Elie Wiesel e Primo Levi a confronto nella conferenza di Kesher

di Anna Balestrieri
‘Elie Wiesel e Primo Levi. Due scritture per una stessa esperienza’: questo il tema del consueto appuntamento Kesher della domenica, tenutosi domenica 16 gennaio, questa volta in collaborazione con la HevratYehude Italia.

L’incontro, coordinato da Paola Hazan, commossa nel vedere così tanti italiani in Israele collegati alla conferenza del 15 gennaio (la partecipazione totale ha visto ben 115 persone), è stato tenuta dalla professoressa Cecilia Nizza, francesista orgogliosa d’aver “passato la vita alla scuola ebraica dall’asilo alla pensione”. Docente di lingua e letteratura francese all’università ebraica di Gerusalemme, la Prof. Cecilia Nizza ha collaborato a lungo con la  Fondazione CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) ed è stata insignita dal presidente della Repubblica dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia (già Stella della solidarietà italiana).

Nel parlarci di Elie Wiesel e Primo Levi, Nizza evidenzia una moltitudine di parallelismi nelle tematiche affrontate dai due autori. La vigilia prima della deportazione, la partenza, la stazione di Auschwitz, l’arrivo e la selezione tra chi avrebbe lavorato e chi sarebbe stato eliminato, la fame (in Wiesel nella realtà in Levi nel sogno).

Le somiglianze sono anche stilistiche. Frasi e periodi brevi, giustapposti, a “testimoniare la frammentazione di una vita”, dice Nizza, in cui l’“esigenza di testimoniare si scontra con l’impossibilità del linguaggio”. E’ famosa l’affermazione di Adorno, in seguito da lui stesso ritrattata, che “scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto barbarico”. Si interrogano così sia la professoressa sia il suo pubblico sul ruolo futuro della letteratura (cosa potrà raccontare che non sia ancora stato raccontato?) e sul problema dell’esistenza di Dio, che fu oggetto di riflessione di tanti intellettuali dopo la Shoah, in primis di Wiesel. Nel suo Processo di Shamgorod, un gruppo di superstiti ad un pogrom processa Dio, che ha il Diavolo per avvocato.

La difficoltà dei temi affrontati e la sostanziale incomprensibilità del concetto di Dio dopo Auschwitz hanno lasciato il pubblico ammutolito, senza domande né commenti, come gli scrittori reduci dall’identica tragica esperienza e messi a confronto dalla professoressa Nizza.