Nostalgia per Rabin

Opinioni

di Luciano Assin

200px-Flickr_-_Israel_Defense_Forces_-_Life_of_Lt._Gen._Yitzhak_Rabin,_7th_IDF_Chief_of_Staff_in_photos_(11)Il 4 novembre 1995 Yitzhak Rabin veniva ucciso da un fanatico israeliano di destra, Ilan Amir. “Un evento – scrive Luciano Assin sul suo blog L’Altra Israele –  che ha radicalmente mutato la società israeliana, nel bene e nel male. Si può dire che quella notte finì il periodo dell’innocenza, o forse è meglio definirla ingenuità, della società israeliana.

Del significato politico dell’omicidio ne ho già scritto in un mio post precedente, questa volta cercherò di parlare dell’uomo, il Rabin vero, genuino, molte volte brusco e scorbutico perfetto stereotipo dello” zabar” israeliano:  spinoso fuori e dolce dentro.  L’unicità dell’assassinio di Rabin ne hanno fatto per molti versi un martire, il trascorrere degli anni e la mancanza di un orizzonte politico che possa indurre ad un pò di ottimismo non fanno che aumentarne la nostalgia e la sensazione che senza l’omicidio le cose sarebbero andate in una maniera totalmente diversa.

Al di là del giudizio finale sul suo operato sia come soldato sia come uomo politico, il suo vero spessore, la sua autentica differenza è insita nel modo col quale ha gestito i suoi momenti di crisi, rivelandosi così simile a noi da potercisi identificare senza alcun problema.

Il breve periodo di panico antecedente l’inizio della guerra dei sei giorni nella quale ricopriva l’incarico di capo di stato maggiore. La sua per niente velata antipatia verso Peres quando si contendevano la guida del partito Laborista. La rabbia e lo stupore quando dovette affrontare lo scoppio della prima intifada come Ministro della difesa tali a tal punto da fargli pronunciare l’ordine di spezzare braccia e gambe ai rivoltosi, “non ci sono rivoluzioni di lusso” amava affermare.  Il suo disprezzo verso Arafat nella famosa stretta di mano sui prati della Casa Bianca subito dopo la firma degli accordi di Oslo.

Sono tutti tasselli di un puzzle facile da ricostruire visto che l’uomo esprimeva liberamente le sue opinioni ed i suoi sentimenti, senza il timore di doversi scontrare con il suo elettorato e dover pagare un pesante prezzo politico. Era al servizio del paese, gli altri interessi passavano in secondo piano.

Una delle cose che più mi sono rimaste impresse nella memoria al suo riguardo è legata alla cerimonia degli accordi di Oslo nel 1993, al momento della firma Yitzhak Rabin, primo ministro israeliano, estrae dal proprio taschino una comunissima penna “pilot”, una penna del prezzo di pochi euro, alla portata di tutti noi comuni mortali, quasi a voler dire che anche nei momenti più significativi la semplicità era parte indiscindibile del suo carattere”.

Anche se la sua morte verrà ricordata domani sera a Tel Aviv, la ricorrenza sta passando in secondo piano, la notizia non è più di un piccolo trafiletto sui giornali principali. Israele è sempre e costantemente occupata, perennemente affamata di avvenimenti più o meno decisivi ma comunque inderogabili.

Ho una grande nostalgia per Rabin, l’uomo che nelle sue debolezze, la sua rabbia ed i suoi momenti di crisi si è rivelato uno degli ultimi grandi leader che Israele abbia avuto. Non il migliore, ma uno dei più genuini e per questo così umano”.