Ostaggi ebrei in Europa? Le parole inquietanti di Antonio Polito

Opinioni

di Emanuele Calò

Antonio Polito scrive sul Corriere della Sera del 26 gennaio 2024: “Se Israele vuole ancora, e certo lo vuole, che i cittadini ebrei d’Italia, Francia, Germania, e di tutte le altre nazioni che da secoli ospitano la diaspora, non siano di nuovo vittime di ondate di antisemitismo, mascherato o no; allora, per amor di D-o, fermatevi”.

Ora, se Israele non esistesse, se si realizzasse l’ecumenico auspicio, di una Palestina “libera dal fiume al mare”, gli ebrei della Diaspora, saremmo più forti o più deboli? Sicuramente più deboli.

Piuttosto, Polito potrebbe considerare che essendo l’antisemitismo vietato da ogni ordinamento giuridico degno di quel nome, non si vede perché Israele dovrebbe variare la sua politica oppure le sue azioni militari, soltanto per evitare che si commettano reati in Italia. La giustizia italiana, le leggi italiane, il governo italiano, non mancano di onorare il loro impegno per far rispettare i diritti di tutti, cittadini e non. In tale contesto, non è possibile ipotizzare che i cittadini italiani, soltanto perché appartenenti alla minoranza ebraica, possano essere ostaggi delle azioni di uno Stato estero, anche se ad esso legati da indistruttibili legami, e men che meno è ammissibile che un prestigioso giornalista, alle cui qualità intellettuali e umane ci inchiniamo, possa prospettare una tale situazione. L’Italia è il Paese che, pur di non cedere a ricatti istituzionali, ebbe a sacrificare la vita di un grande Uomo, come è stato il rimpianto Aldo Moro.

Henry Kissinger chiese che, nella frontiera con la Cambogia, si sparasse a tutto ciò che si muoveva. Nei nostri giorni, la Russia ha invaso l’Ucraina e ha compiuto azioni la cui gravità è nota. Eppure, a nessuno è passato per la mente di chiedere agli USA oppure alla Russia, di fermarsi per evitare danni ai loro cittadini residenti in Italia. Provi il buon Polito a scrivere un articolo chiedendo a Vladimir Putin di fermarsi, per evitare danni ai suoi concittadini in Italia. Sarebbe uno scandalo: è vero che gli ebrei sono pochi e che sono inermi, ma se si assume tranquillamente che la politica di Israele o le sue azioni, possano intaccare il diritto alla tranquilla e pacifica convivenza in Italia fra cittadini ebrei e cittadini non ebrei, vuol dire che non c’è del marcio soltanto nella shakespeariana Danimarca, ma anche da noi.

La definizione IHRA di antisemitismo, adottata dall’Italia, dispone che sia considerato indice di antisemitismo “Considerare gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello Stato di Israele”. Ne consegue che si tratta di un’azione già contemplata, e non di una novità.

Polito non ci considera responsabili collettivamente per le azioni di Israele, ma ritiene sicuro che vi siano soggetti in Italia che possano scatenare l’antisemitismo. La risposta più dignitosa sarebbe che né Israele può farsi condizionare dagli antisemiti italiani né i cittadini ebrei italiani possono essere ostaggi delle vicende mediorientali.

 

Spetta allo Stato italiano evitare che i suoi cittadini ebrei, cattolici, islamici e così via, siano colpiti da azioni delittuose. Finora lo Stato italiano lo ha fatto, lo ha fatto bene e con grande dignità. Arrendersi ai ricatti? Non lo si fa con la mafia, non lo si fa con qualsiasi altro criminale, non lo si può fare nemmeno per considerare che gli ebrei, per il solo fatto di esserlo, diventino ostaggi e, poiché di ostaggi si discorre, dovrebbero bastare gli ostaggi nelle mani di Hamas, per non ammettere vicende del genere sulla giurisdizione italiana, quale che sia la veste in cui tale deprecato evento si produca.

Piuttosto, Antonio Polito consideri che sono in troppi ad esportare un clima di guerra in Italia, mentre invocano la pace. Non si tratta di un paradosso, ma piuttosto di una mossa atroce: chi si diletta nell’esibire su finestre e balconi la bandiera della pace, ha un’occasione, ora, per farne buon uso.

 

Foto in alto: una casa distrutta nel kibbutz Be’eri, dove gli abitanti sono stati trucidati. Antonio Polito (wikicommons)