La città dorica dove il santo patrono era ebreo

Italia

di Daniel Fishman

È l’ebreo Dustin Hoffman il testimonial della Regione Marche. Da due anni con un inconfondibile accento americano declama l’Infinito di Leopardi e invita a visitare una delle più belle e meno conosciute Regioni d’Italia. “Effettivamente – spiega Luciano Pompili, presidente di Federalberghi Marche – le ricerche ci dicono che siamo poco ‘profilati’ e non chiaramente percepiti. C’è la parte litoranea, l’entroterra, luoghi storici, ma in percentuale poco si sa di noi. Veniteci a scoprire”.

Anche nell’Italia ebraica si parla poco delle Marche. Eppure, spiega Maria Luisa Moscati Benigni, storica dell’ebraismo marchigiano e autrice di Marche – Itinerari ebraici (Marsilio editore), “la nostra Regione è quella che ha dato vita al maggior numero di cognomi ebraici riferibili a località: Ancona, Ascoli, Camerino, Cingoli, Della Pergola, Fano, Mondolfo, Senigallia, Osimo, Pesaro, Urbino, e molti altri, con tutte le loro varianti; questo a testimonianza di una presenza diffusa sul territorio e storicamente ben datata”.

Allo stato attuale è possibile visitare alcune sinagoghe (a Urbino e Senigallia ancora funzionanti, a Pesaro monumento storico), ma solo ad Ancona è ancora presente una comunità a tutti gli effetti.

La sua sede è situata nel pieno centro storico, a conferma della “centralità” del nucleo ebraico nella struttura cittadina. Ho appuntamento con Daniele Tagliacozzo, e nell’avvicinarmi a Via Fanti, quando chiedo l’indicazione stradale a una ragazza, questa mi dice, letteralmente “Lo vede quel signore laggiù in piedi? È Daniele Tagliacozzo, la Comunità è lì”.

“Sì, – si schermisce Daniele- qui ci si conosce tutti. Sono poi capogruppo dell’Idv ed ex Assessore al Turismo, ma fosse anche solo per la Comunità o per il fatto che lavoro in banca, tutti mi conoscono e tutti saprebbero indicarti dove è la nostra Comunità”.

Che in realtà, vista da fuori, non è particolarmente evidente. Come in altre città dello Stato Pontificio, gli ebrei “stavano coperti”, e non ostentavano le loro sedi e sinagoghe.

Ed è proprio da questo periodo storico che viene il detto che “da Livorno e da Ancona non viene mai cosa bona” perché era da queste due città che partivano gli esattori fiscali.

Questa situazione pontificia pregressa contrasta con quanto avvenuto nel settembre 2011, quando 50 alti prelati e quattro cardinali si sono presentati alla Sinagoga accolti da rav Giuseppe Laras. Monsignor Menichelli, vescovo della città, è da sempre attento ai rapporti con la Comunità ebraica e non a caso in questa città è molto vivace l’Associazione di Amicizia Ebraico-Cristiana, la cui attività risale già agli anni Settanta. Del resto, la leggenda vuole che San Ciriaco, santo patrono della città, fosse un rabbino nato a Gerusalemme, nel IV secolo, con il nome di Giuda, figlio di Simeone e Anna, nipote di Zaccheo.

Un episodio del passato più recente emerge invece nelle parole di Bruno Coen, il vispo presidente (85 anni egregiamente portati), quando racconta che, all’arrivo di Napoleone, questi volle fondere le campane del Duomo e che la Comunità ebraica pagò perché questo non avvenisse.

Ciò non toglie che gli ebrei anconetani fossero fondamentalmente a favore di chi veniva a portare loro la libertà e l’emancipazione. Nei registri comunitari sono infatti presenti diverse persone con il nome di Napoleone.

Visito la città in aprile, alla vigilia del Seder, che come ogni anno verrà svolto in maniera collettiva tra gli iscritti. La segretaria, signora  Lanternari, è indaffaratissima per la preparazione del Seder e per la vendita delle matzot. Trova il tempo per farmi vedere il mikvé, di farmi notare che hanno circa 100 sefarim e una infinità di bellissimi parochet, e le due sinagoghe luminose e molto ben tenute.

Tagliacozzo, quando era Assessore si è molto dato da fare per far conoscere il patrimonio ebraico della città. Ogni anno, circa cinquanta scolaresche vengono in Comunità, ma l’idea è quella di avere un circuito turistico ebraico che sfrutti i tanti croceristi di passaggio ad Ancona. C’è da vedere il Campo degli Ebrei, il più antico cimitero ebraico in Europa, un luogo suggestivo a strapiombo sul mare (e infatti sono state trovate anche delle tombe scivolate in acqua). C’è poi da vedere la bella Piazza Malatesta, sede ahimè di un eccidio di “marrani”, e ovviamente le sinagoghe e il Teatro delle Muse, restaurato dalla Brigata Ebraica.

