Ebrei a Kherson: storia di una comunità forte e coraggiosa che ha segnato la storia d’Europa

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di Marina Gersony
Odessa, Leopoli, Kiev, ma anche città e paesi dai nomi fino a ieri sconosciuti ai più come Kharvik, Mariupol, Zaporižžja, Žitomir, Lugansk, Bucha, Kherson, diventati sinistri simboli di un conflitto che sembra non avere fine. Oggi, a un anno di distanza dall’invasione russa dell’Ucraina, non si contano i morti, i feriti e gli sfollati costretti a fuggire dalle proprie case e dalle città ridotte in macerie.

Molti di questi luoghi hanno avuto un ruolo significativo nella storia dell’ebraismo europeo, sia dal punto di vista intellettuale che politico; una storia caratterizzata da momenti di grande splendore ma anche da periodi bui, segnati da pogrómy di massa e massacri, uno fra tutti il famoso burrone di Babij Jar (1941), dove oltre 30.000 ebrei furono uccisi dai nazisti e dai loro emuli locali. Tuttavia gli ebrei hanno avuto anche forti legami con gli ucraini grazie alle relazioni fruttuose tra le due comunità. Per secoli hanno dato un forte contributo al mondo circostante grazie a personalità di spicco in ambito scientifico, artistico, culturale e politico.

Una fra tutte è l’antica comunità ebraica di Kherson, città portuale situata sul fiume Dnepr nella parte meridionale dell’Ucraina, capoluogo dell’omonima oblast’ e attualmente città simbolo della controffensiva. Qualche giorno fa, il 21 febbraio, è stata di nuovo colpita dall’esercito russo, con «almeno 12 i morti» come ha riferito la first lady Olena Zelenska su Twitter. A conferma che la ritirata dei russi nel novembre scorso è stata solo un’illusione di un conflitto tutt’altro che concluso.

VIDEO: Quel che resta dell’aeroporto di Kherson dopo 10 mesi di guerra.

Gli ebrei iniziarono a stabilirsi a Kherson nella seconda metà del XIX secolo e presto iniziarono a svolgere un ruolo chiave nello sviluppo economico della città. Nel 1880 più del 50 per cento di tutti gli artigiani erano ebrei. Molti di loro contribuirono attivamente allo sviluppo del commercio di legname e altri prodotti forestali con la Russia Bianca. Inoltre, influenzarono l’espansione del commercio di esportazione di grano. La comunità di Kherson si distinse anche per il suo spirito progressista e per aver riconosciuto il valore di un’educazione innovativa e moderna. Nel 1899, la città vantava una vivace comunità ebraica che comprendeva otto case di preghiera, cinque sinagoghe (tra cui una caraita), una scuola tecnica ebraica, un Talmud Torah, un dispensario ebraico e diversi ḥadarim.

Sede di uno dei rami principali del movimento sionista, non tutti forse sanno che a Kherson, nel 1894,  nacque il secondo primo ministro israeliano, Moshe Sharett (nato Shertok), che all’età di quattordici anni emigrò nell’allora Palestina ottomana. La sua famiglia fu tra le fondatrici di Tel Aviv. Profondo conoscitore della cultura e della lingua araba,  fu membro dell’Histadrut, il potente sindacato israeliano e dal 1933 al 1938 guidò i negoziati tra il governo britannico, che amministrava la Palestina su mandato della Società delle Nazioni, e l’Agenzia Ebraica.

Nel 1897, la città di Kherson contava una popolazione di 59.076 abitanti. Di questi, quasi la metà erano russi, il 30 per cento ebrei e il 20 per cento ucraini, in base alla loro prima lingua. Il russo era la lingua più diffusa seguita dallo yiddish e dall’ucraino, principalmente utilizzato nelle zone rurali e per le comunicazioni informali. In termini economici, gli ebrei della provincia di Kherson erano tra i più ricchi e stabili tra le zone di residenza in cui avevano il permesso di vivere in modo permanente. In genere si trattava di un numero limitato che aveva ottenuto un titolo nobiliare, aveva accesso all’università o faceva parte delle corporazioni più potenti, soprattutto quella degli artigiani.

Dopo la rivoluzione del febbraio (1917) in Russia, le attività sioniste a Kherson ricevettero un nuovo impulso anche se breve: furono istituiti un liceo ebraico affiliato all’organizzazione Tarbut – una rete di scuole ebraiche diffusa in tutta l’Europa orientale fondata a Mosca – e un club sportivo Maccabi. Si trattava di una città all’avanguardia in molti settori. Tuttavia, alla fine degli anni Venti, ogni attività sionista fu soppressa dalle autorità.  La situazione si aggravò rapidamente: ancora oggi gli esperti divergono sul numero totale di ebrei morti durante le persecuzioni antisemite, che includono il pogrom di Kherson nell’aprile 1919 perpetrato dai soldati dell’Armata Bianca di Anton Ivanovič Denikin, così come le persecuzioni sia da parte dei Bianchi che dei nazionalisti ucraini, insieme agli assassinii commessi dai Rossi contro la classe benestante ebraica.

