La pace come unica soluzione. Intervista a Achinoam Nini, in arte Noa

di Nathan Greppi

Le tempie imbiancate, il volto smagrito, la preoccupazione per i figli sotto le armi. Noa rimane la leonessa di sempre, una voce che si solleva non solo nel canto ma anche per le battaglie civili in cui crede, attivista appassionata da sempre. Da anni è amata e ammirata al di fuori dei confini israeliani, in particolare in Italia; oltre ad aver tenuto numerosi concerti e partecipato più volte al Festival di Sanremo, nel 1994 è stata la prima cantante israeliana ad esibirsi in Vaticano, di fronte a Papa Giovanni Paolo II.

Si è esibita dal vivo in più di 50 paesi, e nel 1997 ha collaborato con Roberto Benigni per la musica del film La vita è bella. E quando, nel 2009, ha rappresentato Israele all’Eurovision Song Contest assieme alla cantante araba Mira Awad, le due hanno invocato la pace con il brano There Must Be Another Way, recitato in ebraico, arabo e inglese.

In altre parole, il lavoro non manca mai per Achinoam Nini, più nota al grande pubblico come Noa, che si tratti della sua musica o del suo attivismo politico e sociale. A gennaio è passata nuovamente in Italia, recandosi all’Abbazia di Mirasole nel comune di Opera, vicino a Milano, dove sta pianificando di tornare questa estate per un festival musicale, chiamato Singing Peace, del quale sarà la madrina. Proprio nel cortile interno dell’Abbazia, Noa ha gentilmente concesso un’intervista a Mosaico – Bet Magazine.

Come viene vissuta la situazione in Israele oggi, dopo le prime settimane di shock seguite al 7 ottobre?
Quello che è successo in Israele è una catastrofe. Non mi vengono in mente altri termini per dirlo. È la cosa peggiore mai avvenuta a Israele sin dalla sua fondazione. Un trauma che coinvolge tutti, a destra e a sinistra, perché Israele è un paese talmente piccolo che tutti conoscono almeno una vittima, un rapito o uno sfollato. Siamo tutti connessi. Quasi tutti i figli miei e dei miei amici ora sono nell’esercito. Mia figlia è nelle unità di combattimento, mentre mio figlio è un riservista. Tutti sono coinvolti. E se stiamo vivendo questa situazione come un incubo, è anche perché abbiamo subito un triplo tradimento.

Che tipo di tradimento?
Prima di tutto, gli orribili attacchi di Hamas del 7 ottobre sono stati un tradimento dell’umanità stessa. Per quanto si possa provare a capire le loro ragioni, non esiste che la mente e il cuore umano possano accettare la barbarie che hanno compiuto.
Il secondo tradimento riguarda l’esercito: dov’era l’esercito il 7 ottobre? Quell’esercito in cui noi israeliani abbiamo sempre riposto fiducia, che credevamo essere il miglior esercito del mondo. Dove ci sentivamo sicuri di poter mandare i nostri figli, e dove anch’io ho mandato i miei figli. Quell’esercito dove anch’io ho prestato servizio, così come i miei genitori. Dov’era, mentre la gente veniva massacrata?
Un altro tradimento è quello della comunità internazionale; in Israele vediamo le cose che vengono dette sulla nostra situazione, e ci chiediamo se per caso siano tutti impazziti; vediamo tutte le bugie, la propaganda e le fake news che ci vengono rivolte contro. Qui si capisce quanto si è  ammalata la società con la rivoluzione digitale e dei social, che hanno avvelenato le menti delle persone e le hanno rese incapaci di provare compassione e di cogliere la complessità della situazione. Chiunque dipinga la realtà come se fosse divisa tra bianco e nero, commette un’ingiustizia nei confronti sia degli israeliani sia dei palestinesi.
A questi, si dovrebbe aggiungere anche un quarto tradimento: quello da parte dell’attuale governo israeliano, il peggiore della storia d’Israele, del quale molti israeliani hanno cercato di liberarsi per mesi, me compresa. Dov’era? E dov’è oggi? Ancora adesso,  non solo non pensano ad aiutare Israele nel momento del bisogno, ma lasciano che sia la società civile a farlo, e sottraggono i soldi che servirebbero ad aiutare gli israeliani in difficoltà, per foraggiare invece i loro proxy.

In che senso?
I membri della coalizione di governo hanno sottratto soldi ai servizi sociali, che dovrebbero servire ad aiutare le centinaia di migliaia di sfollati, e non invece per  finanziare i partiti religiosi e gli insediamenti. Netanyahu è ancora Primo Ministro, quando invece avrebbe dovuto dimettersi il primo giorno della guerra. Lui e tutto il suo governo dovrebbero dimettersi, chiedere perdono  al popolo israeliano e andare a casa. E invece, abbiamo ancora al potere gente che sta portando Israele verso il baratro.
E in tutto questo, chi sta soffrendo di più sono le famiglie degli ostaggi. Per noi, come israeliani, è inconcepibile che queste persone siano ancora tenute prigioniere. E Netanyahu sta sfruttando la situazione per il proprio tornaconto politico, per la propria sopravvivenza.
La mia speranza è che tutto questo porti ad una grande ondata di manifestazioni. Innanzitutto per mandare a casa questo governo, e poi per portare persone migliori ai vertici.

