Milano ricorda la Shoah, al Conservatorio

di Roberto Zadik

Serata emozionante in una sala del Conservatorio stracolma di gente che, già da un’ora prima del concerto, si era radunata davanti all’ingresso in attesa che il tutto cominciasse. Tanta musica: sono eseguite opere di Leone Sinigallia, compositore torinese vittima della Shoah, ricordato in occasione del 70esimo anniversario dalla sua morte, avvenuta nel 1944;  e di Mario Castelnuovo che riuscì a rifugiarsi in America. E poi discorsi e testimonianze dei reduci dei lager, Liliana Segre e Goti Bauer, al centro dell’iniziativa.

Alla manifestazione, organizzata dall’Associazione Figli della Shoah, dal Conservatorio, dalla Comunità ebraica, dal CDEC e dalla Fondazione Memoriale, assieme a Lydia Cevidalli e a Christian Bellisario e a vari docenti del Conservatorio, hanno partecipato numerose autorità. Fra queste il presidente della Regione, Roberto Maroni, il presidente del Consiglio Provinciale, Bruno Dapei, il vicesindaco De Cesaris, il presidente della Fondazione Memoriale e direttore del Corriere, Ferruccio De Bortoli e diverse personalità comunitarie, come il presidente Walker Meghnagi, il vicepresidente Daniele Cohen, il Rabbino Capo, Rav Alfonso Arbib e i consiglieri Raffaele Besso, Davide Hazan, Guido Osimo, oltre alla consigliera Ucei, Sara Modena.

«Sono molto orgoglioso di vedere una sala tanto piena, in questa quattordicesima giornata della Memoria. Una Memoria che non dobbiamo assolutamente dimenticare». Così ha esordito il conduttore della serata, Alessandro Melchiorre, Direttore del Conservatorio. Dopo la sua introduzione, Melchiorre ha lasciato spazio a numerosi interventi, primo fra tutti quello di Rav Arbib. «Cosa dobbiamo ricordare? Cos’è la giornata della Memoria? Queste sono domande non facili», ha sottolineato il Rabbino Capo.  Nel suo discorso il Rav  ha sottolineato che «Il Giorno della Memoria non è una giornata ebraica, c’è Yom Ha Shoah e altre ricorrenze; ma è stato istituito dallo Stato Italiano». È poi passato al tema «fondamentale della responsabilità. Essa è il contrario dell’indifferenza che c’è stata  in passato e che è ben presente anche nella società in cui viviamo, nella quale si tende a scaricare sugli altri le nostre responsabilità. Essere responsabili significa trasformare i sentimenti in azioni. Questo – ha concluso il Rav – è un concetto molto importante anche nel pensiero ebraico, tanto che il maestro americano di origine lituana, Yosef Solovecick riprese Cartesio dicendo: sono responsabile, quindi esisto e quando noi scarichiamo le responsabilità, scarichiamo la nostra umanità».

Subito dopo ha parlato il direttore della Fondazione Memoriale, Ferruccio De Bortoli, che ha messo in luce le proprie preoccupazioni riguardo a «una certa stanchezza del Giorno della Memoria, sottolineata anche dal libro di recente uscita di Elena Loewenthal».  Proprio riguardo al testo Contro il Giorno della Memoria,  che sta suscitando vivaci polemiche, De Bortoli ha detto che  “esso pone interessanti interrogativi riguardo a una certa ridondanza  e alla sovrabbondanza di questo rituale della Memoria – ribadendo che  – bisogna stare attenti al messaggio di questa Giornata che non riguarda solo gli ebrei ma tutta la nostra società e che l’Italia non è stata solo un punto di passaggio, ma in quelli anni ci sono state molte complicità oltre a grandi atti di eroismo”.

Un discorso intenso e ben articolato in cui il direttore del Corriere ha espresso una serie di riflessioni riguardo a tematiche importanti alla luce di gravi fenomeni recenti. Come «il ritorno di forme negazioniste e complottiste, come è avvenuto anche per i fatti dell’11 settembre, il pericolo che la  Memoria è molto labile e che nella civile Europa si stiano verificando episodi di antisemitismo, nella ricerca di un capro espiatorio per l’attuale crisi economica. Il Giorno della Memoria – ha continuato De Bortoli – deve essere un esercizio di educazione civica che dovrebbe continuare gli altri 364 giorni dell’anno, perché è stata una conquista recente, del 2000 dopo un lungo silenzio legislativo. Fondamentale è far conoscere alle nuove generazioni ciò che è stato e nonostante tutte le difficoltà economiche, il Memoriale ha fatto grandi passi in avanti».

