Lo studioso Haim Baharier

«L’ebraismo è un patto consensuale e etico, l’idea di far parte di un destino comune»

di Fiona Diwan
Che cos’è l’ebraismo? È un patto. Dove e quando si fonda il patto? Sul Sinai, dopo l’uscita dalla schiavitù d’Egitto. La base di un patto è la consensualità e l’ebraismo si fonda su una consensualità etica: non puoi pensare di convincere una persona a forza, soprattutto se sai che quella persona non vuole essere convinta. Non puoi, semplicemente perché questo è un attentato alla libertà. Ecco perché tutti noi, dopo ogni preghiera, diciamo amen. Amen è il segno del consenso, è dire “io ho fiducia, ci sto, acconsento al patto”», amen è la consensualità etica, il fondamento delle società, e si origina nel patto tra il Padreterno e l’uomo; la parola Amen riassume e simboleggia tutto questo.

Così parla Haim Baharier, Maestro di Torà e di ebraismo di origini francesi-polacche naturalizzato italiano, matematico, conferenziere e uomo di studio con ormai un grandissimo seguito a Milano e in Italia. Le sue parole vibranti e non prive di un certo humour ashkenazita risuonano sul palco del Teatro Franco Parenti il 15 ottobre, la sala grande gremita di centinaia di persone: il tema della Lectio è quello di Ebraismo e democrazia ma l’urgenza della tragica attualità in Israele sposta il focus, mentre il pubblico del teatro, a inizio conferenza, si alza in piedi sulle note dell’Hatikva. Baharier parla dell’attualità di oggi e poi riporta la barra al centro, al tema di Ebraismo e democrazia. Lo fa partendo dal Sinai, dal Decalogo e dalle Tavole della testimonianza, i cosiddetti Dieci Comandamenti (tema a lui caro a cui ha appena dedicato la riedizione del volume Garzanti, Le Dieci Parole – Il Decalogo come non lo abbiamo mai sentito raccontare).

«Da secoli l’Occidente giudaico-cristiano chiede agli ebrei di esseri perfetti: a nessun altro viene fatta questa richiesta e noi siamo francamente stanchi che la perfezione venga pretesa da noi. Non è della perfezione di cui dobbiamo parlare ma piuttosto della claudicanza, dell’essere imperfetti e incompleti, dell’imperfezione della nostra condizione umana, del desiderio di migliorare; e di queste nostre democrazie imperfette, zoppicanti, appunto. Si dice che gli ebrei siano la punta dell’Occidente e del Medio Oriente? Mah, chissà; di un Medio Oriente imperfetto e claudicante, piuttosto. L’approccio ebraico rifugge dall’idea della perfezione, noi non la pretendiamo né dagli altri né da noi stessi e siamo stufi che molti la esigano da noi. Diciamo la verità, ci siamo dimostrati tragicamente imperfetti in tutto, addirittura militarmente: non eravamo preparati, il miglior esercito del mondo, il miglior servizio di sicurezza si fa cogliere impreparato, fa cilecca, zoppica!».

Del resto, lo stesso Creatore non ha forse cara l’imperfezione, l’incompletezza? Nel primo capitolo della Genesi, nel secondo versetto si parla della Creazione immaginando ciò che può succedere quando un Creatore crea. Veharetz aietà tohu vaVohu…, e la terra era una rovina, ve shochech al penè tehom…, ed erano le tenebre sopra l’abisso, le tenebre per nascondere l’abisso – in modo tale che non si potesse guardare e rischiare di caderci dentro -. Il verso prosegue: ve ruach Elohim…, e la presenza del Creatore aleggiava sopra le acque…: dopo una Creazione così imperfetta, diremmo disastrosa, il Creatore inizia a correggere, a cesellare, spiega Baharier. Il Creatore interviene così sulla propria stessa creazione per migliorarla, correggerla, esattamente come fa l’artista con le ultime pennellate alla sua opera.

