«La Diaspora e Israele devono crescere insieme»

di Ester Moscati

Intervista al nuovo Shaliach del KH, Eyal Avneri. Classe 1973, sposato con Hila Schlesinger, psicologa, e padre di Emilia e Gioia, è arrivato in Italia nel settembre 2022 con la sua famiglia allargata a cani e gatti. Gli obiettivi? Rafforzare il legame tra gli ebrei italiani e la Medinat Israel

 

Eyal Avneri ha un curriculum eclettico e interessante, che racconta di un uomo di grandi risorse intellettuali e di alti valori, capace di mettersi in gioco e impegnarsi a fondo nei progetti che persegue. Parla perfettamente italiano (ha studiato a Roma) ed è un conversatore brillante.

Quando è nato e dove? Ci racconta qualche cosa di lei?
Sono nato a Tel Aviv il 17 marzo 1973, sono sposato con Hila Schlesinger, psicologa, e ho due meravigliose figlie, Emilia di 16 anni e Gioia di 14. Amo molto gli animali e ho due cani, fratelli, maschio e femmina che si chiamano Bono (come Bono degli U2) e Bianca. Abbiamo anche due gatti, anche loro fratello e sorella, che si chiamano Buffon e Pelma. Tutti cuccioli trovatelli, salvati dalla strada; il randagismo è un problema in Israele. Quando siamo venuti in Italia a settembre li abbiamo portati tutti con noi. Sono cresciuto a Tel Aviv, da ragazzo giocavo a basket e suonavo il basso in un gruppo. Poi mi sono appassionato anche di fotografia e durante il servizio militare sono stato fotografo per l’IDF impegnato nell’area del portavoce militare. Dopo i tre anni di leva mi sono trasferito a New York per sei mesi e poi sono tornato in Israele dove ho lavorato per EL AL per due anni e mezzo. Successivamente, mi sono trasferito a Roma nel 2000 per studiare disegno industriale presso l’ISIA, una scuola prestigiosa e molto selettiva, con difficilissimi test d’ingresso in italiano, perché non ci sono posti per stranieri. Per cui ho dovuto imparare molto bene l’italiano, la cultura, l’arte e acquisire in breve tempo le conoscenze che i ragazzi italiani assimilano al liceo. Per motivi di famiglia sono tornato in Israele e ho finito la mia formazione alla Bezalel Academy of Arts and Design a Gerusalemme.

Dopo la laurea ho lavorato come regista e sono molto orgoglioso di un film in particolare, Little Peace of Mine (Shalom katan sheli) che ha vinto premi e riconoscimenti nel mondo e mi ha portato a conoscere il mio idolo, Bob De Niro, con cui ricordo ancora una piacevolissima serata a cena. In Israele ho finito il mio master universitario e ho iniziato a lavorare nel marketing tecnologico, e aprire mercati in diversi Paesi per le aziende con le quali lavoravo. Tutto questo fino al periodo della pandemia di Covid, che mi ha fatto riflettere molto. Alla vigilia dei cinquant’anni, mi sono chiesto che cosa potevo fare al di là della mia carriera professionale e della mia vita familiare. Cosa potevo fare di più per aiutare Israele. Per diverso tempo ho cercato un’idea per aiutare gli altri e il mio Paese in un modo diverso, allargando gli orizzonti.

Come si è avvicinato al Keren Hayesod?
Proprio in quel periodo ho ricevuto una chiamata dal KH, per partecipare a un progetto. Questo mi ha consentito di entrare in questo mondo. Non è per me un lavoro, la considero una missione alla quale mi sono preparato con esami, test, corsi… perché entrare a far parte della grande famiglia del KH non è una cosa semplice; richiede un percorso di formazione molto intenso e molto approfondito. Ho iniziato nel settembre del 2021 e nel settembre del 2022 sono arrivato con tutta la mia famiglia in Italia.

