Una ragazza in Turchia, sulle orme di Doña Gracia Nasi, la Señora

Viaggi

di Giordana Pieri

Viaggiare sola per una donna è una scelta che viene accolta con perplessità e preoccupazione, qualcosa di storicamente nuovo; e la Turchia può non sembrare il luogo più adatto a questo tipo di viaggio, basandoci sui luoghi comuni del chiacchiericcio mainstream.

Ho deciso di andare in Turchia e non sapevo perché proprio lì; un luogo ricolmo di ricordi e legami poco raccontati.

Volevo fare quel viaggio perché avevo qualcosa da scoprire. Non sapevo realmente che cosa, finché non ho visto Istanbul dall’alto e atterrando non facevo altro che pensare a Doña Gracia Nasi, la Signora: la grande donna ebrea che si adoperò per salvare gli ebrei sefarditi dalle persecuzioni cattoliche.

Dovevo ripercorrere quelle strade, rivedere quella sinagoga, capire perché una donna così semplice e forte fosse riuscita a salvare migliaia di ebrei dall’Inquisizione spagnola.

Quanto un libro può influenzare le nostre scelte di vita? Tantissimo! Così ho scelto di partire, con la consapevolezza che lì avrei ripercorso la storia degli ebrei sefarditi e di Beatriz de Luna, così Doña Gracia veniva soprannominata.

Vado a Smirne, lascio immediatamente il mio zaino in Hotel e mi addentro tra le strade di quell’immensa città portuale costantemente accarezzata dalle acque azzurre del Mediterraneo. Mi incammino verso il Kordon, la taielet di Izmir e arrivo finalmente Kamaralti, il mercato centrale.

Passeggiando sul lungomare è stato impossibile non pensare a tutte quelle donne e uomini ebrei approdati sulla costa del vecchio impero ottomano. Tra i musulmani e cristiani di allora i sefarditi e marrani espulsi dalla Spagna e dal Portogallo, potevano osservare apertamente le loro tradizioni e parlare la loro lingua, il ladino, godendo di una tolleranza sconosciuta nel resto dell’Europa Cristiana. Io percepivo un’aria frizzante, non solo di mare, ma una sorta di audacia e coraggio di tutti quegli ebrei che, viaggiando a lungo, hanno raggiunto le vie di Izmir, cambiando la loro vita e quella delle generazioni future.

Che lungimiranza, che tenacia!

Perché? Perché sacrificare la loro vita e quella dei loro figli solo per mantenere viva la fede ebraica?

Ero così affascinata e stupita da quel coraggio. Mi faceva riflettere chiamandomi in causa; mi sentivo affranta, triste, non all’altezza di una tale impresa.

In quel momento ho ripensato a uno dei tanti scopi di quel viaggio: vedere con i miei occhi le città turco-ebraiche, le case, le sinagoghe e i quartieri che i sefarditi avevano ricostruito da capo dopo aver perso tutto.

In epoca ottomana, gli ebrei si concentravano nel quartiere di Mezarlikbasi o nella zona di Havra Sokagi, due aree all’interno del bazar Kemeralti. Qui ho potuto visitare otto sinagoghe in buone condizioni e quattro sono ancora luoghi di culto.

Non è stato facile trovare in un caotico mercato orientale tutte quelle sinagoghe. Sentivo una specie di tachicardia ed ero molto agitata perché desideravo con tutto il mio cuore vedere quella sinagoga: La Sinyora, costruita proprio da lei, Beatriz de Luna. Ma me ne ritrovo davanti un’altra, Etz Haim; così grande e così maestosa con fuori il simbolo di un albero che rappresenta la vita e l’unione tra la terra, le sue radici, e il cielo, i suoi frutti.

