Sopravvivere all’incubo di Gaza: le testimonianze degli ostaggi rilasciati da Hamas

Israele

di Marina Gersony
Cosa hanno vissuto e pensato durante quei giorni da incubo? Quali sono stati i momenti di paura, disperazione, o forse persino di speranza? Dopo quasi due mesi trascorsi prigionieri a Gaza, gli ostaggi liberati affrontano ora la sfida non solo del recupero fisico, ma anche del bisogno di sostegno psicologico. Il trauma emotivo derivato dalla loro esperienza e il potenziale disturbo da stress post-traumatico (PTSD) richiedono un approccio personalizzato e specializzato là dove necessario. Senza dimenticare i problemi medici trascurati durante la prigionia, comprese gravi malattie croniche che richiedono cure immediate.

Come riporta Ynetnews, l’IDF e lo Shin Bet hanno annunciato che i 10 ostaggi israeliani e i due ostaggi tailandesi liberati ieri dalla prigionia di Hamas sono arrivati ​​in Israele. È stato inoltre riferito che «dopo che saranno stati sottoposti ad una prima valutazione delle loro condizioni mediche, le nostre forze accompagneranno i rimpatriati fino all’arrivo nelle loro famiglie negli ospedali».

Per quasi due mesi, le terribili condizioni in cui sono stati trattenuti gli ostaggi israeliani catturati da Hamas a Gaza sono rimaste avvolte nel mistero per il resto del mondo. Molti esitano ancora a condividere l’atroce esperienza vissuta, ma le prime testimonianze stanno emergendo, gettando luce su un periodo segnato da scorte limitate, bombe che piovevano dall’alto e l’oscurità claustrofobica sottoterra. Alcuni hanno appreso della perdita di familiari o amici durante l’attacco di Hamas del 7 ottobre, mentre altri rimanevano nell’incertezza totale sulla propria sicurezza. Immersi nell’oscurità, costretti a dormire su sedie di plastica, con scarsa igiene e lunghe attese per l’uso del bagno, questi ricordi emergono ora man mano insieme a una profonda sofferenza. Nonostante il contesto di violenza estrema, con la terribile perdita di 1.400 vite, poche sono finora le segnalazioni di abusi fisici nei confronti degli ostaggi a Gaza.

È di queste ore il rapporto dei media israeliani citato da The Jerusalem Post che –secondo una dichiarazione di un membro del Forum Hostages and Missing Families – descrive come le donne rapite dal territorio israeliano e tenute in ostaggio da Hamas siano state tenute in gabbie. Un’affermazione che non è la prima nel suo genere: nei giorni immediatamente successivi agli attacchi del 7 ottobre, i video del canale Telegram di Hamas mostravano bambini in ostaggio tenuti in gabbia per la maggior parte del loro tempo in prigionia (ma queste immagini si sono poi rivelate non attuali, ma relative alla guerra in Siria).

Hannah Katzir, 77 anni, nata da una famiglia di sopravvissuti all’Olocausto, ha perso 20 kg in 50 giorni di prigionia e non ha ricevuto le medicine di cui aveva bisogno. La donna, dalla salute già precaria è stata rilasciata il 24 novembre come parte di un accordo temporaneo di cessate il fuoco mediato dal Qatar e dagli Stati Uniti tra Hamas e Israele. La Jihad islamica palestinese aveva annunciato la sua morte, presumibilmente in un attacco dell’IDF, giorni prima del suo rilascio. Channel 12 riferisce che la donna ha appreso che suo marito Rami è stato assassinato e che suo figlio Elad è stato rapito a Gaza il 7 ottobre solo dopo essere stata rilasciata dalla prigionia.

Mentre scriviamo arriva la notizia del Times of Israel della testimonianza di Gideon Heiman, la cui madre Ditza, 84 anni, è stata rilasciata ieri da Gaza. Gideon dice che la madre è stata tenuta in condizioni così gravi che nemmeno un giovane sarebbe necessariamente sopravvissuto. «Mia madre non ha ricevuto alcuna cura medica in tutti questi giorni. Le condizioni erano pessime, tanto che anche un giovane non avrebbe avuto la certezza di sopravvivere, né fisicamente né mentalmente», ha detto alla Radio dell’Esercito. Ditza Heiman viveva da sola nel Kibbutz Nir Oz ed era da sola nella stanza sicura di casa sua la mattina dell’attacco terroristico.

