Benè Berith: tutto esaurito per l’evento jazz, rock, blues

di Fiona Diwan
Sonorità classiche e contemporanee, melodie celebri e nuove interpretazioni, main stream e assolute rarità, alla scoperta di versioni sorprendenti di cover e brani intramontabili. Per una playlist ebraica unica. Come ad esempio la versione di Halleluja cantata da Eugenio Finardi che sa reinventare la mitica canzone di Leonard Cohen imprimendole un tono soffuso e appassionato inusitato. O ancora The Sound of Silence di Paul Simon ma cantata dal gruppo Gregorian e trasformata in una preghiera dolcissima.

E che dire di Madonna, la rock star, che canta Isaac, un brano ebraico dalla prima nota all’ultima? O Sinead O’Connor, la star irlandese che interpreta Rivers of Babylon in maniera rallentata e struggente, carica di intensità dolente? Ma anche Bob Dylan che canta la legatura di Isacco, l’Akedat Itzchak, mentre la immagina sull’asfalto della Highway 61 statunitense, una  road leggendaria. Non possono mancare le classiche versioni di Barbra Streisand con Avinu Malkenu e di Ofra Haza con Yerushalaim shel zahav, Leonard Cohen e Arik Einstein (il Fabrizio de’ Andrè israeliano), Shlomo Carlebach che canta Gam ki Elech, la voce incredibile dell’irakeno Meir Banai con Shaar haRachamim. E ancora: Meir Ariel ma anche Jimi Hendrix che mette  in musica un brano tratto dal libro profetico di Isaia; e poi i jewish rappers di Brooklyn, i Beastie Boys, il jazz israeliano, la musica di un gigante come John Zorn con il suo Book of Angels, e ancora Neil Diamond.

Una serata di grande successo volata sulle note di musiche uniche, il tutto esaurito per l’evento organizzato dal Benè Berith sul sound delle melodie (sia ebraiche che non) più belle del mondo. A condurre con competenza e precisione la serata c’erano Roberto Zadik (a sinistra nella foto) e Roy Zinsenheim (a destra, vicino al consigliere Amit Anafi) che, tra aneddoti storici e ascolto di spezzoni di brani, hanno condotto questa cavalcata musicale lungo i decenni, da Israele agli Stati Uniti, dalla Russia alla Polonia alla Francia all’Italia. Compositori, cantautori, produttori di etichette musicali, talent scout e tutta la folta genìa di expat e musicisti che hanno trasferito in note, canzoni, parole e musiche le contaminazioni multiple del loro peregrinare, hanno saputo cogliere lo spirito della modernità mescolandolo con una sensibilità musicale maturata attraverso le tormentate vicissitudini esistenziali ebraiche del XX secolo.

Ricche e documentate le spiegazioni di Zadik e Zinsenheim che hanno deliziato la platea con storie e notazioni critiche. La parte più sorprendente della serata è stata quella dedicata alle figure dei fratelli Leonard e Phill Chess, due ebrei polacchi emigrati negli States: fu la loro etichetta di dischi, la Chess Records, a incidere la dirompente  musica nera di blues e rock’roll, da Chuck Berry in avanti, incidendo ben 48 dischi di cantanti afroamericani quando ancora nessuno voleva saperne di musica nera e dava loro credito o possibilità di successo.

Idem per Jerry Wexler, produttore discografico e artefice della scoperta e del successo di Aretha Franklin. Produttori e talent scout: è il caso dell’inglese Mark Ronson, l’uomo dietro al talento di Amy Winehouse. E che dire infine di Strange fruit, un brano diventato un inno, il manifesto dell’antirazzismo, un testo poetico potente e che lascia senza fiato, cantato da Billie Holiday: ebbene, testo e musica furono scritti da Abel Meeropol, un modesto insegnante ebreo russo di una scuola di New York, orripilato dai linciaggi dei neri afroamericani da parte del Ku Klux Klan che gli ricordavano i pogrom vissuti dai nonni e il vissuto indicibile della Shoah. Le parole di Meeropol non a caso sono passate alla storia e l’interpretazione live del 1959 di Billie Holiday resta memorabile nel suo evidente dolore per i neri braccati e assassinati: “gli alberi del sud danno uno strano frutto, sangue sulle foglie e sangue alle radici, corpi neri ondeggianti nella brezza del sud, uno strano frutto appeso sui pioppi. Una scena pastorale del galante sud, gli occhi sporgenti e la bocca contorta, profumo di magnolie dolce e fresco, poi l’improvviso odore di carne bruciata, ecco qui un frutto che i corvi beccheranno e la pioggia raccoglierà, che il vento spazzerà via e il sole farà marcire…”.

Una serata speciale, due ore piene di spunti che nessuno degli spettatori voleva finisse: la verve da consumato deejay radiofonico di Roy Zinsenheim e il sapiente eclettismo pieno di brio di Roberto Zadik hanno incantato il pubblico, un evento di fundraising da ripetere, con il Benè Berith di Claudia Bagnarelli, che ha fatto centro grazie a una proposta originale.

Dopo quasi due ore, la playlist prevista non era ancora neppure arrivata a metà, gli autori e i musicisti così numerosi da non far bastare il tempo dedicato: la promessa di fine serata è stata che ci sarebbero state una seconda e una terza puntata e, a grande richiesta, la playlist completa dei brani per poterli riascoltare su Spotify. Alla prossima quindi.