la celebre autrice di La capanna dello zio Tom (Uncle Tom’s Cabin), con cui già dal 1869 aveva sviluppato una significativa amicizia epistolare. In questa lettera del 19 ottobre 1876, George Eliot racconta che fin dall’inizio, mentre scriveva il romanzo, aveva previsto che esso avrebbe provocato “una resistenza, e persino un’avversione” persino più forte di quella che aveva in effetti incontrato. Ma, aggiungeva, “proprio perché sentivo che l’atteggiamento comune dei cristiani verso gli ebrei è non so se dire più empio o più stupido, se visto alla luce dei principi che essi professano, io mi sono sentita spinta a trattare gli ebrei con tanta compassione e comprensione quanta la mia natura e la mia conoscenza potessero raggiungere”. La lettera proseguiva con altre nobili parole di denuncia nei confronti dello spirito di arroganza di “noi inglesi”, nei confronti non solo degli ebrei ma di tutti i popoli orientali: “un atteggiamento sprezzante e dispotico che sono diventati per noi una vergogna nazionale. A nulla terrei di più, se mi riuscisse, che a destare l’immaginazione degli uomini a una visione dei diritti umani di quei loro simili la cui razza è diversa dalla loro per costumi e per fede. Ma verso gli ebrei,” sottolineava rivolta all’amica dai forti sentimenti cristiani, “noi occidentali che siamo stati allevati nel cristianesimo abbiamo un debito particolare e, lo si voglia o meno, un legame di fratellanza particolarmente profondo per sentimento morale e religioso”; e a questo proposito concludeva irridendo l’ignoranza dei molti cristiani che, non conoscendo la storia ebraica, neppure sapevano che Gesù fosse ebreo.
Non stupisce che George Eliot abbia potuto condividere questi suoi sentimenti con l’autrice del romanzo americano, La capanna dello zio Tom, che più ha contribuito a sollevare le coscienze del suo paese contro la schiavitù dei neri d’America. Ed è emozionante scoprire quanta affinità vi fosse tra le due popolari scrittrici contemporanee, che, per quanto assai diverse per carattere e cultura, ma consapevoli dei problemi storici del loro tempo e impegnate a combattere per l’emancipazione delle genti oppresse, avevano entrambe con i loro romanzi sentito l’urgenza di scuotere la sensibilità e consapevolezza dei lettori su temi di scottante attualità.
Elia Boccara, che già aveva pubblicato da Giuntina nel 2017 un libro sui Sionisti cristiani in Europa, in questo suo ultimo lavoro approfondisce il percorso di conoscenza della cultura ebraica e della sua storia che ha portato George Eliot al superamento degli originali pregiudizi da lei stessa condivisi nei confronti del mondo ebraico e alla scrittura di Daniel Deronda.

Tale percorso, già iniziato ai tempi della sua giovanile ribellione nei confronti della ortodossia religiosa paterna, era stato poi favorito innanzitutto dall’incontro con George Henry Lewes, conosciuto nel 1851 e divenuto suo compagno-marito dal 1854 fino alla morte di lui nel 1878: un intellettuale poliedrico e dai forti interessi letterari, scientifici e filosofici, assai sensibile alla situazione degli emarginati di ogni genere, da lui difesi sulle pagine del periodico radicale Leader, “con lo scopo di abbattere tutte le barriere erette tra gli uomini” (30 marzo 1850). Il secondo incontro determinante era poi stato quello con lo studioso ebreo di origine tedesca Emanuel Deutsch, emigrato a Londra nel 1855 e qui assunto dal British Museum come specialista di culture orientali. Deutsch, che la Eliot conobbe nel 1866, aveva studiato l’ebraico fin da piccolo con uno zio rabbino e poi varie lingue orientali all’Università di Berlino. È con lui, spirito aperto e animato da rispetto per tutte le religioni, che la Eliot iniziò lo studio dell’ebraico e persino del Talmud, ed è da lui che ella fu introdotta nei meandri della cultura e della storia ebraica, e guidata alla concezione degli ebrei come di un popolo (allora si diceva una “razza”) distinto dagli altri e dotato di una ricchissima cultura. Deutsch, che era anche un convinto sostenitore della creazione di uno Stato ebraico in Palestina, nel 1869 compì un primo viaggio in Oriente, di cui al ritorno fornì dettagliata relazione ai coniugi Lewes. Benché colpito poi da una grave forma di tumore, nel 1872 era ripartito per Gerusalemme, ma pochi mesi dopo, nel 1873, all’età di soli 44 anni era morto ad Alessandria d’Egitto, prima di raggiungere la meta e realizzarvi i suoi sogni.

