Jeshua ben Yosef, una storia ebraica

Libri

di Fiona Diwan

Un nuovo saggio di Giulio Busi, Gesù, il re ribelle. Una storia ebraica

Un rabbi itinerante, un profeta che parla per immagini criptiche, una guida il cui insegnamento si basa sulla tradizione orale ebraica, un taumaturgo-guaritore, un maestro senza fissa dimora che va di porta in porta, di villaggio in villaggio… Chi era davvero Jeshua ben Yosef? Come lo vedevano e percepivano i suoi contemporanei? Che tipo di ebreo incarnava in un Regno di Giudea attraversato da violenti sconvolgimenti sociali e spirituali, in preda a scosse “telluriche” di portata epocale? L’identikit tracciato da Giulio Busi, studioso del misticismo ebraico, docente di Judaica alla Freie Universitat di Berlino e saggista di storia del Rinascimento, è quello di un personaggio inquieto e ribelle, un ebreo polemico e fiero della propria appartenenza ebraica, perfettamente inserito nella temperie spirituale del proprio tempo e allineato con le interpretazioni più libere del testo sacro.

Il volume Gesù, il re ribelle – Una storia ebraica, tiene conto sia del piano storico sia del livello simbolico della figura del profeta, nel tentativo di rileggerne la sua vicenda umana anche in chiave mistica, a partire dai quaranta giorni nel deserto, luogo oscuro dove nulla è mai come appare, luogo della solitudine dove la ricerca e la fuga depressiva aprono nuovi canali percettivi.

E poi il mikve nel Giordano; la dimensione del puro e dell’impuro; lo scontro con il milieu religioso del suo tempo; l’uso del linguaggio profetico, il rapporto irrisolto con la sua famiglia di origine e “la frattura profonda, spesso nascosta e mimetizzata” con la madre e i fratelli. C’è il tema della famiglia biologica che viene sostituita da una nuova compagine elettiva (quella dei discepoli), la scelta radicale e estrema di andarsene, come il Lech lechà di Avraham che abbandona Haran e Ur Kasdim; una voce di rottura, nemo propheta in patria, quel voler recidere i legami con la terra natale, lo “staccati dalle tue certezze, rinuncia al luogo che ti è abituale e vai alla ricerca di uno spazio e di un tempo nuovi”: nella figura di Avraham “sradicato e nomade come un doppio misterioso” c’è il destino parallelo di questo profeta.

Nessun ascetismo, sia chiaro, sottolinea Busi. Jeshua ben Yosef rifiuta l’ascetismo e la mortificazione, inutile macerarsi nella rinuncia e nella solitudine, il suo vero posto è tra la gente, lui si mescola, discute, si arrabbia, litiga. In questa vicenda, com’è lontana “Qumran, con i suoi rotoli pieni di sapienza e di visioni apocalittiche”, come sono lontani l’ascetismo, lo studio e la privazione. Ecco allora un uomo che, come nella migliore tradizione dei profeti di Israele, da Isaia a Ezechiele, si agita, parla, si infervora, dà in escandescenze, digrigna i denti.

Una figura anche esoterica, che sa muoversi tra il visibile e l’invisibile, tra la sfera umana e quella oscura, l’esorcista taumaturgo che sa guarire i reietti e i furiosi, liberarli dai demoni interiori e così zittirli e allontanarli, quei demoni. La Galilea è terra di confine, attraversata da invasori e predatori, terra di ribelli, specie all’occupante romano, come dice la storia della città di Seforis che alla morte di Erode, nel 4 a.e.v. prova a ribellarsi invano, finisce bruciata e i suoi abitanti venduti come schiavi.

Ecco allora un rabbi itinerante, un esule con il suo vagabondare di luogo in luogo, sempre a casa in un Altrove, “l’unico che lo possa accogliere e contenere” scrive Busi. È l’uomo dai continui sconfinamenti, il ribelle appunto, una figura irregolare, un deviante: Busi insiste sull’aspetto di Jeshua ben Yosef come esorcista, perché “l’esorcismo esprime una forma di controllo spirituale molto influente e conferisce uno status sociale molto elevato”, scrive lo studioso.

Insomma, Busi tenta di desumere l’ebraicità di Gesù dagli stessi testi evangelici e ammette quanto possa risultare sfuggente il contesto ebraico originario in cui questa vicenda si inserisce. Tanto più che Gesù parlava in aramaico, leggeva in ebraico mentre i Vangeli sono scritti in greco, una lingua in cui il profeta non si esprimeva.

Giulio Busi sottolinea dettagli ricorrenti, come i pozzi (la Torà è piena di pozzi!), ad esempio l’incontro con la samaritana a cui il profeta ribadisce l’idea che la salvezza viene da Israele, popolo a cui egli stesso appartiene.

Anche qui, come già ci ha abituati in altri suoi saggi, Busi fa parlare le fonti e i testi fondativi cercando di ripercorrere un’avventura spirituale che certamente ha scaturigini ebraiche, ma i cui esiti sono stati sospinti così lontano dalle radici originarie da risultare ormai irraggiungibili.

 

Giulio Busi, Gesù, il re ribelle. Una storia ebraica, Mondadori, pp. 156, euro 20,00.

 

In alto: il film di Franco Zeffirelli Gesù di Nazareth.