La campagna BDS per il “diritto al ritorno” è il peggior nemico della pace

Opinioni

di Ben-Dror Yemini

Riprendiamo un interessante articolo di Ben-Dror Yemini, giornalista di Yediot Aharonot, tradotto e pubblicato da Israele.net.

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Il giornalista israeliano Ben-Dror Yemini

Un secolo fa mia nonna arrivava in Israele da Sana’a, nello Yemen. Non sapeva niente della “Palestina” perché a quel tempo questa entità non esisteva. Quello che esisteva allora era l’Impero Ottomano. Mia nonna è scappata perché era rimasta vedova e, se fosse rimasta nello Yemen, mio padre, che allora era un bambino, sarebbe stato costretto a convertirsi all’islam. Mi sono tornate in mente queste cose quando ho letto in un’intervista a Le Monde le parole di Omar Barghouti, uno dei promotori del movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele), a proposito degli ebrei nei paesi arabi. Ma Barghouti ha la più pallida idea di ciò di cui sta parlando? Davvero non sa nulla dei secoli di discriminazioni e persecuzioni? Ha idea dei tanti pogrom e delle calunnie del sangue da parte dei musulmani contro gli ebrei prima che esistesse il sionismo e prima della nascita di Israele?

Il Gran Mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Husseini, che è stato il leader più eminente degli arabi palestinesi per decenni prima della fondazione di Israele, era un nazista che ha volonterosamente collaborato con Hitler. Ha vissuto a Berlino durante la seconda guerra mondiale, ha incoraggiato i nazisti a uccidere sempre più ebrei, e aveva progettato di annientare tutti gli ebrei dei paesi arabi se solo avesse avuto la possibilità di realizzare il suo sogno. Al-Husseini è l’uomo che si oppose ad ogni compromesso con la comunità ebraica e che guidò l’intransigente opposizione araba al piano di spartizione proposto dalle Nazioni Unite. Al-Husseini è responsabile più di chiunque altro della nakba (come i palestinesi chiamano la loro sconfitta del ’48) e delle sue conseguenze.

La principale rivendicazione del movimento BDS è il “diritto al ritorno” (dei palestinesi all’interno di Israele). Ebbene, nella sola Europa degli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale vi furono più di 20 milioni di profughi: milioni di tedeschi, cechi, ungheresi, polacchi, rumeni, ucraini (e italiani di Istria e Dalmazia). Qualcuno pensa seriamente che i polacchi espulsi dall’Ucraina (e i loro figli e nipoti) abbiano una sorta di “diritto al ritorno” in Ucraina? L’attuazione di un tale “diritto al ritorno” causerebbe il caos più totale. L’Europa non ne ha bisogno. E nemmeno il Medio Oriente. Verso la fine della seconda guerra mondiale, Winston Churchill fu molto chiaro in un suo discorso in Parlamento: “L’espulsione è il metodo che si rivelerà più adatto e duraturo. Non ci saranno miscugli di popolazioni destinati a causare problemi senza fine. Si farà piazza pulita. Non sono preoccupato per questi trasferimenti”.

Questa era la norma, in quegli anni. Nella prima metà del secolo scorso circa 52 milioni di persone divennero profughi. A quanti di loro è stato riconosciuto il “diritto al ritorno”? La risposta è: zero. Quindi, di che diritto parla Barghouti? Ovviamente dimentica che centinaia di migliaia di ebrei furono espulsi dai paesi arabi e le loro proprietà confiscate. Non esercitano nessun diritto al ritorno né alla restituzione delle loro proprietà, così come non lo esercitarono i gruppi di etnia tedesca e polacca e ucraina e ceca e slovacca e ungherese. Perché la dinamica nel caso dei palestinesi dovrebbe essere diversa?

I profughi hanno fatto appello alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Il loro ricorso è stato respinto, così come prima del loro erano stati respinti i ricorsi dei profughi degli anni ‘40. Strano che Barghouti, che si occupa di profughi e del loro ritorno, non sappia nulla di questi precedenti.

Il logo del Palestinian Return Center, la ong filo-Hamas recentemente accreditata dalle Nazioni Unite, riporta senza infingimenti la mappa delle rivendicazioni palestinesi: Israele è cancellato dalla carta geografica

Il logo del Palestinian Return Center (la ong filo-Hamas recentemente accreditata dalle Nazioni Unite) riporta senza infingimenti la mappa delle rivendicazioni palestinesi: Israele è cancellato dalla carta geografica.

Il problema con la campagna BDS è che essa incarna la più grande tragedia del conflitto arabo-israeliano in generale, e dei palestinesi in particolare. La campagna BDS parla di diritti, ma il suo scopo principale è la negazione del diritto degli ebrei all’autodeterminazione. Barghouti vuole abolire l’esistenza di Israele. Si chiama “politicidio”. Egli invita gli ebrei a vivere in armonia, come minoranza, sotto il dominio arabo o musulmano. Ma dice sul serio? Visto che il Medio Oriente in questi ultimi anni si è trasformato in un enorme bagno di sangue in cui ogni tribù, di minoranza o non di minoranza, massacra qualsiasi tribù leggermente diversa, la proposta di Barghouti suona come una fosca fantasticheria.

C’è una sola soluzione al conflitto israelo-palestinese: il rispetto per il diritto sia dei palestinesi che degli ebrei all’autodeterminazione. La campagna BDS, che si oppone a questo accomodamento, non fa che perpetuare il problema. Gli ebrei israeliani non vogliono trasformarsi in una minoranza dentro un paese mediorientale. Vedono quello che accade alle altre minoranze. Vedono quello che sta accadendo ai copti in Egitto. Vedono quello che è accaduto ai musulmani neri nel Darfur.

La campagna BDS è anche il più grande nemico dei palestinesi, perché perpetua la situazione dei profughi e coltiva l’illusione del ritorno. Chiunque voglia la pace, chiunque voglia risolvere il problema deve guardarsi delle esche e dalle menzogne del movimento BDS.