Parla il guru dell’Hasbarà: «Vi racconto i segreti della contro-informazione»

Israele

di David Zebuloni

Intervista a Hananya Naftali, il ragazzo che vuole cambiare l’immagine di Israele nel mondo. Mostrare i fatti. Non annullare mai l’avversario. Non perdere la pacatezza. Essere pragmatici e semplici… Parola di Hananya Naftali, star dei social media con più di due milioni di follower tra Facebook, Instagram, Twitter e Tiktok. I suoi filmati sono virali e fanno il giro del mondo, il suo volto una icona per tutti i ragazzi che usano i social e che domani saranno i futuri leader di Israele

Negli ultimi anni, una nuova attività è diventata molto diffusa in rete: l’Hasbarà. Tratta dalla parola Lehasbir (spiegare, in ebraico), questa pratica (per alcuni una vera e propria professione) viene a contrastare il sempre più comune fenomeno di boicottaggio e delegittimazione dello Stato d’Israele. Così, decine di giovani ragazzi e ragazze, dal sorriso smagliante e inglese impeccabile, accendono la telecamera del cellulare e si filmano mentre raccontano tutta la bellezza che Israele ha da offrire al mondo. Nei periodi di conflitto, invece, i contenuti cambiano. Gli stessi ragazzi che un attimo prima raccontavano le nuove scoperte israeliane sul piano tecnologico o medico, ora raccontano dei tanti e troppi morti e feriti, condannando il terrorismo di matrice islamica e rivendicando il diritto di Israele a difendersi. Il sorriso si spegne, lasciando spazio ad uno sguardo di rabbia, sgomento o preoccupazione sincera. Il volto più noto dell’Hasbarà in rete è quello di Hananya Naftali. Con più di due milioni di follower su Facebook, Instagram, Twitter e Tiktok, e una bella manciata di filmati diventati virali, Hananya, 28 anni, dedica le sue giornate a raccontare sui social la realtà che lo circonda, in tutte le sue sfumature e complessità. Lo incontro in un piccolo bar a Yehud, la città in cui vive, e gli chiedo di esplorare il mondo affascinante di cui fa virtualmente parte. Hananya inizia a parlare con l’entusiasmo che lo contraddistingue. In un attimo, mi sembra quasi di essere entrato in uno dei suoi filmati virali.

Hananya, che cos’è l’Hasbarà?
Partiamo dal presupposto che a me questa parola non piace, poiché non sento di dover dare spiegazioni a nessuno circa Israele. Gli altri paesi spiegano ogni loro azione? No. E perché Israele deve farlo sempre? Pare quasi che ci dobbiamo scusare di una colpa che non abbiamo. Ad ogni modo, questa è la parola universalmente riconosciuta per indicare ciò che faccio di professione, quindi utilizziamola. Il compito di chi fa Hasbarà è quello di raccontare la storia di Israele attraverso i fatti. Non bisogna difendersi né attaccare quando si fa Hasbarà, bisogna semplicemente raccontare la verità in modo semplice ed efficace.

Perché hai deciso di occupartene?
Quando nel 2014 è iniziata l’Operazione Margine di Protezione, io ero un soldato nell’esercito israeliano. Ecco, ricordo che prima di entrare a Gaza, il mio comandante ha riunito me e i miei compagni per definire le regole di combattimento. “Non colpite alcun civile, non importunate alcun innocente. I palestinesi non sono i nostri nemici. Noi abbiamo come obiettivo solo Hamas”, ha spiegato. Finita l’operazione e tornato a casa, ricordo di aver acceso il cellulare e di aver controllato come i media internazionali avevano raccontato il conflitto di cui avevo fatto parte. Non credevo ai miei occhi. I titoli citavano crimini di guerra mai compiuti dall’esercito israeliano. Ci chiamavano assassini. Ero fuori di me. Io ero lì un attimo prima. Io sapevo come si erano svolte le cose. Non loro. Così ho deciso di fare un video nel quale raccontavo la mia verità, quella che avevo vissuto in prima persona. Da lì, tutto ha avuto inizio.

Come raccontare Israele in tutta la sua complessità a chi ti ascolta?
Nel modo più semplice. Proprio come se parlassi a bambini di 5 anni. È stata la mia prima intuizione e nel tempo ho scoperto che avevo ragione: le persone non hanno idea di cosa sia Israele. Non sanno dov’è Gaza né quanto dista Gerusalemme da Tel Aviv. Partendo da zero, il mio compito è quello di rendere accessibile a tutti la realtà locale.

Tu lavori nella piazza virtuale più rumorosa del mondo. Qui vince chi grida più forte e pubblica il contenuto più spinto, quindi virale. Ma come fare Hasbarà sui social in modo decoroso? Senza i cori da stadio?
Non escludendo e non annullando mai l’avversario. Io, infatti, non nego il legame del popolo palestinese con questa terra e non parlo quasi mai del passato. D’altronde, a cosa ci serve sapere chi è arrivato qui prima? Anche se Israele vincesse questo dibattito, quale utilità potrebbe avere sulla realtà attuale? Gridare non serve a nulla. Discutere senza un obiettivo è inutile. Bisogna essere pratici. Oggi ci sono due popoli che si contendono lo stesso pezzo di terra e nessuno dei due ha alcuna intenzione di andarsene; di questo bisogna parlare: soluzioni, futuro, ma anche definire i limiti del conflitto, condannando senza se e senza ma il terrorismo e l’estremismo islamico.

