Beniamin Netanyahu e il principe saudita Mohammed Bin Salman

L’Arabia si avvicina: tra Israele e i sauditi un accordo è possibile? Forse sì…

Israele

di Giovanni Panzeri

Incontri defilati e non ufficiali. Colloqui segreti che si sono moltiplicati in questi mesi. L’obiettivo? Un avvicinamento concreto tra sauditi e israeliani (a mediare ci pensano gli inviati della Casa Bianca). Molti i possibili vantaggi per tutte le parti. Ma gli ostacoli sono numerosi: primo fra tutti, la questione palestinese, su cui i sauditi chiedono concessioni tangibili da parte di Israele

 

La svolta potrebbe essere epocale ma la tela su cui sono chini i tessitori è ancora lontana dall’essere terminata. Israele, Usa e Arabia Saudita: un accordo porterebbe grandi vantaggi ma la strada per ottenerlo è ancora irta di ostacoli. Secondo un report del New York Times, i recenti tentativi da parte della Casa Bianca di verificare l’interesse dei Sauditi verso un accordo che preveda, tra le altre cose, il riconoscimento diplomatico dello Stato d’Israele sarebbero andati incontro a un certo successo.

 

Parlando ai suoi sostenitori il 28 Luglio il Presidente Joe Biden avrebbe affermato che “potrebbero esserci segni di avvicinamento tra le parti”, evitando di entrare nei dettagli. E il giorno prima, sempre secondo il New York Times, Jake Sullivan e Bret Mcgurk – rispettivamente il consigliere di Biden per la Sicurezza Nazionale e il coordinatore responsabile per il Medio Oriente della Casa Bianca – si sarebbero recati per la seconda volta a Jeddah, incontrando il principe ereditario Bin Salman ed altri delegati sauditi per discutere della possibilità di un accordo.

 

Inoltre secondo un recente scoop della testata Axios, i due inviati americani avrebbero incontrato più volte in segreto il direttore del Mossad David Barnea, per discutere della stessa questione. I termini dell’accordo sono stati, inoltre, apertamente discussi nell’incontro tra il Segretario di stato americano Blinken e il Ministro per gli affari strategici del governo israeliano, Ron Dermer, come riporta il Times of Israel del 25 agosto.

 

I vantaggi di un possibile accordo

Le tre nazioni avrebbero diverse ragioni per stringere un simile accordo: per parte loro gli Stati Uniti vorrebbero limitare le crescenti relazioni tra i sauditi e la Cina, inoltre un accordo sponsorizzato dagli Usa tra Israele e Arabia Saudita ristabilirebbe il loro prestigio nella regione, soprattutto se corredato da concessioni ai palestinesi e dalla fine della guerra in Yemen. L’Arabia Saudita dal canto suo vorrebbe stringere una formale alleanza difensiva con gli Stati Uniti, avere mano libera nel perseguire lo sviluppo nucleare in campo civile (una questione che ha precedentemente incontrato l’opposizione sia degli Stati Uniti che di Israele), e acquistare nuovi sistemi d’arma dagli USA, come il sistema di difesa missilistico antibalistico THAAD. Infine, un eventuale accordo rappresenterebbe una vittoria significativa per Netanyahu, che cerca da anni di guadagnare il riconoscimento formale di Israele da parte degli altri stati mediorientali, e inoltre permetterebbe di collegare l’Arabia Saudita alla ferrovia ad alta velocità pianificata tra la città di Kiryat Shmona e Eilat, sul Mar Rosso.

 

Ostacoli significativi

Ad oggi, però, un effettivo accordo tra le parti rimane improbabile, e rimangono grossi ostacoli e punti da chiarire. I due nodi principali sono essenzialmente collegati e sono la questione palestinese e la complicata situazione della politica interna di Israele: in particolare, la composizione del governo israeliano rende praticamente impossibili significative concessioni ai palestinesi, mentre l’attuale polarizzazione della politica israeliana, dovuta alla controversa riforma giudiziaria, rende poco probabile la formazione di un governo alternativo.