Altri ostaggi, costretti a dormire in condizioni di affollamento, mangiavano riso, hummus e fagioli. C’erano giorni in cui c’era più cibo e giorni in cui ce n’era meno. Alcuni di loro sono sopravvissuti nutrendosi esclusivamente di riso durante le ultime due settimane di prigionia, dopo aver ricevuto cibo sufficiente per il primo mese circa, sostiene Channel 12. Secondo AP news, un ostaggio israeliano liberato da Hamas conferma in un’intervista che inizialmente era stata nutrita bene durante la prigionia finché le condizioni non sono peggiorate e la gente ha cominciato a soffrire la fame. È stata tenuta in una stanza «soffocante» e ha dormito su sedie di plastica con un lenzuolo per quasi 50 giorni.

In una delle prime interviste con un ostaggio liberato, la 78enne Ruti Munder ha detto alla televisione israeliana Channel 13 di aver trascorso tutto il suo tempo con la figlia Keren e il nipote Ohad Munder-Zichri, che festeggiava il suo nono compleanno in cattività. Se dovevano andare in bagno erano costretti a bussare alla porta della stanza dove erano tenuti prigionieri e aspettare che qualcuno venisse ad aprire, anche fino a un’ora e mezza. Inizialmente mangiavano «pollo con riso, tutti i tipi di cibo in scatola e formaggio – ha detto Munder – ma stavamo bene». Munder e sua figlia hanno perso tra i sei e gli otto chili di peso a causa della mancanza di un’alimentazione regolare. Il suo racconto, trasmesso lunedì, si aggiunge alle sempre più numerose informazioni sull’esperienza dei prigionieri detenuti a Gaza. Munder è stata rapita il 7 ottobre dalla sua casa a Nir Oz, un kibbutz nel sud di Israele. Anche suo marito, Avraham, 78enne, è stato preso in ostaggio e si trova ancora a Gaza. Suo figlio è stato ucciso nell’attacco.

La figlia di Elma Avraham – l’ex ostaggio di 84 anni rilasciata domenica scorsa da Hamas e ricoverata in condizioni critiche al Soroka Medical Center di Be’er Sheva –   ha accusato la Croce Rossa in una conferenza stampa di non aver voluto intercedere con i carcerieri per consegnare le medicine di cui l’anziana donna aveva disperato bisogno: «È ricoverata nel reparto di terapia intensiva generale e la sua vita è ancora in pericolo», ha affermato, aggiungendo che le condizioni della madre erano già peggiorate durante la prigionia a causa della mancanza di cure adeguate: «È stata abbandonata due volte: la prima il 7 ottobre e la seconda da tutte le organizzazioni che avrebbero dovuto salvarla».

Un altro ostaggio, Adina Moshe, 72 anni, ha sopportato condizioni «orribili» mentre era tenuta prigioniera, come riferisce un famigliare. Moshe sta «recuperando le forze, ma è un po’ debole dopo aver trascorso più di sette settimane cinque piani sottoterra», ha rivelato alla CNN: «Si nutrivano solo con riso e fagioli in lattina che evitavano di mangiare per non avere mal di stomaco. Senza contare che non avevano strutture decenti a partire da una doccia che non si sono fatti per sette settimane». Adina era stata identificata dalla sua famiglia in un video, dopo che suo marito Said Moshe era stato ucciso a Nir Oz. L’ultima volta che la famiglia le aveva parlato si sentivano degli spari fuori dalla porta. Quando è arrivato il momento in cui le hanno annunciato che sarebbe stata liberata, Adina ha provato a convincere i terroristi che c’era chi ne aveva più bisogno di lei. A rivelarlo è stato il Ministro della Salute israeliano, Uriel Busso. «È stata detenuta in condizioni molto difficili, sta ancora metabolizzando il fatto di essere tornata e non ha ancora deciso dove vivrà – ha detto un famigliare –. È molto difficile per lei essere felice, la sua casa è stata rasa al suolo, ha perso il marito che era il suo migliore amico, quindi la strada sarà lunga e difficile. È una riabilitazione che richiederà tempo».

