Il migliore film sulla Shoah? Per me è sempre “La lista di Schindler”

Taccuino

di Roberto Zadik

Vent’anni fa usciva il capolavoro di Steven Spielberg

Uno dei problemi principali della Shoah è la difficoltà a essere raccontata, la sua estrema complessità e atrocità. Nonostante questo, di film sull’argomento ne sono stati fatti tanti, dal pesante ma bello La scelta di Sophie del 1978, e poi sempre di più dagli anni Novanta, si pensi a La vita è bella, Train De Vie e questo La lista di Schindler.

Secondo me il film in questione  è la pellicola più ebraica di un regista ebreo americano ma molto laico come Steven Spielberg; rappresenta un capolavoro, non solo in senso storico, ma universale. Il bravo cineasta 69enne, compiuti lo scorso 18 dicembre, Sagittario ascendente Cancro, è estremamente versatile, è passato dalle mandibole de Lo squalo al dramma dei neri americani e della secessione ne Il colore viola ed è molto accurato e tecnicamente bravissimo. Amico fraterno del geniale e stravagante Kubrick, suo correligionario, Spielberg, che ha cominciato a 23 anni con un film esistenziale e strano come Duel del 1971, ha dimostrato subito un grande talento anche in sue pellicole “leggere” come i vari Indiana Jones o Jurassic Park o nel suo unico film comico 1941 allarme a Hollywood, con uno stratosferico John Belushi.

Ma cosa rende Schindler’s list un film speciale, rispetto alla sua produzione e unico nel suo genere a 20 anni dalla sua uscita? Tanti sono i motivi e le caratteristiche a renderlo tale. Fra queste, oltre alla resa storica impeccabile, anche l’introspezione psicologica e l’emotività, la profondità e lo spessore di regia e degli attori che mi hanno colpito inchiodandomi alla sedia di quel cinema, quando a diciotto anni andai a vederlo con la mia classe nel lontano 1994.

Ebbene non era solo un’impressione adolescenziale, spero di essere cresciuto mentalmente, visto che oggi ho 38 anni ma la confermo ora come a quel tempo. Innanzitutto ci sono scene indimenticabili, dialoghi che stimolano riflessioni filosofiche, come quello sul potere, fra Oskar Schindler, uomo d’affari cecoslovacco che salva dai lager i suoi impiegati ebrei, un bravissimo Liam Neeson, e il crudele ufficiale nazista Amon Goeth, interpretato da un altro interprete poco sfruttato ma notevole, come Ralph Fiennes. Da segnalare sono dunque i dialoghi e la sceneggiatura, la fotografia e quel bianco e nero così “retrò” che non si usava da tantissimi anni, dagli anni Sessanta e che qui torna. E poi  gli interpreti tutti bravi, anche Ben Kingsley, ex protagonista di kolossal come Gandhi e anche qui bravissimo nella parte di Stern, uno dei dipendenti di Schindler. Ci sono tante scene che restano impresse in questo film e ciò non accade né con il pur bello Train De vie e nemmeno con La vita è bella o con Jona che visse nella balena, tutti prodotti ottimi ma senza la stessa espressività.

Mai retorico, mai di maniera o banale questo film ha solo una scena a colori, che non vi dico quale, e racconta con straordinaria precisione la vita tremenda dei lager, le deportazioni, i rastrellamenti, le camere a gas e tutti quelli orrori, che tante volte, molta gente vorrebbe negare, sminuire, ridimensionare ma che vanno sempre ricordati e raccontati. Questa pellicola tratta anche la follia e l’insensibilità dei nazisti che si davano a sontuose cene di gala e a serate mondane, alle quali partecipava anche Schindler, lasciando morire di fame e di stenti gli ebrei nei campi di sterminio.

Spielberg approfondisce con la sua macchina da presa, i volti, le espressioni, le emozioni di vittime e carnefici, con finezza di analisi e sincerità estrema e a volte estremamente forte e al tempo stesso delicata. Ricostruisce e scava nel profondo, per non dimenticare quello che è stato e che mai più deve ripetersi. Alla faccia di chi accusa di “vittimismo” o sbuffa definendosi “stufo di questo argomento”. Questo film contiene tutto: la Shoah, Auschwitz, le sofferenze del popolo ebraico, la crudeltà dei gerarchi, come Amon Goeth, la bontà inconsapevole ma sostanziale di Oscar Schindler, personaggio apparentemente cinico e invece grande esempio di Giusto, straordinario nella sua normalità di uomo d’affari che diventa grande uomo, come recita la frase del Talmud presente all’inizio della pellicola “Chi salva una vita, salva il mondo intero”.

Spielberg così ci fa sognare e non lo fa con E.T e con la fantascienza o le avventure dei Goonies, ma con una riflessione profondissima sulla Shoah e sulla crudeltà; e un ritorno alle sue origini ebraiche attraverso il dolore dell’Olocausto. Una magnifica rappresentazione della follia umana sempre attuale, specialmente in questi anni di violenza e intolleranza.