Cosa pensi che si dovrebbe fare in questa situazione?
Io sono un’attivista pacifista da tanti anni. Personalmente, ho sempre detto che non si può andare contro la pace, e che dovremmo impegnarci per far sì che Israele possa vivere in pace con i suoi vicini palestinesi, perché questo è nell’interesse di entrambi i popoli.

Io sono una sionista. Credo nel diritto degli ebrei all’autodeterminazione nello Stato d’Israele. Ho anche ricevuto un’educazione religiosa da bambina. Ho fatto l’aliyah in giovane età, essendo cresciuta in America da piccola. Ho rappresentato Israele sui palchi di tutto il mondo per trent’anni, e l’ho fatto con orgoglio.
Sono fiera di essere israeliana. Ma sono anche una pacifista. Secondo me, la pace è ciò che può permettere a Israele di sopravvivere. La guerra non è un’opzione. Per anni abbiamo messo le persone in guardia, ma purtroppo i nostri peggiori incubi si sono avverati.
Resto dell’idea che l’unica cosa che può salvare Israele sia un accordo diplomatico, da stipulare con quelle forze moderate che lo desiderano. Solo questo può salvare Israele: non una guerra senza fine, non il fondamentalismo, non il ritorno degli insediamenti a Gaza (come quelli che c’erano prima del 2005, ndr).
Israele ha certamente il diritto di difendersi, e ho fiducia nell’esercito israeliano. Ma non mi fido del governo israeliano.

Allo stesso modo, anche i palestinesi devono scegliersi una classe dirigente che sia seriamente intenzionata a stipulare un accordo con Israele. Una leadership radicale e jihadista porterà ai palestinesi solo distruzione, e credo che loro  lo sappiano: lo dimostra il fatto che di recente c’è stata una protesta a Gaza contro Hamas. La pace può essere fatta solo da chi sceglie la vita anziché la morte.

 

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In un’intervista al programma di Rai 3 “Sorgente di vita”, hai spiegato che andavi ad aiutare gli sfollati con la tua musica. Ce ne puoi parlare?
Mio marito dice sempre che sono brava a cogliere le situazioni e a reagire di conseguenza. Io cerco di superare i traumi rendendomi attiva. Perciò, appena è scoppiata la guerra, ho iniziato ad andare a cantare gratis dove stavano gli sfollati, negli ospedali, nelle basi militari, per le famiglie. Ho anche pubblicato un annuncio su Facebook, in cui ho detto: “Se qualcuno ha bisogno di aiuto, io vengo”. E così ho fatto: pur ricevendo centinaia di richieste, sono andata ovunque potessi andare ad aiutare.
Ho cantato anche per i superstiti del Nova Music Festival. Lì i ragazzi erano andati per ballare, e quelli di Hamas li hanno massacrati come animali. Non puoi immaginare cosa stanno passando quei ragazzi. Così, sono andata anche da loro. Lo faccio ancora adesso, anche se meno di prima.
Ho cercato di essere attiva anche con le apparizioni nei media e sui social, per raccontare all’estero ciò che stiamo vivendo in Israele. Non solo in Italia, ma anche in Spagna e in Francia, dove mi conoscono. Ho sfruttato la mia immagine di personaggio pubblico per aiutare Israele.
Allo stesso tempo, cerco di contrastare l’odio dell’estrema destra, che in Israele mi attacca a prescindere da quello che faccio. Loro mi attaccano tutte le volte, e io tutte le volte continuo ad andare avanti.

Negli anni hai lavorato anche con musicisti palestinesi. Credi che la musica possa avvicinare i popoli?
La musica in sé non può portare la pace. Può farlo invece come parte di un movimento più ampio. La pace può arrivare solo quando tutte le diverse fasce della società lavorano insieme: il governo, la società civile, il mondo della finanza, i militari, i corpi diplomatici. E la cultura può sostenere questa onda, permettendole di ingrandirsi e di arrivare al cuore delle persone.
Credo che la cultura possa aiutare ad aprire i propri cuori e a capire che siamo tutti uguali: tutti noi moriamo, possiamo generare la vita, abbiamo bisogno di cibo e acqua, abbiamo bisogno di amore, proviamo odio, proviamo paura. Tutto ciò è molto umano, e la cultura può aiutare ad enfatizzare la nostra comune umanità.
All’Eurovision, io e Mira abbiamo avuto un grande impatto; non abbiamo vinto, ma non era quello il nostro obiettivo. L’obiettivo era far riflettere le persone. La canzone There Must Be Another Way viene insegnata nelle scuole in tutto il mondo, e anche in Israele, dove la cantano insieme bambini ebrei e arabi. E questo è molto più importante che vincere un concorso.

