Un posto sotto questo cielo: il rapimento di Edgardo Mortara e il j’accuse di Daniele Scalise

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di Giovanni Panzeri

Il caso Mortara è il simbolo di una violenza perpetrata per centinaia d’anni. È un chiaro episodio di antisemitismo, uno dei tanti, che tutti i non ebrei dovrebbero intestarsi” spiega Daniele Scalise durante la presentazione del suo ultimo libro Un posto sotto questo cielo, nella serata promossa dalla Comunità Ebraica di Milano e dall’Associazione Pier Lombardo lo scorso martedì 12 settembre al Teatro Parenti.

Il libro riprende il caso e la vita di Edgardo Mortara, un bambino ebreo che nel 1858 a Bologna, a soli 6 anni, venne rapito e sottratto alla famiglia dalle autorità ecclesiastiche, per essere allevato come cattolico sotto la custodia del Papa di allora, Pio IX.

Il caso Mortara è stato inoltre recentemente oggetto del film Rapito, di Marco Bellocchio, basato su un saggio storico del 1996 scritto dallo stesso Scalise.

Oltre a Scalise hanno partecipato al dibattito, moderato dalla regista teatrale Andreé Ruth Shamma, anche Ugo Volli, semiologo e collaboratore di Mosaico, e lo psicologo e psicoterapeuta Giampietro Savuto.

 

Mortara non era l’unico

Il dibattito è stato aperto con un breve tributo da parte di Ugo Volli rivolto alla zia Gemma Volli, storica e membro di spicco della comunità ebraica bolognese, che già negli anni 60 cercò riportare alla luce il caso Mortara, scontrandosi con resistenze e indifferenza.

Il filosofo ha poi descritto al pubblico le ricerche sul tema e le opere di Scalise per proseguire con la lettura della lettera aperta indirizzata dall’autore a Papa Francesco. Una lettera che non ha ancora avuto risposta, e che denuncia l’assoluto rifiuto delle autorità ecclesiastiche non solo di riconoscere le responsabilità della chiesa sulla questione, ma anche di degnarla della minima attenzione.

Una seria assunzione di colpe da parte delle autorità ecclesiastiche sarebbe necessaria anche perché il caso Mortara non è certo l’unico, anzi, come afferma Volli, il saggio di Scalise (del 1996) dimostra “che c’erano molti altri casi, era una cosa assolutamente sistematica ed è continuata fino al secondo dopoguerra”.

“La lettera non avrebbe, dunque, dovuto essere riferita all’intero fenomeno?” ha chiesto Ruth Shamma a Scalise “come mai avete preso in considerazione solo Mortara?”

“Ha ragione. Non era certo un caso isolato” ha risposto Scalise, “i bambini furono presi e chiusi nella Casa dei Catecumeni”- il luogo in cui fu portato Mortara –“ dal 500 almeno fino al 1870”.

“Di casi del genere ce ne furono migliaia” ha spiegato l’autore “ il caso Mortara è emerso perché ha coinciso da una parte con uno stato Pontificio moribondo, dall’altra con l’intervento forte delle comunità ebraiche dell’epoca”.

Ho considerato il caso Mortara come un caso simbolico, espressione di una violenza perpetrata per centinaia di anni, e causato dall’idea che fuori dalla chiesa non c’era salvezza”.

Edgardo Mortara, salute e psicologia.

Savuto ha invece aperto il suo intervento spostando il focus della conversazione sulla salute mentale di Mortara, sul suo rapporto con i genitori e con la figura del Papa e sul perché si rifiutò di riabbracciare la religione ebraica.

“A 6 anni questo bambino, lacerato, cerca di elaborare un dramma che potrebbe portare alla follia e al suicidio, e porta a cercare ancore di salvezza cui rimanere aggrappati per sopravvivere” spiega Scalise “il suo rapporto con la religione cristiana può essere descritto come quello di un bambino che, pestato e buttato in acqua da un barcaiolo, per evitare di affogare si attacca al remo teso dal suo aguzzino”.

Mortara è oggetto di continue umiliazioni: “in una scena del libro” ricorda Volli “ il Papa costringe il bambino a leccare il pavimento facendosi il segno dello croce, dopo che per errore Mortara era inciampato su di lui. È soggetto ad un lavaggio del cervello violento e continuo”.

L’antisemitismo della chiesa cattolica è ancora da temere?

“Potrebbe risuccedere?” ha chiesto ancora Ruth Shammah, “Siamo sicuri che l’antisemitismo della Chiesa non covi ancora sotto le ceneri? Che molti cristiani non pensino ancora che senza la benedizione del dio incarnato siamo privi di salvezza?”.

“Il sospetto è legittimo” risponde Scalise “proprio perché su questo caso non si sono pronunciati. È questo che scandalizza”.

“Dobbiamo guardare in faccia una questione che per ora è del tutto irrisolta” riflette Scalise “e non si può tentare di risolverla con qualche lacrimuccia o qualche discorso ogni tanto. Il caso Mortara potrebbe rappresentare una buona occasione per costringere il mondo non ebraico a guardarsi dentro e a misurarsi con la propria storia, con l’antisemitismo che ancora oggi è diffuso tra noi, in espressioni più e meno consapevoli”.

 

Saluti istituzionali e discorso conclusivo
Sono arrivati anche i saluti di Rav Alfonso Arbib, che non poteva essere presente, mentre il presidente della comunità ebraica milanese, Walker Meghnagi, ha tenuto un breve discorso a conclusione della presentazione, ringraziando Scalise per aver fatto emergere una storia a lungo insabbiata.

“Questo libro dovrebbe essere presentato ovunque nel mondo” ha dichiarato Meghnagi “queste prevaricazioni non devono più accadere. Non devono più accadere verso nessuno, sia chiaro, che siano ebrei, cristiani o musulmani”.