Ebraismo e Democrazia

«Ma veniamo al clou di questo incontro: la democrazia è una realtà che ha a che vedere con l’ebraismo oppure l’ebraismo è tutt’altro, non si occupa di democrazia?». In merito Baharier racconta una storiella: siamo nella vecchia Tel Aviv, nel quartiere del Bauhaus, in una tranquilla sinagoga tradizionalista, alla vigilia di Rosh haShanà. Dopo la funzione, il rabbino torna a casa con la sua famiglia e, come vuole l’antica usanza ebraica, si appresta a intingere nel miele una fetta di mela. Seduti a tavola, il rabbino prende la mela e la taglia in quarti ma… la mela è piena di vermi! La moglie gliene allunga un’altra, ed è anch’essa piena di vermi, e poi ancora le altre mele, tutte verminose. Il giorno dopo, al tempio, tutti esibiscono un’aria mesta e facce lunghe. Perché siete così tristi? Com’erano le vostre mele?, chiede il rabbino. Piene di vermi, rispondono. Giunge poco dopo una nuova famiglia: entrano tutti sorridenti e di ottimo umore, un padre con i due figli maschi, ventenni. Com’erano le mele?, chiede subito il rabbino. Buonissime! Rispondono baldanzosi i tre. Il rabbino è stupefatto. Ma come?, si chiede. E inizia a indagare; che cosa avrà fatto mai questa famiglia per ottenere la grazia di gustare la mela col miele di Rosh haShanà, yom haDin?, chiede il Rav. Partono le indagini e così viene a sapere che ogni Sabato sera, dopo l’uscita dello Shabbat il padre si reca in piazza per partecipare a una manifestazione contro il governo, per gridare contro i politici corrotti. Ugualmente, il giorno dopo, ogni domenica sera, per mesi, lo stesso padre partecipa a un’altra manifestazione di segno opposto, questa volta a favore del governo, e va a gridare nella stessa piazza «evviva il governo!». Il Rabbino è sempre più perplesso e così convoca il genitore il quale assume un’aria contrita: caro rabbino che che cosa dovrei fare secondo lei? Che cosa vuole che le dica?, obietta stringendosi nelle spalle. Questo è mio figlio e anche l’altro è mio figlio. Io ne ho due. Che colpa ne ho se un figlio è contro il governo e l’altro figlio invece è a favore del governo? Io voglio bene a tutti e due, sono figli miei, e li accompagnerò sempre entrambi.

Ecco: anche se siamo diversi e la pensiamo in modo opposto e litighiamo, ricordiamoci che facciamo parte di una stessa famiglia; se lo dimenticheremo allora il nostro cibo si trasformerà in vermi, sembra voler spiegare Baharier.

Unirsi non vuol dire identificarsi, spiega. È piuttosto iniziare ad assumere se stessi dentro un destino comune: innanzitutto il nostro destino di ebrei, sempre così diversi l’uno dall’altro, ma anche il destino comune a tutti noi in Occidente, in questo Occidente claudicante e imperfetto.

Faremo e ascolteremo

L’ebraismo è un patto, ribadisce Baharier. Sul Monte Sinai c’è stato il primo patto tra il Creatore («eccolo qui il Creatore, con tuoni e fulmini e effetti speciali, per coprire la voce di sottile silenzio con cui si sta esprimendo»). Qual è il momento cruciale del patto? Prendiamo Shemot, l’Esodo. Siamo giunti nei pressi del monte Sinai: Mosè fa uscire il popolo dalle tende (machanè) verso Elohim, lo fa andare incontro al Creatore, “e essi si portarono ai piedi del monte, sotto il monte”… «Il popolo è uscito dall’Egitto già decimato, sono morti o rimasti in Egitto i quattro quinti del popolo ebraico. Che risponde il popolo all’offerta del patto? Faremo e ascolteremo. Un patto claudicante direi! È il naasè venishmà: faremo più di quello che capiamo onde poter capire meglio quello che stiamo facendo. Questo è… avere fiducia!».

In Devarim 27:11-12 il popolo sta per entrare nella terra del dono (non parliamo di terra promessa, attenzione, non esiste questa espressione in ebraico; parliamo di una terra che è un dono e che pertanto va maneggiata con cura, perché, questa terra si può anche rischiare di distruggerla). Nel racconto di Devarim viene richiesto di andare verso due monti, il monte Eval e il monte Gherizi. Così, Mosè chiede che sei tribù vadano su un monte e che le altre sei tribù salgano sul secondo monte. Ai piedi dei monti resteranno i maestri e costoro diranno le parole del patto e la risposta del popolo dovrà essere Amen, ho fiducia. Se non c’è questa risposta, il patto non c’è, non sussiste. Ecco: Amen è la parola che sigla il patto e sancisce la consensualità. Se non c’è la consensualità totale il patto viene annullato. L’ebraismo è fondato su una consensualità etica.

Nel racconto di Bereshit è scritto che Adamo mangerà dall’albero della vita e non dall’albero del bene e male. Prima di capire e discernere tra bene e male, devi vivere, esperire, mangiare e nutrirti dall’albero della vita. Perché ciò che costituisce il fascino del Male è il Bene che è nascosto in esso.

Per concludere, Baharier dice che la democrazia è una forma di governo che l’Occidente ha maturato con i difetti e le sue contraddizioni, con la sua incompiutezza. Ma attenzione: l’ingiustizia va combattuta tout court, che sia in democrazia o in dittatura. Questo in definitiva è l’ebraismo.