Melograni

Parashat Ki Tavó. La gioia dell’esperienza religiosa

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
“…E perché non avrai servito all’Eterno, al tuo Dio, con gioia e di buon cuore in mezzo all’abbondanza d’ogni cosa, servirai ai tuoi nemici che l’Eterno manderà contro di te, in mezzo alla fame, alla sete, alla nudità e alla mancanza d’ogni cosa; ed essi ti metteranno un giogo di ferro sul collo, finché t’abbiano distrutto. “ (Deuteronomio 28, 47-48)

Come è difficile la comprensione e l’accettazione di questo versetto. Cosa significa che il popolo ebraico sarà punito per non aver servito Dio con gioia e con cuore buono? In cosa consiste la colpa di non avvertire la gioia e di non utilizzare un cuore buono?
Insegna Rav Dessler, il Michtav MeEliahu, che noi siamo creati ad immagine e somiglianza di Dio (Genesi 1,27) e questa straordinaria esperienza di creazione ha impresso in noi, creature umane, la potenzialità per vivere una vera e profonda gioia che richiama la gioia del Creatore, di Dio che avendoci creato ha espresso la più pura forma di amore, di chessed in ebraico.
In questo senso noi siamo chiamati a servire Dio con la stessa e pura gioia che Lui ha avuto nel momento in cui ha creato il mondo, cioè ha donato al mondo la possibilità grandiosa dell’esistenza. La gioia dell’esperienza religiosa si può esprimere in diversi modi, ma non tutti legittimi, almeno dal punto di vista spirituale.
Coloro che compiono una mitzvà, che osservano un precetto, possono avere diverse reazioni rispetto al loro gesto. Ci può essere colui che prova gioia perché ha aggiunto una nuova “mitzvà” al suo credito e colui che prova la gioia della mitzvà stessa, una gioia intrinseca al gesto compiuto e slegata da ogni altro contesto.
Per esempio, afferma rav Dessler, questo tipo di gioia la si può vivere quando si studia Torà lì dove lo studio è la fonte della gioia e non semplicemente il fatto che si sta imparando qualcosa.
Servire Dio senza gioia significa non servirlo affatto, perché in assenza di gioia Lo serviamo senza essere a Sua immagine.
Servire Dio senza gioia significa servire prima di tutto se stessi e le proprie soddisfazioni, anche se spirituali, per questo motivo una persona dovrebbe sempre esaminare la quantità e la qualità della gioia che porta nei propri gesti, nella propria osservanza religiosa, nelle proprie azioni quotidiane.
Perché lo scopo di un vero servizio divino con gioia dovrebbe essere quello di una giusta equiparazione tra le gioie fisiche e quelle spirituali: se le prime superano le seconde il rischio di un servizio egoistico e non segnato dal chessed diventerebbe reale ed è seconda questa interpretazione che possiamo capire la durezza del versetto del Deuteronomio.