Ai funerali di Peres, Abu Mazen era in prima fila, il più fotografato di tutti. «Se è qui è perché vuole la pace», hanno scritto i media europei. E se non c’è shalom è “colpa” di Israele

Opinioni

di Angelo Pezzana

La domanda scomoda

Abu Mazen al Funerale di Shimon Peres
Abu Mazen al Funerale di Shimon Peres

Il funerale di Shimon Peres ha raccolto a Gerusalemme capi di Stato e personalità da ogni parte del mondo. Con la sua morte se n’è andato l’ultimo padre della patria, una intera vita al servizio di Israele, da segretario di David Ben Gurion a Presidente dello Stato, dopo aver percorso interamente tutta la scala delle responsabilità politiche. Ma non è rivolta a lui la domanda scomoda di questo mese, e nemmeno a Abu Mazen, che Shimon Peres ha voluto invitare, come ha lasciato scritto nel testamento, un segno di continuità con la mai dimenticata utopia della ricerca della pace a qualunque costo. Il capo dell’Anp ha accettato l’invito, un gesto che avrebbe potuto avere delle conseguenze positive, ma nella sua agenda la parola ‘pace’ non era evidentemente una priorità. Come non lo è nei programmi dei deputati del Partito Arabo Unito presenti alla Knesset che hanno tutti disertato la cerimonia, dimostrando così – sempre che ce ne fosse bisogno – in quale conto tengono la loro funzione politica in un paese che li ha eletti al Parlamento, un paese che definiscono di ‘apartheid’. La domanda quindi non è rivolta nemmeno a loro, come al capo dell’Anp, la cui decisione di essere presente era unicamente in funzione dei media internazionali, che avrebbero avuto una occasione unica per registrare la sua buona volontà. “Se è andato al funerale di Peres, allora vuole la pace, sarebbe stato il commento di giornali e Tv”, aveva calcolato il capo dell’Anp. Infatti così è stato. In assoluto è stato il più fotografato, nei commenti tutti i cronisti hanno detto, se è qui è perché vuole la pace. Nessuno, ripeto nessuno, si è chiesto come mai Abu Mazen, poche settimane prima, aveva rifiutato l’invito personale di Bibi Natanyahu di tenere un discorso ufficiale alla Knesset ai deputati e al popolo d’Israele; quale occasione migliore per dare corpo a una possibile pace, nel ricordo di un altro discorso alla Knesset di un nemico di Israele, l’egiziano Anwar Sadat, che aveva invece detto sì a Menachem Begin e Golda Meir, mettendo così le basi per la firma del trattato di pace fra i due paesi. Abu Mazen si è ben guardato dall’imitare Sadat, che pagò con la vita il proprio coraggio. Che Abu Mazen non sia dotato dello stesso coraggio è evidente. Nel Mondo arabo è consuetudine eliminare fisicamente chi non ottempera alle leggi dell’islam, un calcolo che il nostro avrà sicuramente fatto. Ma che nessuno abbia ricordato l’invito del Premier israeliano – è questa la domanda – è la dimostrazione di un’altra mancanza di coraggio, da parte chi dovrebbe informare e invece omette i fatti per impedire di conoscere la verità su quanto avviene nel vicino Oriente. Abu Mazen era al funerale di Shimon Peres, basta e avanza. E se la pace non c’è ancora – è la menzogna sottintesa – la colpa è di Israele.