di Giovanni Panzeri
Il presidente americano Joe Biden e il primo ministro israeliano Netanyahu si sono confrontati per la prima volta in settimane sullo stato del conflitto a Gaza durante un colloquio telefonico di 40 minuti lo scorso venerdì 19 gennaio.
Il confronto si è concentrato sull’eventualità di una risoluzione del conflitto che preveda la costituzione di uno Stato palestinese, sulla necessità di permettere un maggiore afflusso di aiuti umanitari a Gaza e sullo stato delle centinaia di milioni di dollari in tasse spettanti all’Autorità palestinese trattenute ormai da mesi dallo Stato israeliano.
Il colloquio è avvenuto in una fase in cui sembra esserci una crescente distanza tra le prospettive di una soluzione del conflitto avanzate dagli Stati uniti e gli interessi israeliani.
Nelle scorse settimane Netanyahu ha rigettato la proposta avanzata dal Segretario di Stato americano Antony Blinken, che prevedeva la normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita in cambio dell’approvazione, da parte di Israele, di un piano concreto per la creazione di uno Stato palestinese.
“Non c’è modo di risolvere la questione della sicurezza a lungo termine di Israele, di ricostruire Gaza amministrandola in modo efficace e garantire la sua sicurezza- ha dichiarato Matthew Miller, il portavoce del dipartimento di stato americano- che non preveda la costituzione di uno Stato palestinese”.
Netanyahu ha ribadito più volte, prima e dopo il colloquio con il presidente Biden, che la creazione di uno Stato palestinese dotato di forze armate, e dunque di piena sovranità, è incompatibile con la sicurezza dello Stato d’Israele.
In seguito al colloquio Biden ha ventilato che la costituzione di uno Stato palestinese de-militarizzato sarebbe una possibilità.
Non è chiaro, tuttavia, se questa sarà una soluzione accettabile per l’Autorità palestinese, che ha sottolineato come queste proposte, per ora, rimangano “slogan” privi di contenuto.
Il primo ministro israeliano, come riporta il Times of Israel, “ha rigettato la costituzione di uno Stato palestinese, ma ha offerto ben pochi dettagli sulla sua visione di una risoluzione del conflitto a Gaza e ha impedito al governo di discutere la cosa, sapendo che potrebbe portare la sua coalizione al collasso”.
La situazione degli ostaggi
Netanyahu ha inoltre fermamente rifiutato la proposta di Hamas per un cessate il fuoco in cambio della liberazione degli ostaggi, definendola una “richiesta di resa”.
“Hamas chiede la fine della guerra, l’uscita delle nostre forze da Gaza, il rilascio degli assassini e stupratori al suo comando- ha dichiarato il primo ministro- se accettiamo questa proposta i nostri soldati sarebbero morti invano, la sicurezza dei nostri cittadini non sarebbe garantita e un altro 7 ottobre sarebbe solo una questione di tempo”.
Ufficiali di Hamas hanno ribattuto che a queste condizioni “non esiste la possibilità di un rilascio degli ostaggi.”
“Se il primo ministro israeliano vuole sacrificare gli ostaggi- hanno dichiarato – dovrebbe dimostrare la sua leadership e chiarire la sua posizione al popolo israeliano”.
Il rifiuto di Netanyahu avviene in un contesto di crescente pressione interna e proteste da parte delle famiglie degli ostaggi e da partiti di opposizione.
Migliaia di cittadini israeliani hanno manifestato durante il weekend a Tel Aviv, Haifa e davanti alla residenza del primo ministro a Cesarea, chiedendo un accordo per il rilascio degli ostaggi.
La scorsa Domenica 21 gennaio, inoltre, decine di manifestanti e familiari degli ostaggi hanno deciso di montare un accampamento di tende davanti alla residenza di Netanyahu a Gerusalemme, pianificando di rimanere sul posto fino a che non verrà raggiunto un accordo.
Su un cartello, come riporta il ToI, figura la scritta: “Amiamo i nostri figli più di quanto odiamo Hamas”.