Negli anni successivi molti ebrei di Kherson iniziarono a trovare impiego nell’industria o nell’agricoltura, e le restrizioni imposte alle loro attività economiche furono ridotte. La città vantava diversi istituiti yiddish, tra cui la biblioteca, le scuole primarie, professionali e superiori per lavoratori (Rabfak). Negli anni Venti esisteva anche una divisione ebraica del tribunale locale in cui i casi venivano trattati in yiddish. Nel 1939 gli ebrei di Kherson erano 16.145, pari al 16 per cento dell’intera popolazione cittadina. A quel numero si aggiunsero molti sfollati e profughi, prima dalla Polonia occupata dai nazisti e, dopo il 22 giugno 1941, dalle aree occidentali dell’Unione Sovietica.

Dopo un breve periodo di  apparente ripresa, la situazione peggiorò con l’occupazione di Kherson da parte dei tedeschi il 19 agosto 1941, un tragico evento nella lunga lista di atrocità compiute in quegli anni. Mentre la maggior parte degli ebrei presenti in città (circa due terzi della popolazione) riuscì a fuggire o fu evacuata, circa 7.000 persone rimasero intrappolate. Subito dopo l’occupazione iniziarono i massacri di massa che non risparmiarono neppure i bambini. A fine agosto 1941, fu costituito uno Judenrat con l’ordine di registrare tutti gli ebrei della città. Questi ultimi furono costretti ad applicare il Maghen David sui vestiti e consegnare ogni oggetto di valore in loro possesso. Fino a 1.000 ebrei venivano prelevati ogni giorno per i lavori forzati. Il 7 settembre 1941 gli ebrei di Kherson furono rinchiusi in un ghetto circondato da filo spinato e sorvegliato da sentinelle con cani. Il ghetto si trovava alla periferia della città. Il 23 settembre furono trasferiti in un complesso carcerario, ad eccezione dei convertiti al cristianesimo e dei figli di famiglie miste. Coloro che non erano in grado di camminare furono brutalmente picchiati e poi fucilati senza pietà. Il giorno seguente, uomini, donne e bambini furono suddivisi in gruppi da 15 a 20 e portati nelle trincee anticarro tra i villaggi di Zelenovka e Rozhnovka a nord-est, dove furono assassinati dal Sonderkommando 11a, guidato dall’SS-Hauptsturmfuehrer Eberhard Heinze. La stima del numero delle vittime varia da 5.000 (secondo fonti tedesche) a oltre 8.700 (secondo fonti sovietiche). Tra gennaio e febbraio 1942, secondo altre fonti, circa 400 bambini nati da matrimoni misti furono uccisi. Kherson fu liberata dall’Armata Rossa il 13 marzo 1944.

Dopo la guerra, la comunità ebraica di Kherson tentò di ricostruirsi, ma subì un duro colpo a causa della politica antisemita del governo sovietico. Molte sinagoghe e istituzioni ebraiche furono chiuse e gli ebrei costretti a nascondere la propria identità culturale e religiosa. Nel 1959 rappresentavano il 6% della popolazione totale di Kherson, in tutto 9.500 persone. In quell’anno, l’ultima sinagoga fu chiusa dalle autorità, ma nel 1991 venne restituita alla comunità quando la vita ebraica riprese, nonostante la maggior parte degli ebrei di Kherson decisero di emigrarre in Israele e in altri Paesi in cerca di migliori opportunità e di una maggiore libertà religiosa.

Attualmente non è stato confermato il numero di ebrei presenti nella comunità di Kherson, la quale risulta notevolmente ridotta rispetto al passato. A causa dell’invasione russa, molti hanno dovuto affrontare una scelta difficile: fuggire o restare per proteggere le loro case.  Tanti sono stati evacuati attraverso i corridoi umanitari verso il territorio controllato dall’Ucraina, mentre altri sono partiti attraverso la Russia e hanno fatto il lungo viaggio attraverso i Paesi Baltici, la Polonia e sono tornati in Ucraina, oppure sono andati in Israele. Chi è rimasto sopravvive come può insieme a tutti gli altri abitanti in una città sempre più desolata e spettrale. Lo stesso rabbino della città, Yosef Wolf, emissario di Chabad, lo scorso novembre aveva denunciato lo stato di emergenza a causa della mancanza di elettricità, acqua e riscaldamento, mentre le temperature notturne erano scese sotto lo zero Celsius. Prima della ritirata, l’esercito russo aveva distrutto le strutture infrastrutturali (comunicazioni, acqua, riscaldamento, elettricità, torre della televisione) e saccheggiato i due musei principali.

Intanto, nonostante la ritirata delle truppe nemiche da Kherson lo scorso 9 novembre, i bombardamenti non si arrestano neppure in questi giorni e continuano a mietere vittime in un’Ucraina sempre più distrutta e lacerata.

 

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