Ma esiste un Dna ebraico?

Salute

di Roberto Zadik

Gli ebrei sono i fedeli ad una religione ma al tempo stesso sono un popolo e troppa gente ancora oggi pensa che caratteristiche fisiche, come il “naso ebraico”, o caratteriali (furbizia, avarizia, umorismo, avidità e tirchieria, per citare le più famose) contraddistinguano gli appartenenti alla fede mosaica. Sono idee pericolose  e insensate ma, nonostante la loro totale assurdità, attualmente la scienza si interroga sulla possibile esistenza di un “Dna ebraico”. Ma in che senso? Da cosa deriva e quali elementi lo caratterizzano?  Di questo stimolante argomento, sospeso fra scienza, identità religiosa – culturale e stereotipo, si è parlato nella serata di Kesher intitolata “Dna ebraico?” organizzata da Paola Hazan Boccia e da Rav Roberto Della Rocca, che ha curato l’introduzione.

Relatori dell’incontro, che si è tenuto alla Residenza Arzaga in una sala affollata, Gianfranco Di Segni, biologo e coordinatore del collegio rabbinico e la giornalista scientifica Daniela Ovadia. Prima di lasciare la parola agli ospiti, Rav Della Rocca ha specificato che “l’ebraismo non è una questione di sangue e di geni ma di fede e di osservanza delle mitzvot e dei precetti, come nel caso della storia di Ruth, che si legge nella festa di Shavuot: una donna moabita, figlia di idolatri, che per amore si converte all’ebraismo e dalla cui stirpe discende il futuro maschiach”.  Nella sua introduzione il Rav ha sottolineato che “non essendo una questione di origini, i nostri maestri dicono che non c’è ebreo più vicino di un lontano che si avvicina e non esiste nessuno più lontano di un ebreo vicino che si allontana”.

Ma il Dna ebraico esiste o no? Entrando nel vivo della discussione, lo studioso Gianfranco Di Segni ha detto che “sebbene non ci siano risposte certe e definitive, qualcosa di vero c’è e questo è attribuibile alle esperienze e alle migrazioni comuni al popolo ebraico e nello specifico agli ebrei ashkenaziti o sefarditi. Nel Dna, molto importante è lo stile di vita dei singoli e storicamente gli ashkenaziti si sposavano fra di loro, mentre i sefardim si mescolavano con la società circostante”. Interessante anche la questione dei Kohanim che, a quanto risulta da uno studio canadese compiuto 15 anni fa, presenterebbero caratteristiche comuni fra di loro, appartenendo ad alcune specifiche famiglie. Secondo lo studio, esse discendono da Aaron o da chi per lui, il nome non è contenuto da nessuna parte, ma fra questi ceppi ci sono caratteri comuni che ad esempio non vengono riscontrati nei Levi, visto che a differenza dei Kohanim si potevano sposare anche fuori dalla loro cerchia”.

Durante la loro spiegazione, i due studiosi hanno sintetizzato la struttura del Dna, formata da nucleociti e mitocondri, e le differenze fra uomini e donne: i due sessi si differenziano fra loro perché nel maschio è presente la coppia cromosomica XY mentre nella femmina quella  XX. “Non voglio fare una lezione di biologia – ha scherzato Di Segni  – ma è importante specificare che il Dna è diverso per ogni individuo e fra esseri umani ognuno di noi ha il suo. Per questo siamo tutti diversi uno dall’altro”. Questo smonta almeno in buona parte  teorie razziali e a volte anche razziste che in passato, celebri le tremende classificazioni del conte De Gobineau,  differenziavano notevolmente gli ebrei  o altre minoranze dal resto della popolazione e che attribuivano tratti somatici comuni alle popolazioni africane o asiatiche. “Il discorso è molto complesso – ha specificato Daniela Ovadia, mostrando alcune slide con le foto di alcuni volti che  – sembrano africani o orientali ma vengono da altre parti del mondo. È più corretto parlare di etnie che di razze – ha sottolineato Daniela Ovadia  – non si può generalizzare sulle razze perché gli esseri umani hanno la maggioranza dei geni in comune fra di loro, a parte piccole percentuali che cambiano a seconda dei continenti di nascita, ma l’81 percento dei geni nel Dna sono uguali ”.

Cos’è successo alla specie umana e come sono nate le tre grandi tipologie ebraiche, ashkenaziti, sefarditi e italiani? “La stirpe umana è nata in Africa circa 70 mila anni fa e poi si è spostata in Medio Oriente”  ha spiegato Daniela Ovadia. Da Israele, gli ebrei si sono spostati nei vari continenti.  “A cominciare dagli Ashkenaziti, sulle cui origini – sottolinea la Ovadia – sono state formulate  due ipotesi da parte degli studiosi. La prima è che derivino dalla popolazione dei Kazari, una popolazione originaria dello Stato dell’ex Urss, Kazhakistan, il cui re e sudditi si convertirono in massa; mentre un’altra spiegazione è che fossero arrivati in Italia in tempi remoti e che da lì alcuni di loro partirono alla volta dell’Europa Centrale e Orientale, mentre gli ebrei italiani restarono nella nostra Penisola”.

In merito ai sefarditi, le loro origini sono più lineari perché, dopo il 1492 e la famosa cacciata dalla Spagna, essi emigrarono in Medio Oriente e in Nordafrica. I due studiosi hanno approfondito alcune caratteristiche importanti: ad esempio, alcuni disturbi fisici o malattie tipiche degli ashkenaziti, tra i quali era diffusa la endogamia, il matrimonio cioè tra consanguinei, anche fra cugini, e che a causa delle persecuzioni  non avevano frequentazioni col mondo esterno. Per questo le popolazioni ebraiche dell’Europa Orientale e ora negli Stati Uniti accusano in alcuni casi episodi di ritardo mentale, di depressione e di follia e la malattia di Tay Sachs, una rara patologia molto rischiosa che fortuntamente in America si può prevenire facendo appositi controlli medici prima del parto.

Mentre i sefarditi avevano tutte malattie comuni ai popoli del Mediterraneo, come anemia e altri disturbi simili, gli ebrei persiani, in molti casi, presentavano l’assenza di un enzima  perché, come ha specificato Daniela Ovadia “questi problemi di salute non derivano specificamente dal Dna ma dal modo di vivere di alcune popolazioni, anche indipendentemente dalla loro religione”.

Alla fine della serata tante domande da parte del pubblico in sala e l’introduzione da parte di Rav Della Rocca delle prossime iniziative di Kesher,  come la serata del prossimo 10 giugno, dove verrà presentato il libro di Arturo Massaro sull’attentato alla sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982, quando perse la vita il piccolo Stefano Tachè. L’incontro chiuderà la stagione di Kesher, fino al prossimo autunno.