L’Iran preoccupa gli Stati arabi più di Israele, ma l’Europa pensa solo agli affari. Siamo tornati al do ut des

Mondo
[voci dal lontano occidente]

di Paolo Salom

La notizia è stata subito smentita. Tuttavia il solo fatto che sia circolata (stampata sulla prestigiosa carta del New York Times) le attribuisce serietà e valore. Dunque, Egitto e Arabia Saudita, secondo queste indiscrezioni, avrebbero fatto intendere ai palestinesi che Gerusalemme capitale di Israele è una “realtà”. E che loro potranno “accontentarsi” di Ramallah (secondo Il Cairo) o Abu Dis (secondo Riyad). Immaginate che passo in avanti nei negoziati di pace (che peraltro non risulta siano in corso) se l’Anp accettasse questa visione? I palestinesi non perderebbero certo il diritto di residenza a Gerusalemme né la possibilità di pregare nelle loro moschee, peraltro tutelate da un accordo stipulato tra Israele e la Giordania nel 1967 e mai messo in discussione. Problema: chi continua a considerare “illegittimo secondo le leggi internazionali” il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele?
Già, avete capito bene: il lontano Occidente (fatta eccezione per gli Stati Uniti di Trump). L’Europa, insomma, sembra non essersi ancora accorta che l’aria, in Medio Oriente, è cambiata e rimane sulle sue posizioni tradizionali: nessun riconoscimento favorevole a Israele, nessuna concessione alla fantasia che lo status di Gerusalemme dipenda dai “negoziati tra le parti”. Ma quali negoziati? Sono passati quasi trent’anni dagli accordi di Oslo e dall’inizio del “processo di pace”. Forse non ci vediamo bene, ma a noi appare che poco sia cambiato sul terreno. O meglio, le concessioni di Israele restano: in Giudea e Samaria l’Area A è governata da Ramallah, l’Area B congiuntamente, e l’Area C da Israele. Gaza è completamente gestita da Hamas (che sarebbe in procinto di “sottomettersi”, anche militarmente, all’autorità di Abu Mazen). Non risulta tuttavia che i palestinesi siano pronti a fare, dalla loro parte, delle offerte. Cosa sono disposti a dare in cambio della pace? Forse che, come molti pensano, anche (e soprattutto) nel lontano Occidente, è solo su Israele l’onere della rinuncia, delle concessioni unilaterali? A giudicare da come sono cambiate le opinioni in alcune capitali del Medio Oriente, sembra che questa impostazione – diventata nei decenni una sorta di tabù intoccabile – stia crollando sotto il peso della realtà. A cosa ci riferiamo? Alla situazione strategica della regione: al momento, alcuni Paesi arabi sono molto più preoccupati del ruolo dell’Iran piuttosto che di quello israeliano. Non solo, se non apertamente, per alcuni Gerusalemme è un’alleata “discreta” in questa contrapposizione epocale. Perché il lontano Occidente (Stati Uniti esclusi) non lo capisce? Azzardiamo un’ipotesi? Il mese scorso, il presidente francese Macron è volato in Cina portando con sé un magnifico cavallo come dono per il presidente Xi Jinping. Insomma, un modo di ingraziarsi l’ospite in vista di futuri accordi. I latini dicevano: do ut des (io do qualcosa e in cambio ricevo qualcosa). L’Europa sta beneficiando di importanti contratti e concessioni da parte di Teheran, che ha aperto le porte a società e industrie di vari Paesi Occidentali. Possiamo immaginare che gli ayatollah in ritorno abbiano chiesto qualcosa? La diplomazia in fondo si regge su questo: uno scambio proficuo tra le parti. Possiamo fare lo stesso discorso a proposito dei palestinesi: che cosa sono pronti a dare in cambio di un sostegno tanto generoso da parte dell’Ue (e del resto del mondo)? Perché, a tutt’oggi, non siamo ancora riusciti a capire dove sia il vantaggio di un simile impegno.