Quali sono le sue aspettative? Che impressioni ha avuto delle Comunità italiane e in particolare di Milano?
Il mio obiettivo è soprattutto quello di rafforzare il collegamento tra la diaspora e Israele; io penso che siamo una grande famiglia al di là delle divisioni politiche, sociali, di provenienza … in questo credo moltissimo perché è l’unica cosa che può aver fatto sì che per 3.500 anni siamo rimasti un popolo unito, nonostante tutte le vicissitudini in cui siamo stati coinvolti. Il mio pensiero in questa missione in Italia è focalizzato su come si può continuare a rafforzare questo legame, incrementarlo e migliorarlo sempre di più. Tramite l’Agenzia ebraica, il KH aiuta tutti coloro che vogliono fare l’Aliya in Israele a inserirsi nel Paese. Sosteniamo questa iniziativa e rafforziamo i legami in diverso modo; per esempio con i viaggi dei giovani in Israele, finanziando i ragazzi delle scuole ebraiche di Milano e di Roma che non possono sostenere le spese del viaggio. Questo perché tutti abbiano l’opportunità di conoscere meglio il paese. Ci tengo anche a dire che nel periodo della pandemia il KH, tramite l’Agenzia ebraica, ha dato alle Comunità italiane un milione di euro perché abbiamo visto e compreso bene le difficoltà che attraversava l’Italia, soprattutto nel primo periodo della pandemia e abbiamo voluto dare un aiuto concreto.

Il mio secondo obiettivo è il rafforzamento di Israele e l’aiuto alla sua popolazione. Vorrei far comprendere agli ebrei italiani quanto sia importante e necessario per Israele il loro aiuto. Con le persone con cui parlo, mi sento spesso dire che Israele è forte, è un’assicurazione per il popolo ebraico, che può dare agli ebrei del mondo, non solo italiani ed europei, una difesa sia politica sia in termini di sicurezza contro l’antisemitismo; e questo è senz’altro vero, perché Israele consente agli ebrei di tutto il mondo di avere uno Stato autorevole che funziona da garanzia a diversi livelli. Però voglio sottolineare come questo aiuto debba essere reciproco. Ci sono molte similitudini tra l’Italia e Israele; comunità come Roma e Milano per esempio sono formate da ebrei di diverse provenienze, esattamente come Israele. E tutti questi ebrei, nonostante abbiano magari origini molto diverse, hanno valori comuni, valori che ci legano in quanto ebrei, molto specifici e molto forti. Per questi forti legami che ci uniscono voglio che sia molto chiaro che Israele ha bisogno degli ebrei del mondo, ha bisogno degli ebrei italiani, perché è vero che è un Paese forte, è vero che ci sono città come Tel Aviv che sono città ricche, all’avanguardia nel mondo… ma Tel Aviv rappresenta il 15% della società israeliana. Le periferie (e per “periferie” non intendo solo le piccole città, ma anche centri come Beer Sheva, per esempio) hanno delle vaste aree di povertà economica e di disagio sociale che vanno aiutate e sostenute. Il KH è in prima linea in questo. In Israele ci sono molti ragazzi che vanno aiutati non solo dal punto di vista economico, ma anche nel sostegno per uscire da traumi causati dalla guerra, dagli attentati; questo soprattutto nel sud di Israele dove ci sono città che vengono bombardate tutti i giorni da vent’anni. Ragazzi che sono cresciuti in questo contesto hanno un grandissimo bisogno di supporto.

Ci sono poi gli anziani, spesso anche gli ultimi sopravvissuti alla Shoah, che versano in difficoltà economiche molto profonde. Per la sicurezza interna di Israele vengono spese delle somme ingentissime e l’80% della società israeliana è sostenuta solo da quel 15% di persone che grazie all’economia dell’high-tech all’avanguardia hanno risorse con cui devono sostenere tutto il resto della popolazione israeliana.
Parlando con molte persone mi sono reso conto che in Italia non molti sanno che alla Knesset è stata varata una legge speciale per il Keren Hayesod: è l’unica organizzazione che Israele riconosce ufficialmente come partner nel sostegno dello Stato. Ci occupiamo dei cittadini israeliani dalla nascita fino alla vecchiaia, con tutta una serie di progetti.

Di recente il KH Italia ha inaugurato una iniziativa focalizzata proprio sulle vittime del terrorismo che hanno subito danni fisici e danni psicologici. C’è un enorme bisogno di terapie post-trauma per aiutare le persone a recuperare. È un progetto molto importante che voglio portare avanti con la comunità italiana.

 

 

Foto in alto: Eyal Avneri con la sua famiglia e l’ambasciatore di Israele in Italia, Alon Bar.