A quell’epoca George Eliot aveva appena concluso la scrittura di uno dei suoi romanzi più noti, Middlemarch (uscito a puntate nel 1871-72), e come dimostrano i suoi Notebooks aveva iniziato a lavorare al romanzo successivo, Daniel Deronda. Profondamente scossa dalla morte di Deutsch, è a lui che si ispira per la figura di uno dei personaggi centrali del nuovo romanzo, l’ebreo Mordecai, profeta del sogno della rinascita di uno Stato ebraico in Palestina. A differenza di Deutsch, nel romanzo questi muore prima ancora di poter intraprendere quel viaggio, ma dopo aver trasmesso il suo sogno e il suo progetto nell’animo del protagonista Deronda.
Dopo aver ricostruito l’itinerario ebraico di George Eliot, e dopo un capitolo dedicato alla condizione contemporanea degli ebrei inglesi e alla situazione politica-letteraria dell’Inghilterra in rapporto anche alla Palestina, nella parte centrale del volume lo studio di Boccara entra nel vivo di una analisi quanto mai approfondita del romanzo in questione, il ricco e voluminoso Daniel Deronda. Di questo romanzo è recentemente uscita una nuova buona traduzione italiana ad opera di Sabina Terziani (Daniel Deronda, Fazi Editore, 2018), priva però, segnala Boccara, di quelle necessarie informazioni di contesto che il suo libro intende fornire. Boccara è consapevole delle modalità di pubblicazione a puntate dei romanzi in età vittoriana e segnala con precisione le “acrobazie letterarie” abilmente realizzate dalla scrittrice onde creare suspense ed evitare di rivelare fin dall’inizio il filone ebraico, ostico per i lettori inglesi ma destinato a prevalere nella parte finale del romanzo. Qui, dopo un fitto intarsio di avventure e di personaggi (diversi dei quali, ebrei “in carne ed ossa”, di svariata ideologia e statura morale) e un abile procrastinarsi della finale agnizione sulle sue origini, il giovane protagonista Daniel Deronda, un idealista generoso cresciuto in ambito aristocratico inglese e dal passato famigliare misterioso, scopre l’ebraicità dei suoi genitori e, recuperata la sua identità ebraica, può finalmente sposare l’ebrea cosmopolita Mirah, da lui inizialmente salvata da un tentato suicidio, e prepararsi a trasferirsi con lei nella terra dei padri in Palestina, realizzando il sogno nazionale profetizzato dall’amico Mordecai (che, guarda caso, si scopre essere fratello della sposa!). Ciò implica la definitiva rinuncia alle nozze con l’altra principale figura femminile co-protagonista nel romanzo fin dal primo capitolo, Gwendolen, la donna cristiana che lo turba e lo corteggia, ma che lui appunto finirà per non sposare, con gran disdoro, sottolinea Boccara, per i lettori e critici inglesi contemporanei.

Questa conclusione sorprendente per la cultura del tempo, e il prevalere di personaggi e tematiche ebraiche sempre più evidenti nella seconda parte dell’opera, suscitarono forti obiezioni da parte della critica inglese dell’epoca, che tacciò questa parte dell’intreccio come “inverosimile” o persino “rivoltante”. Al contrario, enorme fu l’influenza nel mondo ebraico delle vibranti pagine dedicate al desiderio di una futura patria nazionale da parte degli ebrei da ricrearsi in Palestina. Tutto ciò viene ulteriormente approfondito nell’ultima parte di questo studio appassionato e prezioso, che ci fa entrare nell’acceso dibattito intorno alla “questione ebraica” proprio della seconda metà dell’800, arricchendoci di nuove conoscenze e stimolandoci a tornare alla lettura di un romanzo avvincente e di grande importanza storica.

Elia Boccara, George Eliot e la nascita dello Stato ebraico. Daniel Deronda: un idealista nell’Inghilterra vittoriana, pref. di Dario Calimani, Firenze, Giuntina 2019, pp. 298, euro 20,00.