Una storia chassidica

Spettacolo

E’ uscito da poco in Israele e negli Stati Uniti – ed è stato subito successo – un film girato da un regista laico, Gidi Dar, con attori scelti in una delle più rigide comunità ortodosse.

Si intitola “Ushpizin” e racconta la storia di una povera coppia senza figli ardentemente devota, Moshe e Malli, che attendono un miracolo durante la festa di Sukkot (il film è stato presentato appunto in questa occasione).
Stanno seduti nella sukka quando due malviventi matricolati compaiono alla porta e loro li accolgono come ospiti graditi – ushpizin è infatti l’antico termine aramaico per ospite – e li vedono come i messi che Dio gli ha mandato per mettere alla prova la loro fede: loro credono nel mondo di Dio, nelle preghiere che sono esaudite con i miracoli.

Il film è ambientato in una comunità ortodossa di Gerusalemme e risponde all’esigenza del regista di ricollegarsi con il suo passato perduto, come se volesse gettare un ponte per colmare la frattura con le antiche origini. Secondo le parole di Dar infatti, i laici come lui hanno sempre provato per l’universo ortodosso qualcosa che si avvicina al disprezzo: quei cappelli di pelo e i riccioli alle tempie contrastavano con l’immagine forte e pionieristica del nascente Stato sionista.
Con i decenni l’ostilità è aumentata fino a trasformarsi in tensione reciproca, sfociata in questioni come il servizio militare (che i chassidim non sono tenuti a prestare): in Israele, lui dice, tutto è bianco o nero, tutti sono contro tutti: arabi contro ebrei, sefarditi contro aschenaziti, sinistra contro destra, ma la frattura più profonda è fra laici e chassidici.

Perché allora non costruire un ponte, si è detto il regista, perché non cercare di avvicinare i due mondi? La lampadina si è accesa quando un amico e collaboratore, Shuli Rand, dopo un risveglio religioso aveva appeso al chiodo il mantello dell’attore ed era passato a una vita di preghiera e di studio in seno a una rigida comunità ortodossa in Israele.
Perché allora non fare un film a casa vostra, con le vostre regole, nel vostro mondo? “Ushpizin non è ciò che penso del mondo chassidico”, dice Dar, “è ciò che vedo.”

Il problema sorse quando si trattò di trovare l’attrice, dato che i chassidim non possono guardare in faccia una donna che non sia la moglie.
Allora il regista pensò di rivolgersi alla moglie dell’amico, anch’essa una nuova adepta che non aveva esperienza alcuna di recitazione. Gli altri interpreti erano tutti ex-attori provenienti dalla comunità chassidica, mentre solo il ruolo dei due banditi era coperto da attori professionisti.

Il film è stato un successo; Rand, che ha sostenuto il ruolo del protagonista, ha ottenuto un premio prestigioso e raccolto favorevoli recensioni.

C’è stata una specie di conversione anche da parte del regista Dar, che si è chiesto come mai la sua formazione e il suo background laico avessero potuto ignorare così a lungo tutti quei secoli di cultura ebraica che ne aveva caratterizzato la storia.
Nel mezzo della sua carriera artistica il regista ha capito che la sua visione dei “religiosi” stava cambiando e ha deciso non di parlare “di loro”, ma di “essere loro”. “Il più interessante risultato artistico e politico sarebbe quello di condurre il mio pubblico lungo un percorso che lo porti a confrontarsi con un mondo che non conosce e lo costringa a identificarsi – potere del cinema! – con qualcosa che lui di solito odia o da cui si sente estraneo”.