Dopo i discorsi istituzionali, la parola è passata alle testimoni, intervistate dal direttore della Fondazione CDEC  Michele Sarfatti: Goti Bauer e Liliana Segre. Assente Nedo Fiano, le due signore si sono soffermate sulla trasmissione della memoria agli studenti che, hanno sottolineato, «non deludono mai, sono sempre pieni di domande e di curiosità» e questo dipende dagli insegnanti che hanno avuto e di come li hanno formati nel non facile approccio a questo argomento. Fra i tanti quesiti, ha fatto sapere Goti Bauer, sopravvissuta ai lager che da molti anni si reca nelle scuole per raccontare la Shoah ai ragazzi, i giovani «mi chiedono spesso se ho perdonato i tedeschi per quello che hanno fatto. Io rispondo sempre che non li ho perdonati perché, se si perdona questo, si può perdonare tutto e il perdono perderebbe di valore». Entrambe, sia la signora Bauer che Liliana Segre hanno detto «con loro ci comportiamo come delle nonne e questo funziona». La signora Segre ha invece evidenziato le tante sorprese che possono verificarsi quando si racconta la Memoria nelle scuole: «C’è grande interesse da parte dei ragazzi figli di immigrati verso le storie della Shoah e il senso di identificazione che molti ragazzi di colore hanno provato».

Entrambe le sopravvissute hanno concordato rispetto alla grande partecipazione emotiva dei ragazzi; «perfino quattro giovani con le teste rasate e il giubbotto che sembravano naziskin – ha detto la Segre  – si sono invece rivelati molto interessati e alla fine si sono fermati a chiacchierare con me. Più deludenti invece – ha aggiunto – alcuni presidi che non si sono fatti trovare agli incontri mentre altri sono stati molto cordiali». Durante i discorsi, più volte è stato ricordato dai vari relatori il lungo silenzio riguardo alla Shoah in Italia  fino a leggi recenti, come la legge Berlinguer del 1996 e l’istituzione del Giorno della Memoria nel 2000. Si è parlato anche del libro di Elena Loewenthal, e a questo proposito Michele Sarfatti ha evidenziato l’importanza del Giorno della Memoria anche se «apprezzo e stimo molto Loewenthal”; sia Liliana Segre sia Goti Bauer, oltre alla solidarietà di tanti studenti, hanno ricordato invece l’indifferenza di tante persone, il silenzio di «amici che dopo le leggi razziali avevano smesso di salutarci».

Finale in musica con i cori delle voci bianche e l’Orchestra da Camera del Conservatorio, inframezzati dagli aneddoti raccontati da Claudio Ricordi, conduttore della rubrica dedicata alla Musica Classica di Radio Popolare, che ha lungamente ricordato varie figure di musicisti morti  nella Shoah, e di sopravvissuti ad essa. Prima delle note musicali, Ricordi ha rievocato la vita e l’opera del compositore praghese Hans Krasa e la sua opera “Brundibar”, composta per i bambini  orfani; il trombettista ebreo danese Paul Aaron Sandfort, uno dei pochi sopravvissuti del lager di Terezin, del quale Ricordi ha fatto ascoltare una delle sue ultime interviste. E poi Leone Sinigallia «il più germanico dei compositori italiani». Soffermandosi sul personaggio di Sinigallia, dopo brevi esecuzioni dei cori di Krasa come “La guerra è vinta ormai” (titolo inquietante se si pensa alla morte del compositore quell’anno), Ricordi ha letto una serie di lettere. Sinigallia era un artista sempre alla ricerca di nuove forme espressive «influenzato dalla musica popolare. Nato a Torino nel 1868 conobbe artisti eccellenti come Puccini, Toscanini, Brahms e Dvorak e scrisse una serie di missive a due cari amici, i musicologi Massimo Mila e Luigi Rognoni».

Una vicenda tragica, quella di Sinigallia, che ebbe una vita divisa in due parti: prima la fama come acclamato compositore a livello europeo fino agli anni 30’; poi l’avvento delle Leggi razziali. Da lì la sua situazione peggiorò sempre di più fino alla morte per infarto il 16 maggio 1944, in campo di concentramento.

Di grande spessore anche la figura del compositore ebreo fiorentino Mario Castelnuovo Tedesco, fuggito alla follia del fascismo scappando in America, grazie all’aiuto del violinista Jascha Heifez. Artista versatile, Castelnuovo era molto legato all’Italia, tanto che Ricordi racconta che quando si imbarcò sulla nave per gli Stati Uniti «fu come uno strappo, prima di emigrare in quel Paese aperto e generoso in cui potè vivere con la sua famiglia al riparo dagli orrori della guerra».

Alla fine della serata, il chitarrista Emanuele Segre ha eseguito splendide melodie per chitarra, ispirate dall’amicizia fra Castelnuovo e il grande Andres Segovia come “Melanconia” e “Primavera” per poi concludere il tutto con un bellissimo “Andantino alla Romanza” dal Concerto n. 1 diretto da Amedeo Monetti.  Tanti gli applausi.