Yair l’eletto

Israele

di Luciano Assin

In Israele le trattative per formare la nuova coalizione di governo sono cominciate nello stesso istante in cui i risultati delle elezioni chiarivano i nuovi rapporti di forza creatisi in questa nuova legislatura. Le piu’ probabili coalizioni di governo a detta dei maggiori commentatori politici sono le seguenti tre. La prima, piu’ improntata sui problemi interni del paese, composta dal Likud-Beitenu, Yesh Atid di Yair Lapid, il “focolare ebraico” di Bennet, Kadima ed il partito di Zipi Livni per un totale di 70 seggi sui 120 della Knesset. Una coalizione del genere e’ la meno gradita per Netanyahu in quanto i vari alleati sono dal suo punto di vista poco affidabili, quasi tutti hanno dei conti in sospeso con l’attuale premier e le richieste avanzate da Lapid in campagna elettorale su una piu’ equa distribuzione dei doveri verso lo Stato, primo fra tutti il ridimensionamento dell’esenzione dal servizio militare per migliaia di ebrei ortodossi, lo porterebbero inevitabilmente ad una frattura con la componente piu’ religiosa della popolazione che costituisce di fatto un degli alleati tradizionali del Likud. Nethaniau preferirebbe di gran lunga inserire in questa coalizione il partito Shas, formato da religiosi ortodossi di origine sefardita, sempre che si riesca a trovare sin da subito un accordo su quello che si prospetta come il primo grande ostacolo da superare. Nel caso che anche Shas riuscisse a far parte dell’esecutivo la coalizione arriverebbe a 81 seggi, un governo in grado di far passare qualsiasi decisione. La seconda possibilita’ e’ una coalizione simile alla precedente ma senza Bennet, una compagine del genere avrebbe serie probabilita’ di rianimare il processo di pace spezzando l’isolamento politico nel quale si trova Israele attualmente. Anche qui come nel caso precedente Lapid ha i numeri per dettare le sue condizioni, in particolare i rapporti di forza fra la sua lista e lo Shas che in molti casi si trovano agli antipodi sul carattere e l’identita’ nazionale di Israele. La terza carta da giocare per Bibi e’ affidarsi unicamente al blocco dei partiti di destra per un totale di soli 61 seggi, una maggioranza minima che non garantirebbe nessuna possibilita’ di un governo stabile e duraturo. Come accennato prima i numeri parlano a favore di Lapid, e’ palese come una qualsiasi compagine governativa debba incontrare il suo favore per avere delle possibilita’ di riuscita. Meno di quarantott’ore dopo la pubblicazione dei risultati Lapid ha annunciato ufficialmente di rinunciare a guidare un possibile blocco dei partiti all’opposizione e presentarsi così come una possibile alternativa al ruolo di primo ministro. In pratica ha ammesso di essere ancora impreparato per ricoprire il ruolo di capo del governo, cosa gradita agli occhi dell’opinione pubblica che preferisce vederlo al lavoro come ministro prima  di “eleggerlo” a nuovo leader del firmamento politico. Paradossalmente e’ possibile affermare che il successo elettorale di Lapid e’ avvenuto troppo presto, superando di gran lunga le sue previsioni. L’elettorato che lo ha votato nutre nei suoi confronti enormi aspettative – aspettative che se non verranno realizzate almeno in parte,  a breve termine lo porteranno a far la fine delle varie formazioni di centro che lo hanno preceduto, scomparse dalla mappa politica dopo una legislatura o due. Uno dei  suoi principali dilemmi da affrontare e’ quali dicasteri scegliere. La sua propaganda elettorale era improntata a favore del ceto medio, sul quale gravano

maggiormente gli oneri fiscali, tali che una famiglia media dove entrambi i coniugi lavorino con dei buoni stipendi arrivi a malapena alla fine del mese. Per rimanere coerente al suo programma Lapid dovrebbe avocarsi ministeri quali il Tesoro, l’Edilizia, gli Interni e l’Educazione. I suoi piu’ fidati collaboratori insistono affinche’ faccia suo l’incarico di ministro degli Esteri, tappa obbligata per poter aspirare nelle prossime elezioni alla carica di capo del Governo. Una simile scelta sarebbe gradita anche agli americani i quali la interpretebbero come una svolta verso una politica piu’ moderata e costruttiva nei confronti dei palestinesi. I componenti la sua lista sono dei pivellini, per lo piu’ emeriti sconosciuti, la domanda che molti si pongono e’ se buona volonta’, entusiasmo e una grande voglia di portare a dei cambiamenti radicali sono sufficienti per riuscire nella giungla politica israeliana. Uno dei tanti messaggi interessanti usciti da queste elezioni e’ la quantita’ impressionante di facce nuove, 52 deputati freschi di nomina pari a piu’ del 40% della knesset. Anche Lapid e’ un novizio nella politica israeliana e lo sa, chi lo conosce dice di lui che impara in fretta ed ha le doti necessarie per arrivare fino alla vetta, dietro ad un viso fotogenico che lo ha aiutato a sfondare nel campo dello spettacolo dicono, si nasconde un uome tenace, deciso e combattivo. I temi da affrontare per il nuovo governo, con o senza Lapid, sono numerosi ed impegnativi, i risultati elettorali hanno decretato che la maggior parte degli israeliani crede ancora in una linea politica moderata, spetta ora ai politici locali dimostrare che il futuro e’ gia’ qui,  possibilmente piu’ roseo dell’attuale presente.