di Ugo Volli
Rav Alfonso Arbib: «Un Sefer comprende 600.000 lettere. È una cifra simbolica, che corrisponde al numero di coloro che assistettero
al dono della Torà sul Sinai. Questo Sefer ci deve insegnare che l’unità del popolo, nessuno escluso, è la cosa più importante»
L’inaugurazione di un nuovo rotolo della Torà è sempre un evento importante per le comunità ebraiche. Da sempre la liturgia e la vita spirituale ebraica si organizzano intorno al “Sefer”, un rotolo di pergamena scritto a mano secondo regole molto rigorose e dettagliate, che contiene tutto il Pentateuco. Tanto più importante se deve servire come il centro di una sinagoga nuova e originale anche per una città come Milano, dove la vita ebraica è disseminata in numerosi centri diversi per rito, dimensione, tradizioni, origine geografica e culturale di chi li frequenta.
Si tratta infatti di una sinagoga per così dire “aziendale”, che da qualche tempo sta iniziando a funzionare presso gli uffici di Maghen, il gruppo finanziario della famiglia di Walker Meghnagi, presidente della Comunità ebraica di Milano. E ancor più emozionante è il fatto che il nuovo Sefer sia dedicato agli 840 e più militari israeliani caduti in difesa della patria a partire dal 7 ottobre.
Su tutta la copertura rigida (il “Tik”), che protegge il rotolo secondo il costume sefardita, sono disseminate centinaia di piccole stelle di David, ognuna delle quali contiene il nome di un caduto. Sul lato dell’apertura vi è il simbolo delle forze armate di Israele. È l’omaggio che, su un’idea di Michael Meghnagi, la famiglia, insieme ai suoi soci, Alessandro Della Rocca di Roma, Mayer Naman, Raffaele Israelovici, ha voluto fare al sacrificio di chi ha dato la vita per Israele, ma anche, come dice Walker Meghnagi «per tutto il popolo ebraico, un segno per dare forza alla comunità e ricordare che siamo un popolo che non abbassa la testa».
Alla cerimonia, che si è svolta domenica 16 febbraio negli uffici di Maghen, in una via centrale della città, hanno partecipato circa 500 persone, fra cui molti dei dirigenti dei diversi orientamenti della comunità, ebrei appartenenti ai diversi filoni dell’ebraismo milanese, dai sefarditi fuggiti qualche decennio fa dai paesi musulmani agli ashkenaziti e in particolare al movimento Chabad, ospiti illustri e molti dei rabbini della città, a partire da rav Alfonso Arbib, rabbino capo della città. C’era anche un soldato israeliano ferito a Gaza e in convalescenza nella nostra città.
Proprio rav Arbib ha spiegato il senso fondamentale della cerimonia: «Insegnano i nostri maestri che un Sefer comprende 600.000 lettere. È una cifra simbolica, che corrisponde al numero di coloro che assistettero al dono della Torà sul Sinai. Un Sefer non può mancare neanche di una di queste lettere senza perdere la sua validità rituale, dev’essere completo e integro. Lo stesso vale per il popolo ebraico. Ricevere la Torà, dicono ancora i maestri, è stato possibile solo in quel momento sotto il monte Sinai perché tutto il popolo era unito e lo voleva, senza eccezioni.
Anche il popolo ebraico è integro solo se raccoglie tutti i suoi membri, senza eccezioni, se c’è concordia e unità di intenti. Questo è molto difficile, come sappiamo per esperienza, e storicamente non è forse più avvenuto integralmente dopo il Sinai. Ma è essenziale tendere a questo scopo a tutti i livelli. Essere uniti è questione di vita o di morte.
Noi viviamo un momento difficilissimo per il nostro popolo, abbiamo di fronte una terribile aggressione esterna, ma soffriamo anche di divisioni interne numerose e incancrenite. Questo Sefer ci deve insegnare che l’unità del popolo, nessuno escluso, è la cosa più importante per cui dobbiamo tutti lavorare, la condizione per superare i pericoli che ci vengono dall’esterno». Questo concetto è stato ripreso e sottolineato dagli altri rabbini che hanno parlato, rav Simantov e rav Hazan: ci dev’essere unità nella nostra comunità, al di là di tutte le differenze di orientamento, hanno detto. Come i militari sono caduti e sono uguali per noi, che fossero religiosi o meno, sefarditi o ashkenaziti, provenienti dai più diversi paesi, così la nostra comunità dev’essere unita al di là delle diverse tradizioni e provenienze; bisogna affrontare insieme le sfide difficili e numerose del nostro tempo.
La cerimonia è stata lunga e festosa. Il momento centrale è stato il “completamento” del testo scritto della Torà, secondo un’antica tradizione. Come hanno ancora spiegato i rabbini presenti, uno dei tradizionali 613 precetti fondamentali dell’ebraismo comanda a ognuno di scrivere un Sefer. Questo in genere non è possibile, perché la scrittura di un rotolo della Torà è un lavoro molto complesso che dev’essere fatto perfettamente e senza errori. Si usa una penna d’oca, un inchiostro particolare e una pergamena tratta dalla pelle di animali kasher.
Il formato delle colonne, l’impaginazione, gli spazi bianchi lasciati in certi punti del testo, la dimensione di certi caratteri, le piccole ornamentazioni delle lettere sono minuziosamente regolati.
La tradizione ha stabilito dunque che esso, come altri compiti rituali, può essere essere svolto da persone esperte per conto d’altri e in particolare la scrittura del Sefer può essere condivisa fra più persone che in questo modo soddisfano il precetto. Accade così che in genere il rotolo venga preparato con un lavoro lungo e accurato da uno scriba esperto, lasciandolo però incompleto di alcune lettere che vengono poi colmate da lui stesso al momento dell’inaugurazione per conto di altre persone, che appoggiano la loro mano sulla sua mentre scrive, partecipando così simbolicamente alla scrittura. È quel che è accaduto in questo caso, con decine di partecipanti che hanno completato in questa maniera il Sefer, prendendo la responsabilità di una lettera o di una sua parte. Una volta completata secondo le regole, la pergamena è stata poi legata ai perni che permettono di avvolgerla (che tradizionalmente sono detti “Etz chaim”, alberi della vita) e montata nel suo involucro. La cerimonia si è conclusa con una danza collettiva con il Sefer, che l’ha condotto infine nel locale destinato alla piccola sinagoga degli uffici di Maghen.
Come ha detto ancora rav Simantov, il precetto della scrittura del rotolo della Torà è tradizionalmente considerato quello conclusivo, perché lo si lega agli ultimi momenti di vita di Mosè, quando egli stesso ne completò gli ultimi versetti. Il completamento di un sefer ha dunque da sempre insieme un aspetto festoso e uno triste, conclude il dono della Torà e deve ricordare la morte del maestro che l’ha scritta. Così anche per questa cerimonia.
Un nuovo rotolo, una piccola sinagoga che prende vita, l’intenzione unanime dei responsabili di curare l’unità della comunità: sono tutti elementi positivi, ragioni per rallegrarsi. Ma sulla copertura del rotolo, ogni stellina indica un lutto, una persona che si è sacrificato e non tornerà a casa; sposi, figli, genitori, amici, commilitoni che non lo rivedranno. Altri nomi ancora in questi giorni continuano ad aggiungersi all’elenco e sono onorati anch’essi dal Sefer, seppure non hanno potuto esservi iscritti. Come ha voluto ricordare Walker Meghnagi: «l’ombra della tristezza e del lutto che è necessario superare col proprio impegno».