Il termine-concetto di “sabra” (il fico d’india israeliano), con le sue qualità di spinoso fuori e dolce dentro, gli anconetani se lo attribuiscono dicendo di sè che sono come la “crocetta”, un mollusco di scorza dura e interno squisito (ovviamente ci basiamo su pareri di estimatori non della tribù). Gli anconetani si definiscono diffidenti verso tutto quanto viene “da fuori”, eppure non sono pochi gli extracomunitari che si vedono in città, tanti dei quali risiedono presso l’antico Ghetto.

La storia della Comunità, seconda solo a Roma in termini di insediamento, lascia però intravedere un difficile futuro. Mentre Tagliacozzo, sempre pronto a rilanciare la Comunità con iniziative di grande respiro, fa la parte dell’ottimista, il Presidente realisticamente prende nota della mancanza di giovani tra i 160 iscritti alla Comunità.

La città e le Marche sembrano risentire meno di altre regioni della crisi, ma sono praticamente scomparsi gli ambulanti, un mestiere tradizionalmente ebraico da queste parti.

Al Seder hanno partecipato una sessantina di persone, guidate da Vittorio Robiati Bendaud di Milano, in rappresentanza del Rabbino Capo della Comunità che è Rav Giuseppe Laras. Vittorio ha momentaneamente preso il posto del capoculto Aron Nachamiel, un israeliano presente da qualche anno in città. Rav Giuseppe Laras, così come Rav Toaff, qui cominciò la sua carriera rabbinica e la sua presenza, seppur non stabile, aiuta a mantenere il livello dell’offerta ebraica alla kehillah.

Un giro in città permette di scoprire che c’è anche una scuola di Qabbalah, gestita da non ebrei, che si riunisce in particolare quando c’è la luna nuova. Che l’Università è dedicata all’ebreo Giorgio Fuà, e che la toponomastica comprende Via Orefici, Via del Bagno e Via delle Azzimelle, a testimonianza delle numerose tracce ebraiche antiche.

Anche senza la pubblicità di Dustin, ci sono dunque tanti buoni motivi per fare un salto da queste parti.

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Il boicottaggio del porto di Ancona

Quando Gracia Mendes mise in ginocchio la città

Nel 1555, il 14 luglio, il nuovo papa Paolo IV Carafa, con l’editto “Cum nimis absurdum” emana una lunga serie di infami costrizioni contro gli ebrei ed istituisce il ghetto a Roma: in quello stesso anno in Ancona inizia lo strazio degli ebrei portoghesi che il Papa, al contrario dei suoi predecessori, considerava marrani. Ne furono arrestati novanta e confiscati i loro beni. Ancora una volta i conversos non hanno altra alternativa che un nuovo battesimo o il rogo. Ma nonostante i 16 mila ducati d’oro pagati, solo alcuni riescono a fuggire, altri accettano il battesimo, mentre 25 di loro, riconosciuti colpevoli di apostasia dall’Inquisizione, finiscono, tra l’aprile e il giugno del 1556, su una serie di roghi in Piazza del Campo della Mostra. Anche se da tempo ormai l’Inquisizione mandava ogni anno centinaia di ebrei al rogo in Spagna, tuttavia questa era la prima volta che ciò accadeva nello Stato della Chiesa. La notizia si diffuse rapidamente tra le varie comunità dislocate lungo le coste del Mediterraneo. In Turchia la potente Doña Gracia Mendes e suo genero Josef Nassì organizzarono immediatamente il boicottaggio del porto di Ancona a favore di quello di Pesaro. Questo fu il primo e unico atto di ribellione aperta organizzato contro il papato: Ancona, infatti, era il porto di Roma aperto verso il Levante.

Tutti i ricchi traffici con l’Oriente furono dirottati sul porto di Pesaro, che il Duca Guidubaldo II fu ben lieto di ampliare e migliorare visto l’utile che ne avrebbe ricavato. Questo fu per la città di Pesaro il periodo d’oro: navi cariche delle merci più preziose attraccavano alle banchine del suo porto, la città divenne il centro di smistamento delle merci destinate alle città dell’interno, gli affari prosperavano. E fu il boom anche per gli ebrei portoghesi artefici di tanta improvvisa fortuna, rifugiatisi numerosi in città.

Maria Luisa Moscati Benigni