I rapporti, per quanto limitati, stanno cominciando a rispondere a domande su cosa è successo davvero agli uomini, alle donne e ai bambini portati a Gaza durante l’attacco.  Il servizio di sicurezza interna israeliano, Shin Bet, ha emesso una serie di linee guida per gli ostaggi e le loro famiglie riguardo alle interviste alla stampa, esortandoli a non discutere i dettagli di dove sono stati trattenuti, la loro routine quotidiana o i dettagli identificativi dei rapitori. Si trattava però di richieste, non di ordini, e qualcuno parla.

Secondo l’American Psychological Association, adattarsi alla vita dopo essere stato tenuto in ostaggio o rapito non è una passeggiata. I sopravvissuti a ostaggi e rapimenti possono sperimentare reazioni di stress tra cui rifiuto, memoria compromessa, shock, intorpidimento, ansia, senso di colpa, depressione, rabbia e senso di impotenza. La libertà porta quasi sempre un senso di euforia e sollievo. Tuttavia, riadattarsi al mondo reale dopo essere stati tenuti in ostaggio può essere altrettanto difficile quanto abbandonarlo all’improvviso. Dopo il rilascio, molti sopravvissuti tra gli ostaggi si trovano ad affrontare la transizione da condizioni di isolamento e impotenza a un sovraccarico sensoriale e alla libertà. Questa transizione comporta spesso notevoli difficoltà di aggiustamento.

Come ha riportato ieri la CNN, è stata liberata anche Yafa Adar, 85 anni, la donna più anziana del gruppo, rapita a Nir Oz, tra le persone rilasciate nel primo scambio di ostaggi per detenuti palestinesi. Era diventato virale un video che la riprendeva a bordo di un veicolo circondata da palestinesi mentre veniva trasportata a Gaza. Appariva quasi tranquilla, con una coperta rosa in grembo. L’aveva riconosciuta la nipote Adva Adar che su X raccontava di come la nonna avesse fondato un kibbutz «con le sue stesse mani». Adva ha detto che sua nonna aveva perso peso durante il calvario, e altri ostaggi hanno rivelato che c’era poco cibo a disposizione per le persone in cattività.

 

Le violenze fisiche e psicologiche sui bambini israeliani da parte di Hamas e dei civili a Gaza

Ieri, al 53esimo giorno di guerra, le cronache riportano anche le violenze psichiche e fisiche subite anche dai bambini rapiti. Eitan Yahalomi, 12 anni, era uno degli 11 ostaggi israeliani rilasciati lunedì sera dal gruppo terroristico. Sua zia Devora Cohen ha rivelato che «i terroristi di Hamas lo hanno costretto a guardare film dell’orrore, i video del massacro del 7 ottobre, di quelli che nessuno vuole vedere, lo hanno costretto a guardarli». Ha anche detto che ogni volta che un bambino in cattività piangeva «lo minacciavano con i fucili per farlo tacere». Parlando alla TV francese BFM, ha aggiunto: «Quando è arrivato a Gaza, tutti i civili, tutti, lo hanno picchiato. È un bambino di 12 anni». Yahalomi, con doppia cittadinanza franco-israeliana, è stato inizialmente fatto prigioniero insieme alla madre e alle due sorelle che sono riuscite a scappare tornando in Israele.

Sembra che anche il padre di Eitan, Ohad, sia stato portato prigioniero a Gaza e vi sia rimasto. Eitan è stato rimpatriato in Israele lo scorso lunedì dopo 52 giorni in prigionia da parte di Hamas. I suoi parenti hanno raccontato gli orrori che ha vissuto durante la prigionia. Sua nonna Esther ha dichiarato all’ospedale Ichilov: «Per i primi 16 giorni è stato solo e anche in una stanza chiusa. Immaginate voi stessi cosa ha passato lì. Circa un mese fa lo hanno trasferito a un gruppo di persone di Nir Oz, ed è stato molto più facile per lui lì. È tornato più magro, senza sorridere. Ma mi sembra che fisicamente sia in salute». Esther ha aggiunto: «Credo che ci vorrà del tempo, abbiamo molto lavoro da fare con lui per riportarlo a uno stato in cui possa parlare. Durante il giorno si è calmato un po’ e i suoi amici sono venuti da Eilat e lo hanno reso molto felice».

