A un anno dall’invasione russa, in Ucraina l’ebraismo resiste

Mondo

di Anna Lesnevskaya

A un anno dall’aggressione di Vladimir Putin, a Kiev e nel Paese, il mondo ebraico lotta e sopravvive malgrado le ferite di guerra, mentre dalla Russia parte una grande aliyah.

Storie di vite spezzate, ma anche di resistenza e speranza è quanto ci restituiscono immagini e voci dall’Ucraina ebraica a un anno dall’inizio dell’aggressione russa. Ecco in una foto Aleksandr Olejnikov, 20 anni, accanto alla chanukkiyah della sinagoga di Mariupol. Un anno dopo lo stesso candelabro è stato ritrovato tra le ceneri del tempio ebraico colpito durante l’offensiva russa che ha raso al suolo la città ed è stato riacceso per Chanukkà. Ma di Aleksandr da marzo 2022 non c’è traccia. Si teme che il ragazzo, coordinatore dei programmi ebraici giovanili nella città, possa essere stato tratto in prigionia dai russi. Finora le ricerche sono proseguite invano.

 

In un’altra foto di due anni fa c’è Olga Usova, giovane mamma che è entrata in contatto con la comunità ebraica di Kharkiv scoprendosi ebrea e ha deciso di iscrivere suo figlio di sei anni, Zoreslav, alla scuola ebraica. Olga, dentista altamente specializzata, era fuggita da Donentsk nel 2014, per un periodo ha vissuto a Kharkiv per poi trasferirsi, con lo scoppio della guerra, a Dnipro. Qui come volontaria curava gratuitamente i soldati ucraini. Il 14 gennaio scorso insieme a un’amica stava passando accanto a un palazzo residenziale di Dnipro proprio quando è stato colpito da un missile russo. La donna 36enne e la sua amica sono tra le 46 vittime di quell’attacco.

«Questa guerra è una tragedia immane per gli ebrei di Kharkiv, dell’Ucraina e per tutto il popolo ucraino», ci dice il rabbino di Kharkiv Moshe Moskovitz, arrivato nella città più di 30 anni fa. Ai primi di marzo 2022 il rabbino con la sua famiglia ha lasciato la città pesantemente bombardata. Nei tre mesi di esilio non ha mai smesso di sostenere la sua comunità da lontano e alla fine di maggio 2022, appena è stato possibile, è tornato a Kharkiv. La situazione lì rimane difficile, i bombardamenti russi continuano, l’elettricità viene razionata, nei pomeriggi d’inverno la città sprofonda nel buio. La sinagoga, provvista di un generatore, continua a essere un punto di riferimento per la comunità, a distribuire aiuti e ad evacuare gli sfollati.

La comunità ebraica di Kharkiv si è assottigliata a causa della guerra; dei 25mila ebrei, ora ne rimangono circa 15 mila. Ma in mezzo alla desolazione non mancano cenni di speranza. Per Chanukkà il rabbino Moskovitz ha acceso le candele del grande candelabro installato nella metro di Kharkiv e a gennaio 2023, nella comunità, sono avvenuti quattro brit milà. Un ragazzo di 9 anni, Timur (Avraham), che si è sottoposto al rito ha confessato al rabbino che non prega da 8 mesi. La scuola ebraica, chiusa dall’inizio della guerra, era per molti bambini l’unico legame con la vita ebraica, ci spiega il rabbino. Ma nonostante tutto rimane ottimista per il futuro della sua comunità; a preoccuparlo di più è il destino delle piccole comunità in giro per l’Ucraina.

 

In fuga dalla Russia verso Israele

Se nel 2022 il numero di immigrati in Israele dall’Ucraina è cresciuto di quasi 5 volte, arrivando a 15.213 rispetto ai 3.129 del 2021 (dati dell’Agenzia ebraica), è stato superato di gran lunga dalle aliyot dalla Russia. Nel 2022 43.685 ebrei russi hanno fatto l’aliyah, numero quasi sei volte superiore ai 7.760 olim del 2021. C’è chi fra loro è stato spinto dal forte senso di protesta contro la guerra o dallo sgretolamento di quel poco che restava dalla democrazia, ma molti hanno deciso di lasciare il Paese soprattutto di fronte ai timori per il futuro economico e minacciati dal pericolo della mobilitazione.

«Questa aliyah è una continuazione della cosiddetta ‘aliyah di Putin’ cominciata dopo l’annessione della Crimea nel 2014», ci spiega Arkady Mayofis, lui stesso fuggito dalla Russia verso Israele nel 2015 con solo uno zaino sulle spalle. Nel 1990 Mayofis aveva fondato nella città siberiana di Tomsk una delle prime compagnie televisive private nell’URSS, TV2, che negli anni è diventata una tivù di successo pluripremiata.

Nel solco della stretta sui media indipendenti cominciata nell’era di Putin, TV2 è stata chiusa nel 2015 con il rischio di arresto immediato per il fondatore. In Israele Mayofis si è reinventato e ora guida un’azienda familiare di successo, Yoffi, che si occupa dei souvenir gastronomici israeliani.
«L’‘aliyah di Putin’ è composta da persone laureate, provenienti dalle grandi città, realizzate nella loro professione», ci dice Mayofis. Ma a differenza di quelli che sono partiti dopo l’annessione della Crimea e che hanno pianificato l’espatrio, gli olim della guerra del 2022 sono fuggiti completamente impreparati, spesso senza mezzi economici e molto traumatizzati psicologicamente. Tra loro, tante persone del mondo creativo, ma anche circa 1000 scienziati di fama internazionale. «Molte di queste persone continuano a rimanere col pensiero in Russia e tornerebbero alla prima occasione, – continua Mayofis -. Ma io, che da 8 anni non vivo più lì, sono più razionale e credo che nel prossimo futuro in Russia non ci saranno cambiamenti rilevanti. Prima lo capiranno i nuovi olim e prima disferanno le valigie anche mentalmente, meglio avverrà la loro integrazione in Israele».