Ho una storia divertente da raccontare al riguardo: quando eravamo a Mosca nel 2009 per l’Eurovision, c’erano molti giornalisti venuti a intervistarci. Ricordo che quando eravamo sedute dietro le quinte e sono venuti da noi, a me hanno parlato in arabo e a Mira in inglese. Ci hanno scambiate l’una per l’altra: questo perché, essendo la mia famiglia originaria dello Yemen, io sembro araba; mentre lei, essendo nata da padre palestinese e madre bulgara, ha la pelle bianca e occhi verdi come molti europei.
Questo ha permesso alle persone di capire che le cose non sono quello che sembrano. La ragione di questo conflitto, sta anche nel fatto che le persone credono di sapere tutto, che sia tutto bianco o nero. Ma non è così. La vita è complicata, come tutto in natura. E a questo serve l’arte: trasforma la complessità in bellezza.

Giusto a dicembre, io e Mira siamo state a Berlino per prendere parte ad un concerto, dove abbiamo potuto rivolgere un messaggio di pace anche in questi tempi bui. Perché è quando si è immersi nell’oscurità che è importante accendere una candela.

 

Di recente, diversi artisti hanno chiesto di boicottare Israele all’Eurovision. Cosa vorresti rispondere loro?
Sono assolutamente contraria al boicottaggio. Credo che i boicottaggi culturali siano sbagliati, perché la cultura deve sempre costruire ponti, e gli artisti sono una delle categorie più vulnerabili della società. L’artista dovrebbe sempre essere libero di salire sul palco e portare il suo messaggio.

Un altro motivo è che sono contraria alle punizioni collettive, e penso che l’arte in generale dovrebbe essere qualcosa che aiuta a comunicare con gli altri e ad aprire la mente. Per questo sono acerrima nemica del BDS, che secondo me danneggia la causa della pace. Anch’io, pur essendo pacifista e critica verso l’estrema destra, sono stata attaccata dal BDS, per il solo fatto di essere  fiera di essere israeliana.
L’unica occasione in cui l’arte va boicottata è quando l’artista veicola messaggi razzisti; basti pensare al comico francese Dieudonné, che ad un certo punto si è messo a fare gesti antisemiti. Un altro caso, che invece mi riguarda da vicino, risale a qualche anno fa: Ariel Zilber, uno dei miei musicisti israeliani preferiti quand’ero giovane, ad un certo punto ha perso la testa e ha iniziato a scrivere canzoni intrise di un razzismo della peggior specie, oltre a sostenere pubblicamente Ygal Amir, l’assassino di Yitzhak Rabin. E quando nel 2014 l’ACUM, l’organizzazione che rappresenta i musicisti israeliani, ha deciso di conferirgli un premio alla carriera nella stessa cerimonia in cui anch’io dovevo ricevere un premio, ho detto che non volevo più partecipare. Non hai idea degli attacchi che ricevetti all’epoca per questo.

Ciò che vorrei dire a questi artisti è: io penso che bisognerebbe porre fine all’occupazione della Cisgiordania, e favorire la nascita di uno Stato palestinese al fianco dello Stato d’Israele. Se si vuole la pace, bisogna battersi per la soluzione dei due Stati. Chi invece dice che Israele sta compiendo un genocidio, come ha fatto il Sudafrica all’Aja, o che Israele è il male del mondo, è solo un nemico e un antisemita. Tutti questi paesi che attaccano Israele non fanno nulla per promuovere la pace tra israeliani e palestinesi.

Quale messaggio vorresti rivolgere alla comunità ebraica italiana?
Credo che sia giunto il momento che le comunità ebraiche si ribellino. Per molti anni, ho detto loro che se amano Israele, devono prendere posizione contro coloro che la danneggiano. E chi la sta danneggiando ora è Netanyahu.
Non si può usare la scusa che bisogna lasciar decidere agli israeliani: se hai un figlio che fa uso di eroina, e sai che questa lo può uccidere, che cosa fai? Lo lasci fare, o lo porti in un centro di recupero per aiutarlo a disintossicarsi? Israele è nella stessa situazione. Va bene mandare il fatto di mandare soldi a Israele, ma non basta.
Nell’ultimo periodo, le comunità ebraiche hanno capito che la diaspora e Israele sono una cosa sola: quello che succede in Israele, ha dei riflessi su di loro. Se Israele è un paese libero, democratico e in pace, anche loro ne beneficiano. Ma se invece Israele prende una brutta deriva, anche le comunità della diaspora ne risentiranno. Pertanto, vi chiedo di essere al nostro fianco, al fianco della pace, affinché Israele possa essere il miglior paese del mondo. Perché così, tutti ne trarranno beneficio.

 

 

Foto in alto: Noa all’Abbazia di Mirasole (© Nathan Greppi per Mosaico)