Thomas Hand, il padre di Emily Hand, nove anni, ha detto alla CNN che anche sua figlia ha perso peso e il suo viso era pallido dopo essere stata liberata durante il fine settimana. Gli ostaggi avevano abbastanza cibo per sopravvivere e molta acqua da bere: «Facevano sempre colazione, a volte pranzo, a volte qualcosa la sera. Emily era così affamata che ha imparato ad apprezzare il pane semplice con olio d’oliva, ha detto. Emily ha detto a suo padre che «nessuno ci ha picchiato» e Hand immagina che solo la potenza delle voci sia stata sufficiente per controllarla. Ora parla solo sussurrando.  I bambini non potevano fare rumore e dovevano limitarsi a disegnare e giocare con alcune carte.

Per alcuni ostaggi le condizioni sono state accettabili e gestibili. Roongarun Wichanguen, sorella dell’ostaggio tailandese rilasciato Vetoon Phoome, ha detto sabato che suo fratello sembrava in buona salute dopo essere stato rilasciato da Hamas in un accordo separato. «Il suo viso era felice e sembrava che stesse bene. Non è stato torturato o aggredito e che gli è stato dato del buon cibo – ha dichiarato in una video-intervista –. È stato curato molto bene. Sembra che sia rimasto in una casa, non nel tunnel».

Alcuni media citano alcuni ostaggi affermando che Yahya Sinwar, il capo di Hamas, li ha incontrati in un tunnel e ha parlato con loro in un fluente ebraico, assicurando loro della loro sicurezza. Sinwar trascorse dodici anni in prigione in Israele dove imparò l’ebraico. Quando ha avuto un grave problema di salute, è stato curato in un ospedale israeliano.

Domenica scorsa è stato liberato anche Roni Kriboy, il tecnico del suono russo-israeliano impegnato nel festival Supernova il 7 ottobre quando è stato rapito. Il suo rilascio non rientrava ufficialmente nell’accordo sugli ostaggi tra Israele e Hamas. I terroristi hanno dichiarato di averlo liberato come “regalo a Putin”. La sua storia sembra la trama di un film. In un’intervista alla radio israeliana Kan Reshet B, la zia dell’ostaggio, Yelena Magid, ha raccontato l’incredibile esperienza che il nipote ha vissuto a Gaza. In una telefonata il venticinquenne le aveva descritto di essere stato intrappolato in un edificio crollato durante un bombardamento e di essere riuscito a fuggire. Tuttavia, dopo essersi nascosto per alcuni giorni, è stato catturato da civili di Gaza e nuovamente e riportato prigioniero da Hamas, mentre cercava di raggiungere il confine. La zia ha sottolineato che, forse a causa della mancanza di mezzi per orientarsi nella zona, il nipote potrebbe essersi sentito disorientato. «È rimasto solo per quattro giorni – ha dichiarato la zia alla radio e sottolineato la notevole forza di carattere del nipote –. Nonostante abbia subito un trauma cranico nell’edificio crollato, ora si trova in buone condizioni».

Intanto in queste ore per gli altri ostaggi continuano le trattative. Almeno altri venti dovrebbero essere rilasciati dopo una nuova intesa tra Israele e Hamas sul prolungamento di due giorni del cessate il fuoco.

La responsabilità delle ong nei confronti degli ostaggi

Il trattamento degli ostaggi da parte di Hamas e la condotta delle organizzazioni umanitarie internazionali stanno sollevando questioni cruciali. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha il mandato di visitare i prigionieri di guerra e le persone detenute in relazione a un conflitto armato, verificando le loro condizioni di trattamento e lavorando per garantire il loro contatto con le famiglie. Tuttavia, durante i recenti eventi legati a Gaza, la Croce Rossa non ha potuto (o voluto?) accedere agli ostaggi detenuti da Hamas. L’orrore che gli ostaggi israeliani hanno vissuto è una testimonianza di quanto sia fondamentale affrontare il tema dei diritti umani in situazioni di conflitto e di come il trattamento degli ostaggi debba essere regolamentato da principi umanitari internazionali. Sempre che da una organizzazione terroristica sia ipotizzabile un comportamento conforme al diritto internazionale.

 

Foto in alto:  Emily Hand tra le braccia del padre. (IDF Wikicommons)