Bruno Segre: un ricordo

di Claudio Vercelli

La lunga vita di Bruno Segre Z´´L, durata ben 105 anni, si è conclusa durante il Giorno della Memoria. Al pari di una sorta di suggello etico e morale di un’intera traiettoria esistenziale. Bruno è sempre stato un uomo dalla schiena dritta. Non si è mai piegato dinanzi alla tracotanza dei più forti, all’arroganza dei poteri, alla protervia degli ingiusti. Rendere conto della sua esistenza in poche righe, quindi, è pressoché impossibile. Cinque tratti, tuttavia, lo hanno contraddistinto: la passione politica, intendendo l’impegno nello spazio pubblico come un esercizio nobile ed elevato di cittadinanza attiva; l’attenzione per i diritti civili e, con essa, per il pluralismo culturale nonché identitario, essendo allergico ad ogni forma di fondamentalismo ideologico e religioso; la lotta costante, e indefessa, a favore dei diritti della persona; la rigorosissima e integerrima difesa della laicità, avendo ad estremo obbrobrio la contaminazione dello Stato, quindi delle istituzioni pubbliche, al pari dello spazio collettivo, dalle pretese clericali; un antifascismo intransigente poiché basato non su una “ideologia” (come certuni hanno invece cercato di fare credere) bensì sul bisogno di un’esistenza comune fondata sul senso di giustizia e di condivisione.

Ha fatto tutto ciò essendo, al medesimo momento, avvocato, giurista, giornalista, militante attivista per i diritti di tutti, il più delle volte senza una casa madre, quindi un partito (benché per diverso tempo si riconobbe in quello socialista) oppure un’organizzazione nella quale riconoscersi appieno una volta per sempre. Agiva da sé, ovvero da solo, poiché poteva solo contare su sé stesso. Una sorta di scheggia, per nulla impazzita.

Ricordo, tra le tante cose, la determinatissima e implacabile difesa legale del primo obiettore di coscienza – tale poiché conclamato e rivendicato rispetto alla collettività del tempo – rispetto al servizio militare, ossia Pietro Pinna; rammento il suo impegno, a fianco dell’oramai ingiustamente dimenticato Loris Fortuna, per l’approvazione della legge sul divorzio nonché i suoi continui interventi, anche a rischio di certa impopolarità tra gli ignavi, per difendere quell’istituto così come quello dell’aborto; rivivo le sue concioni contro il “fascismo”, inteso non tanto come regime e dottrina bensì in quanto calco mentale, quindi esercizio di sudditanza e di mancanza di coscienza della necessità di emanciparsi. E così via. È stato scritto, efficacemente che rispetto: «alle intransigenti battaglie antifasciste, a quelle per la laicità delle istituzioni, Bruno Segre ha vissuto a pieno un secolo ricco di evoluzioni e movimenti [rappresentando]  la memoria storica di una Torino che andava profondamente cambiando. Eppure, lui era sempre al suo posto, Dall’obelisco di Piazza Savoia per la ricorrenza del 20 settembre, troppo spesso obliata dalle istituzioni e dalle forze politiche, al 18 dicembre per ricordare la strage fascista del 1922. Tutti gli anni, anche nel gelo di inverni impietosi, a scandire, con la sua efficace e coinvolgente oratoria di avvocato, il dovere di una memoria irrinunciabile».

Diceva a tutti, me compreso: «nessuno ci regalerà i nostri diritti, una volta conquistati; non vanno solo difesi ma anche estesi». Nonché, aggiungo io, rinnovati, adeguati allo spirito e all’evoluzione dei tempi.

Di Bruno, detto tutto ciò, ho anche molti altri ricordi personali. Certuni assai corposi, destinati come tali a ripetersi nel tempo. Quando lo incontravo, il che avveniva pressoché abitualmente, soprattutto nelle sedi istituzionali, laddove io ero tra i conferenzieri e lui, oramai anziano, sedeva tra il pubblico, non appena mi vedeva prorompeva in un acutissimo «Vercelli!!!», che gli derivava, al medesimo tempo, dalla sua spontanea e genuina simpatia così come dal suo essere un poco sordo (lo scrivo con affetto, essendo io stesso ipoacusico all’orecchio sinistro). Poi mi raggiungeva, con il bastone che lo sorreggeva, tendendosi quindi verso di me, prendendomi al suo braccio e commentando le mie affermazioni pubbliche. Un secondo memento è quello che me lo consegna, nella memoria, come colui che utilizzando in avanzata età, a Torino, i mezzi pubblici, quando gli veniva offerto il posto a sedere, lo rifiutava, tenendosi con una mano al bastone, con l’altra al corrimano. Quasi a volere dire: mi siederò, una volta per sempre solo e comunque quando non ne avrò più le forze.

 

Foto: Bruno Segre (courtesy La Repubblica)