una parashà

Parashat Nitzavim

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Dio rinnova il suo Patto con Israele ripetendogli la promessa di benedizione se si comporterà secondo la Legge, e di maledizione, sterilità e dispersione, se se ne discosterà e Lo abbandonerà per prostituirsi agli idoli; ma esorta il popolo a scegliere il bene, e di conseguenza la vita. Prevede, comunque, che anche se Israele si meriterà l’esilio e la dispersione, si pentirà dei peccati commessi ed Egli lo perdonerà e lo ricondurrà nella Terra dei padri. Mosè designa ufficialmente come suo successore Giosuè che con l’aiuto di Dio, che gli resterà vicino, condurrà il popolo alla conquista della Terra. Quando i figli d’Israele si saranno insediati nel paese, ogni sette anni, durante l’anno sabbatico, in occasione della festa di Succoth, verrà letta pubblicamente, dinanzi a tutto il popolo e ai forestieri, la Torà. Il Signore ordina a Mosè di scrivere un cantico che sia di testimonianza per le generazioni future del Patto stretto con Dio.

All’inizio della Parashà il Signore ordina a Mosè di radunare tutto il popolo di Israele per rinnovare il Patto stretto con Abramo, Isacco e Giacobbe ed enumera con dettagliata minuziosità tutti coloro che dovranno comparire dinanzi a Lui e saranno quindi compresi nel Patto: “I vostri capi, le vostre tribù, i vostri anziani, i vostri ufficiali, tutti gli uomini di Israele, i vostri bambini, le vostre mogli, lo straniero che è in mezzo al tuo campo… E non con voi soltanto, Io faccio questo Patto e questo giuramento, ma con tutti coloro che stanno qui oggi davanti al Signore Dio nostro, e con coloro che non sono qui oggi con noi” (29,9-14).
Nessuno viene quindi escluso dal Patto, neppure gli stranieri che si sono uniti al popolo o che compiono dei lavori presso di loro, e “coloro che non sono qui con noi oggi”: un’allusione, certo, a tutte le generazioni future spiritualmente presenti in quel momento, e moralmente impegnate a rispettare il Patto in futuro! Ma non dimentichiamo che la realizzazione di un mondo, di una società migliore, non si esauriscono nell’esecuzione della Legge da parte del solo popolo ebraico, perché non c’è pace per Israele se non c’è pace nel mondo, così come non c’è pace nel mondo se non c’è pace per Israele: la prospettiva messianica abbraccia “tutte le famiglie della terra” ed è indispensabile che la pace e l’armonia regnino nel mondo intero, che la Legge e la giustizia siano applicate dal mondo intero, se vogliamo vedere la realizzazione della promessa implicita nel Patto; possiamo auspicare quindi che le parole “E tutti coloro che non sono con noi oggi” sottintendano non soltanto l’impegno delle future generazioni di Israele, ma l’accettazione e l’attuazione da parte dell’umanità intera dei princìpi morali comandati dall’Eterno.
E con la dettagliata enumerazione di tutti coloro che erano presenti al rinnovamento del Patto viene ribadito che la responsabilità collettiva non esclude la responsabilità personale. “Attem nitzavim”, dice la Parashà; “voi che siete presenti” siete impegnati ad osservare il Patto, ognuno personalmente: voi che costituite la nazione eterna, eterna testimonianza di quel che il Signore si attende dall’uomo collaboratore di Dio. Le generazioni si susseguono, i capi, i pensieri, le mode cambiano, ma la nazione di Israele sussisterà per sempre, pilastro incrollabile, esempio eterno.
Ma Mosè sa, Dio glielo ha rivelato, che il popolo non sarà sempre fedele: esso ricadrà negli errori dei suoi avi e l’ira del Signore si accenderà contro di lui; e la punizione sarà l’esilio.
Anche l’esilio, tuttavia, non rappresenta una rottura definitiva del Patto stretto con l’Eterno: esso sarà un periodo di esperienza e di formazione, una scuola e un insegnamento: sarà la scuola del “galuth”, della diaspora. E costituirà una importante “testimonianza” in mezzo ai popoli.

Di Elia Kopciowski