(Foto: un particolare del dipinto di Gustav Klimt Le tre età della donna)
di Ghila Piattelli
Prosegue la pubblicazione di racconti di finzione legati a temi di attualità. Qui un racconto di Ghila Piattelli, italiana residente in Israele, in cui la storia biblica di Sarah e il figlio Isacco viene riletta in chiave attuale.
Ha preso suo figlio, il suo unico, colui che aveva amato sopra ogni cosa.
Ha sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato. Ha preso suo figlio, l’ha aiutato a fare lo zaino, ha preparato per lui ventuno paia di calze, nel caso non potesse fare il bucato, e infine, in una tasca, ha nascosto la piccola tunica cucita con le sue mani.
Durante il viaggio verso l’ufficio di reclutamento, sono rimasti in silenzio.
Fa parte del patto, le sussurra una voce interiore.
Vehana’ar na’ar -ma lui è ancora un ragazzo- ribatte lei.
Lo sappiamo, risponde la voce, e così deve essere, aggiunge.
Ma è il ragazzo per cui ho pregato, continua lei.
Non sei la sola a pregare per il proprio figlio.
Ma lei non si arrende, per lui, yamim yamima – anno dopo anno-, ho cucito una tunica per proteggerlo, ogni anno una tunica un po’ più grande. L’ha indossata il primo giorno di scuola, la prima notte che ha dormito fuori casa, il primo campeggio, la prima volta che è andato all’estero da solo. E anche adesso, confessa, è riuscita a nascondere una piccola tunica nella tasca dello zaino, perché porti con sé un po’ della casa dove è cresciuto. La voce questa volta tace e lei osserva il ragazzo, attraverso lo specchietto retrovisore, con quei capelli corti sembra ancora più bambino, i suoi riccioli neri sono caduti sul pavimento uno a uno, la sera prima, quando i suoi amici sono venuti a rasargli la testa.
Vehana’ar na’ar, ripete ma non c’è più nessuno a risponderle, sono arrivati, il momento si avvicina. Ha cercato di rimandarlo in ogni modo e anche adesso i suoi movimenti sono lenti, un tentativo di ritardare la separazione anche se soltanto di qualche secondo. Ma il momento di salutarsi arriva lo stesso, parole sussurrate con la voce strozzata, mentre invece mostra un sorriso smagliante. Arriva anche quell’ultimo abbraccio al ragazzo, che tra due settimane tornerà a casa, ma non sarà più lo stesso.
Poi, soltanto dopo che il suo pullman è partito lasciandosi alle spalle una nuvola di sabbia, lo vede. Soltanto allora al di là degli alberi, impigliato a un rovo, è comparso un ariete, sì, per quanto potesse sembrarle assurdo si trattava proprio di un piccolo ariete nel mezzo del piazzale dell’ufficio di reclutamento. Allora, si è ricordata del patto. Ora ne è sicura, nessuno scaglierà la mano contro il ragazzo. Il ragazzo per il quale ha pregato, suo figlio, il suo unico figlio, colui che ha amato. Attraverserà mari e deserti, ma poi farà ritorno a lei, perché lì è la sua casa.