Dove sognano i bambini del mondo

Libri

di Ester Moscati

«Quando mi è stato commissionato, dal laboratorio creativo di Benetton, Fabrica, un reportage che parlasse dei diritti dei bambini, mi sono ritrovato a pensare alla mia cameretta. A quanto è stato importante, durante la mia infanzia, avere un mio spazio, e come lì si riflettesse ciò che avevo e chi ero. Mi è venuto in mente che un modo per affrontare alcune delle situazioni sociali, complesse e problematiche, che colpiscono i bambini, poteva essere quello di guardare le loro camere da letto, in circostanze diverse». Così racconta il suo progetto fotografico James Mollison, nato in Kenya nel 1973 e cresciuto in Inghilterra. Iniziato nel 2010, il portfolio si è sviluppato e oggi spopola in rete, rimbalza sui social network e fa discutere. Perché ne parliamo? Al di là dell’interesse oggettivo del progetto e della bellezza delle immagini, ci sembra che alcune fotografie siano drammaticamente evocative di situazioni e condizionamenti che i bambini subiscono. E che, perciò, parlano anche del futuro di tutti noi.

Così è per la fotografia di Douha, 10 anni, di Hebron. Il viso è un po’ triste, ma quasi tutti i bambini sono ritratti in pose serie. Quello che colpisce è il grande quadro che veglia i suoi sonni, nella cameretta che, presumibilmente, divide con una sorellina. Il quadro inneggia, con foto di martiri e combattenti palestinesi, al terrorismo, alla jihad, alla guerra contro Israele. Non meno inquietante è la foto di Joey, 11 anni, americano del Kentucky. Ripreso in assetto di guerra, la sua cameretta è un campionario di armi e “cultura” militare: fucili, archi, frecce, lance. Persino l’orsetto ai piedi del letto, il Teddy Bear di ogni piccolo americano, è vestito con la mimetica da soldato.

Asettica invece la stanza di Tzvika, 9 anni, di Beitar Illit in Cisgiordania. Il letto a tre posti fa pensare ad una numerosa famiglia ortodossa, l’ordine glaciale a una jiddische mame che non tollera nulla fuori posto, cosa peraltro rara se pensiamo alle case piene di bimbi e di caos di tante famiglie di nostra conoscenza.

Dice Gheula Canarutto Nemni, mamma di numerosa prole e giovanissima nonna: «Da quando vengono al mondo desideri solo una cosa, per quegli esseri il cui vagito riempie l’aria di casa e le tue nottate. Il meglio. Vuoi che la luce illumini sempre i loro passi, che le loro parole abbiano un buon sapore, che i loro pensieri siano intrisi di positività. La prima cosa che facciamo, appena il bambino apre gli occhi sul mondo e adocchia le prime ombre della sua vita, è appendere alla sua culla un Shir Hamaalot, un piccolo cartoncino plastificato dove le parole dei tehilim, i salmi, incontreranno il suo sguardo annebbiato. In camera i bimbi più grandi hanno ognuno la sua kuppà della tzedakà, un bossolo dove ogni moneta tintinna con il suono dell’altruismo. Accanto al bossolo, un libro chiamato Chitat, acronimo del contenuto. Chumash, i cinque libri della Torà, Tehilim e Tanya, il fondamento filosofico della chassidut. Queste sono le armi di cui dotiamo i nostri figli per poter combattere il buio del mondo. E di fronte a loro, prima di chiudere gli occhi sulla giornata appena finita, appendiamo le immagini dei grandi tzadikim. Perché anche durante il sonno, il loro sogno più grande sia di diventare una persona giusta agli occhi di D-o e del mondo – conclude Gheula Canarutto Nemni».

«Fin dall’inizio, non volevo che i miei soggetti fossero solo ‘i bambini bisognosi dei Paesi in via di sviluppo’, ma piuttosto qualcosa di più inclusivo. – dice ancora James Mollison – Bambini in tutti i tipi di situazioni. Mi sembrava di dare un senso nel fotografare i bambini  separatamente dalle loro camere da letto, con uno sfondo neutro. Il mio pensiero era che le immagini delle camerette avrebbero mostrato gli oggetti dei bambini e le circostanze culturali che inevitabilmente segnano le persone, mentre i bambini stessi sarebbero apparsi nella serie di ritratti come individui».

Uno dei pochi volti sorridenti è quello di Jasmine (Jazzi), 4 anni, del Kentucky, Stati Uniti. Ma è un sorriso “di scena”, che ha qualcosa di agghiacciante, come quello sulle labbra di una bambola assassina. Jazzi è infatti una precoce reginetta di bellezza, vincitrice di numerosi concorsi per bimbe che spopolano nella provincia americana. Ha solo 4 anni, ma le corone di strass sul tappeto della sua cameretta da Barbie non si contano, come i trofei e le fasce da miss sull’armadio e sul lettino argentato. In confronto all’angoscia suscitata da questi falsi valori, fonte, come narrano le cronache, di stress e traumi infantili, sembra meno triste perfino l’infanzia povera dei bambini del Brasile, dell’Amazzonia, del Nepal, della Cina.

Il libro fotografico che riproduce questo progetto, pubblicato da Chris Boot (www.chrisboot.com) è stato presentato ad un pubblico di ragazzi dai 9 ai 13 anni per coinvolgerli nei dettagli della vita di altri bambini in tutto il mondo, e nelle problematiche sociali che li riguardano. Ma naturalmente è anche un serio saggio fotografico per un pubblico adulto.

Mollison, che oggi vive a Venezia con la moglie e un figlio, ha studiato arte e design alla Oxford Brookes University, e più tardi cinema e fotografia alla Newport School of Art and Design. Nel 2009 ha vinto il Premio Vic Odden della Royal Photographic Society, e i suoi lavori sono pubblicati in tutto il mondo, dal New York Times al Guardian, dalla Paris Review a GQ a Le Monde.

(Ester Moscati)