Altri fattori che potrebbero presentare problemi sono l’opposizione in seno al partito democratico americano, e gli interessi sauditi nell’evitare di sabotare le proprie relazioni con la Cina, nel caso di un nuovo inasprimento dei rapporti con l’Iran. In questo senso sono interessanti alcuni recenti sviluppi, come l’ormai prossima entrata dell’Arabia Saudita e dell’Iran nei BRICS, e l’apertura da parte dei sauditi alla partecipazione cinese nello sviluppo del suo programma nucleare civile, orientata, per ammissione degli stessi sauditi, a fare pressione sugli USA.

 

Le condizioni palestinesi

Sempre secondo il New York Times, i Sauditi sarebbero disposti a considerare un accordo dietro ad una sola, eventuale, promessa da parte di Bibi Netanyahu di non annettere la Cisgiordania e fermare i coloni (un’opzione ipotizzata dagli americani, non dal governo israeliano). Avrebbero anzi chiarito agli inviati americani, a seguito dell’intervento diretto di Re Salman, che un accordo con Israele sarebbe possibile solo dietro significative e concrete concessioni ai palestinesi. L’Autorità palestinese ha recentemente presentato ai sauditi e a Washington una lista di condizioni per dare il suo supporto a un eventuale normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele. Secondo il Times of Israel queste condizioni includono “il riconoscimento dello stato palestinese da parte degli USA, soprattutto nell’ambito delle Nazioni Unite, la riapertura di un consolato americano per i palestinesi a Gerusalemme, l’abrogazione della legislazione statunitense che dichiara la AP, Autorità Palestinese, un’organizzazione terroristica, il trasferimento della West Bank sotto il controllo palestinese, e la demolizione degli insediamenti illegali”.

 

Gli Stati Uniti hanno dichiarato che la AP dovrebbe rivolgere le sue proposte a Gerusalemme, visto che parte di esse richiederebbero comunque l’approvazione israeliana, e ha invitato i palestinesi a moderare le proprie condizioni, sottolineando come “richiedere il passaggio di alcuni territori dell’area C, sotto completo controllo Israeliano, alle aree A o B” – dove alla AP è riconosciuta una limitata autonomia- “sarebbe più realistico”. Come riportato da Haaretz lo scorso 30 Agosto, inoltre, i sauditi avrebbero offerto alla AP il rinnovamento dei finanziamenti alle istituzioni palestinesi, accompagnati da “significativi passi verso la realizzazione dello stato palestinese” in un eventuale trattato tra Isarele e l’Arabia Saudita, se la AP si fosse dimostrata in grado di “contenere” la violenza nella West Bank. Haaretz riporta anche che l’Autorità Palestinese sta tenendo una serie di incontri e consultazioni con Egitto e Giordania per creare un fronte unito e fare pressione affinchè qualunque trattato che preveda la normalizzazione dei rapporti con Israele includa “passi concreti verso uno stato Palestinese”.

 

La posizione israeliana

La posizione e le recenti dichiarazioni da parte del governo israeliano sembrano mettere seriamente in questione la natura di queste discussioni. Mentre Israele è interessato a un accordo con l’Arabia Saudita, sembra che il governo stia scommettendo sul fatto che il sostegno saudita alla causa palestinese sia puramente formale, e che, alla fine, i sauditi si accontenteranno di qualche concessione superficiale, che consenta loro di salvare la faccia, accompagnata dal consenso israeliano allo sviluppo di un programma nucleare. Durante il recente incontro tra Blinken e Dermer, gli ufficiali USA hanno dichiarato che i corrispettivi israeliani “non si rendono conto della reale situazione” e che “significative concessioni ai Palestinesi” saranno necessarie per raggiungere un accordo. Le componenti ultra-ortodosse del governo di Netanyahu ribadiscono da tempo, tuttavia, che per loro si tratta di chalomot! sogni!, e che qualunque accordo che preveda concessioni ai palestinesi è inaccettabile. “Non faremo nessuna concessione ai Palestinesi – ha ribadito il ministro delle Finanze israeliano Smotrich – tutto questo è pura finzione”.