Qualche riflessione sul nuovo governo israeliano per placare gli animi (di tutti)

Israele

di Davide Romano
Nella nostra Comunità è vivo il dibattito sul nuovo governo israeliano. Una cosa positiva. Sui social ebraici però – come in tutti i social – si tende a estremizzare. Da una parte gli anti-Netanyahu che festeggiano la sua “detronizzazione”, e alcuni tra loro che addirittura non vedono l’ora finisca in galera.

Augurarsi il male di qualcuno non è affatto ebraico, così come gioire per le disgrazie altrui. Giova ricordare a tal proposito il noto midrash (relativo agli egiziani, che inseguendo gli ebrei fino al Mar Rosso, ne vengono poi inghiottiti) secondo cui D-o dice agli angeli (che avrebbero voluto fare grande festa): “Le Mie creature affogano nel mare e voi cantate?” (Talmud bavlì, Meghillà 10b). Piaccia o meno, Netanyahu è stato votato democraticamente come premier dello Stato di Israele per 12 anni, e lo ha rappresentato con dignità, con errori, ma anche con successi indiscussi: dagli accordi di Abramo alla gestione del Covid, per ricordare gli ultimi. Un minimo di rispetto gli sarebbe dovuto.

Netanyahu stringe la mano al neoeletto Bennett
Netanyahu stringe la mano a Naftali Bennett dopo il voto alla Knesset sul nuovo governo

 

Dall’altra parte c’è chi vede la fine imminente di Israele. Siccome noi ebrei siamo monoteisti, credo che dovremmo tutti smettere di pensare che Netanyahu sia una sorta di dono arrivato dall’alto, e per questo insostituibile. Se si ha davvero fiducia in Israele e nelle sue istituzioni, non si può pensare che lo Stato ebraico possa finire perché a guidarlo non c’è Bibi.

Innanzitutto non dimentichiamo che il nuovo premier, Bennett, non sembra proprio uno sprovveduto. Anzi, invito i suoi ipercritici a riflettere sul fatto che a 49 anni aveva già servito nell’esercito (nelle unità d’elite come la Sayeret Matkal) diventando maggiore. Si era laureato in legge all’Università ebraica di Gerusalemme. Aveva fondato un’azienda (Cyota) nel 1999 per cederla nel 2005 a 145 milioni di dollari, così come è stato CEO di Soluto, venduta a 100-130 milioni di dollari. Non so quanti dei suoi contestatori possono vantare altrettanto curriculum, e neppure quanti altri politici (e non solo israeliani) possano vantare una tale storia di patriottismo e di intraprendenza nel mondo del business.

C’è anche chi lo critica in quanto religioso: che in uno Stato ebraico ci sia un leader religioso mi pare dovrebbe essere normale, mi stupisco che sia successo solo ora. Tanto più da italiano, che ha visto il proprio Paese governato da leader di un partito cristiano dal 1945 al 1982.

A quanti invece lo criticano perché essendo alleato con laici e sinistra metterebbe a rischio l’ebraicità di Israele, rispondo con le parole che il suo ministro dei Servizi religiosi Kahana (un religioso che ha servito nelle forze speciali dell’esercito fino a diventare colonnello e pilota di aerei da combattimento) ha rivolto ad alcuni parlamentari religiosi molto ostili: “avete mai recitato la preghiera di Amidà durante un’imboscata [militare], fradicio di pioggia, tremante di freddo?”. Oppure: “Avete mai indossato gli tzitzit negli esercizi di allenamento quando è la cosa meno comoda al mondo? Avete mai pregato D-o prima di andare in battaglia”?