Corri ragazzo corri

Taccuino

di Roberto Zadik

Le atrocità della Shoah già agli occhi dei grandi e ancora oggi sono inspiegabili e terrificanti, figuriamoci per i tanti bambini che solo per il fatto di essere ebrei ne vennero coinvolti. In concomitanza con l’annuale appuntamento col Giorno della Memoria, data per cui il 26 gennaio uscirà il film nei cinema italiani, ma una settimana prima, la sera del 20 gennaio, al cinema Orfeo, dalle 20.30 ci sarà la proiezione in anteprima  di “Corri ragazzo corri”, commovente film che racconta delle sofferenze del piccolo Srulik in fuga dai soldati nazisti.

Tratto da una storia vera, contenuta nell’omonimo romanzo di Uri Orlev, come molte vicende legate all’Olocausto sembra incredibile e difficile da raccontare a chi non l’ha vissuta. Organizzata dalla comunità ebraica milanese in collaborazione con il CDEC, la proiezione del film arriva a una settimana di distanza da “Exodus” kolossal biblico di Ridley Scott, e per partecipare è necessario ritirare l’invito nelle apposite sedi con un’offerta a partire da 15 euro, il ricavato delle offerte verrà destinato ai servizi sociali comunitari, al Cdec, all’Associazione Figli della Shoah e all’Assistenza sociale in Israele.

La pellicola in questione, però, non è la solita produzione hollywoodiana e diretta da registi ebrei come l’intensissimo e splendido “La lista di Schindler” di Spielberg o “La scelta di Sophie” di Alan Pakula, ma rappresenta un qualcosa di particolarmente originale. Dietro la macchina da presa c’è un regista tedesco, il 60enne Pepe Danquart, nato nel 1955 a Sigen in Germania, dieci anni dopo la fine degli orrori nazisti.

Come Margarethe Von Trotta, nel suo bellissimo “La Rosa bianca di Sophie Scholl” su un gruppo di giovani studenti ribelli in lotta contro il regime hitleriano, il polemico e arguto Rainer Werner Fassbinder e il suo “Il matrimonio di Maria Braun” cineasta precoce e vizioso scomparso a soli 36 anni nel 1982 e nome di punta del nuovo cinema tedesco e il bravo Oliver Hischbiegel regista de “La caduta” dove un magistrale Bruno Ganz interpreta il difficile ruolo di Hitler nei suoi ultimi giorni, ora arriva questo altro film che però a differenza di tutti gli altri si concentra sulle sofferenze degli ebrei nella Shoah.

Un argomento che, ancora oggi in Germania, a 70 anni dalla Shoah rappresenta un tabù e un qualcosa di cui è difficile parlare, come ben racconta il giornalista israeliano Tuvia Teitelbaum nel libro “Ho dormito nella camera di Hitler” e perciò il film è una prova di coraggio e sensibilità e non solo, come molti direbbero con aria stanca “eh, un altro film sulla Shoah”.

Ma di cosa parla questa pellicola? Ripercorrendo come lo splendido e commovente “Il Pianista” del grande Roman Polanski, i dolorosi accadimenti del Ghetto di Varsavia e la tormentata vita degli ebrei polacchi, fra i più perseguitati nella Shoah, il film si concentra sull’innocente mondo dell’infanzia, raccontando le vicissitudini del piccolo Srulik un bimbo di otto anni, sveglio e coraggioso. Ha solo otto anni e già, come tanti bambini a quel tempo deve crescere in fretta e affrontare problemi più grandi della sua tenera età e che neppure i grande sapevano come fronteggiare.

Fra i protagonisti della pellicola di Danquart, un cast di attori di varie nazionalità, come la star israeliana   Itay Tiran divenuto famoso col premiato “Lebanon” film sulla guerra in Libano di Shmuel Maoz vincitore del Festival di Venezia nel 2009 e sposato con la modella ebrea tedesca Melanie Peres e soprattutto il polacco Andrej Tkacz nella parte del protagonista. Il lungometraggio si sofferma sul suo piccolo protagonista e ne racconta con ritmo veloce e coinvolgente i problemi e le sofferenze. Tre anni di fuga lo attendono, dal 1942 al 1945, dove il bambino braccato dai nazisti è costretto a imbarcarsi in una serie di avventure e di angosciose peripezie.

Dopo aver promesso a suo padre di ricordarsi sempre di essere ebreo e che si sarebbe messo in salvo dall’esercito nazista, il piccolo cerca riparo dove può scappando solo nei boschi della Polonia, fra il gelo, la pioggia e la paura o rifugiandosi nelle case dei contadini che altruisticamente gli daranno ospitalità. Al centro del film il mondo dell’infanzia, come ne “Il bambino col pigiama a righe” bel film del regista inglese Mark Herman o “Jona che visse nella balena” del bravo Roberto Faenza, e di un bambino che ha circa nove anni e deve lasciare la sua famiglia, per vivere solo e in continua fuga animato dal fortissimo istinto di sopravvivenza. Insomma una prova non semplice per Danquart , regista originale e interessante che ha realizzato film brillanti come “Berlin Blues” una specie di “Full Monty” alla tedesca sulla vita di un gruppo di disadattati incapaci di vivere la quotidianità, ora arriva nei cinema con questa sua riflessione sulla Shoah che si preannuncia molto intensa e coinvolgente.