Ogni volta che sento fare Hasbarà, ho l’impressione che gli unici a convincersi dei fatti riportati siano coloro che sono già convinti. E che non ci sia alcun impatto concreto su chi invece odia e boicotta lo Stato Ebraico.
Dipende qual è l’obiettivo di chi parla. Io credo che anche “convincere i convinti” sia importante. Fornire loro nuovo materiale è fondamentale. Rafforzare le loro tesi e permettergli di divulgare dati sempre aggiornati è di vitale importanza. E per quanto riguarda i boicottatori, non sono d’accordo con te. Io non credo che i non-convinti siano inconvincibili. Poco tempo fa ho pubblicato un filmato realizzato con un amico musulmano, un cittadino arabo israeliano, nel quale abbiamo parlato della coesistenza tra i due popoli. Qualche giorno dopo ho ricevuto un messaggio da parte di un ragazzo libanese. Mi ha scritto che ha sempre desiderato entrare in Israele e compiere un attentato, ma dopo aver visto il rapporto profondo che ci lega, tutta la prospettiva che aveva del conflitto è cambiata in un attimo. Leggendo le sue parole, non sono riuscito a trattenere le lacrime.

E non temi che uno degli effetti opposti e indesiderati dell’Hasbarà possa essere quello di suscitare antagonismo in chi ti ascolta?
Assolutamente sì. L’Hasbarà può spesso essere interpretata come superbia o supremazia e, pertanto, può suscitare antagonismo. Tuttavia, credo anche che la stessa Hasbarà permetta di creare una simmetria che ancora non esiste. Certo non in rete. C’è troppo odio nei confronti di Israele sui social. Ecco, io agisco per amore del mio paese e non per odio del mio nemico. Per questo credo moltissimo in ciò che faccio.

Qual è il tuo pubblico ideale?
Io credo che ci sia un 10% di popolazione mondiale che ama Israele e un 10% che la odia. Io mi rivolgo al restante 80%, agli indifferenti, a chi la mattina va in metro a lavorare e ha tutt’altro a cui pensare. Io mi rivolgo a chi non ha ancora un’opinione definita su Israele e deve ancora consolidarla.

Non è propaganda?
Io mi attengo solo ai fatti, non supero mai il confine che divide la realtà dalla menzogna.

Si può essere totalmente obiettivi e non schierati quando si fa Hasbarà?
Da israeliano quale sono, ho l’istinto di focalizzarmi solo sul bene che c’è in questo paese, ma è un istinto contro il quale combatto sempre, perché la credibilità è fondamentale nel mio mestiere. Se voglio essere ascoltato, devo essere capace di raccontare la realtà anche quando è scomoda.

Credi si possa criticare la leadership israeliana quando si fa Hasbarà?
Non c’è alcun problema a criticare il governo israeliano, le sue decisioni. Ma noi siamo i primi a dover riconoscere che Israele è un paese democratico e che il governo è stato scelto per volere del popolo.

Durante l’ultimo scontro tra Israele e la Jihad, alcuni media si sono schierati contro l’attrice israeliana Gal Gadot, accusandola di non aver sostenuto il suo Paese, a differenza delle modelle palestinesi Gigi e Bella Hadid che hanno condannato lo Stato ebraico e difeso il loro popolo. Cosa ne pensi?
Inizialmente l’ho criticata anch’io. Poi, ripensandoci e immedesimandomi in lei, ho capito quanto lo schierarsi di Gal sia molto più scomodo e difficile a Hollywood rispetto a quello di Gigi e Bella. Inoltre, sono convinto che l’Hasbarà non si faccia solo in tempi di guerra condannando il nemico, ma anche mostrando la bellezza di Israele in tempi migliori, e questa è una cosa che Gal Gadot fa sempre, sui social e in televisione.

Hananya, perché c’è tanto odio nei confronti dello Stato ebraico? Perché nei media internazionali Israele viene sempre condannata?
Spesso mi domando cosa sarebbe successo se, al posto del 1947, il voto ONU a favore della fondazione dello Stato d’Israele si fosse tenuto ai giorni nostri. Non so davvero quale sarebbe stato l’esito. D’altronde, il mondo ama sempre schierarsi dalla parte del debole ed effettivamente, all’epoca, eravamo deboli. Oggi non lo siamo più, oggi siamo “i forti”, e questo cambiamento evidentemente non piace.

Antisionismo nuovo antisemitismo?
Assolutamente sì. È un antisemitismo moderno, apparentemente politico, quindi più subdolo e sofisticato. Israele è l’unico paese ebraico del mondo e, delegittimandolo, si delegittima il popolo ebraico stesso.

Perché sei tanto interessato all’opinione pubblica? Cosa t’importa di ciò che la gente pensa di Israele? Al diavolo chi ti odia, perché sprecare energie nel tentativo di convincerlo ad amarti?
Perché i ragazzi che oggi usano i social, domani siederanno in Parlamento. Domani saranno politici, presidenti e ambasciatori. I ragazzi che oggi guardano i miei filmati in rete, domani voteranno a favore o contro il mio Paese. Il mio è un investimento per un futuro di pace. Non chiedo mai a nessuno di amare Israele, chiedo solamente di conoscere la realtà dei fatti. Questa è la mia missione nella vita.