A fianco c’è un piccolo negozio di oggetti ebraici dove ne approfitto per chiedere a Yelis, la proprietaria del negozio con cui ho fatto conoscenza condividendo per un pomeriggio intero caffè turco e chiacchiere, se ci fosse un modo per entrare a visitare la sinagoga. Lei chiama subito Jacob, un giovane ragazzo che lavora per Izmir Project, un’iniziativa locale volta a salvaguardare queste sinagoghe rendendole testimonianze vive del ricco patrimonio culturale sefardita della città; gli chiede di farmi visitare quante più sinagoghe possibili dato che mi trovavo in città per pochi giorni. Quindi ci rechiamo al Bet Hillel, la vecchia abitazione di un saggio rabbino di allora, il Bikur Holim, la sinagoga portoghese, Algazi e un piccolo Talmud Torà; ero letteralmente davanti al più grandissimo patrimonio sefardita e non ne avevo mai sentito parlare. Mi si accende una lampadina e in quel momento ringrazio il mio intuito per avermi portato fino a lì.

Purtroppo, tutte quelle sinagoghe sono vuote e da tempo non vengono riempite di canti e preghiere, poiché la comunità di Smirne raggruppa poco più di mille ebrei, di cui pochi risiedono in città.

Grazie al contatto che ero riuscita a reperire di un ragazzo della comunità ebraica di Istanbul, ho conosciuto una coppia che mi aveva consigliato di andare a visitare un’altra sinagoga, situata in un altro quartiere di Izmir. Bet Israel, la sinagoga più grande della città edificata nel 1907 nel quartiere chiamato Karatas, circa a tre chilometri a sud dal centro. In questa zona conviene andarci senza aver fatto colazione perché si possono assaggiare i piatti tipici della cucina turco-sefardita!

Tra un boyol e l’altro si arriva alla via dedicata a Dario Moreno, un noto cantante ebreo follemente innamorato della sua città, ed Enrico Macias, un chitarrista algerino salvato dalla comunità ebraica di Smirne.

Kataras è un quartiere affascinante perché ebrei e armeni convivevano e condividevano i loro destini insieme. Lì ho visitato l’abitazione di Dario Moreno e le case sefardite in tipico stile spagnolo. Alla fine della via c’è un altissimo ascensore costruito da un banchiere ebreo per rendere agevoli gli scambi tra la parte alta e bassa della città. Per questo motivo Smirne mi ha ricordato tantissimo Rio de Janeiro, per la quantità di scalinate colorate, principalmente una, la più famosa, che collegano la parte alta a quella sul lungomare.

Istanbul gode di una vivace scena ebraica; solo attraversando il ponte di Galata si vede la prorompente torre dove Doña Gracia accoglieva la sua gente.

Lei godeva di grande considerazione presso la Sublime porta, tanto da essere venerata da Solimano il Magnifico e da tutti gli ebrei che la trattavano con devozione chiamandola La Señora.

Salendo più su fino a Beyoglu, si può visitare il museo ebraico dentro la sinagoga Maggiore di Istanbul, Neve Shalom. All’interno si ripercorre tutta la storia degli ebrei sefarditi: dalla cacciata della Spagna fino ai giorni nostri. Inoltre, è una sinagoga di magnifica eleganza, grazie al colore del legno lucido che illumina tutta la sala. In quei giorni ho conosciuto dei ragazzi miei coetanei che mi hanno raccontato quanto fosse pericoloso dire di essere ebrei a Istanbul; soprattutto dopo l’ultimo attentato del 2003 dove, tra l’altro, uno di loro era presente.

 

Il viaggio in solitaria ha i suoi privilegi e uno di questi è che si approfondiscono delle conversazioni che normalmente in compagnia di altre persone non avresti. Per esempio, una volontaria del museo mi spiegava che Neve Shalom vorrebbe accelerare le ricerche e ricostruire i danni degli attentati subiti, ma avrebbero bisogno di fondi e di persone. Ci sono anche i lati negativi, ovvero che tante volte vorresti condividere quel momento o esperienza con qualcuno, ma è stato consolatorio essere accolti dagli ebrei turchi del tempio di Sisli, dove ho potuto recitare dei tehillim e condividere la mia preghiera con una giovane donna turca.

La Turchia è un paese ricco di storia ebraica importante da conoscere; solo ripercorrendo il passato possiamo capire chi siamo.

Solo sapendo chi siamo possiamo vivere in pace mantenendo dei seri e sani valori ebraici.