Questa lunga, bollente estate di ansia e pena

Salute

di Luciano Assin

È stupefacente e demoralizzante al tempo stesso il comportamento della leadership israeliana e palestinese in un momento di crisi così grave come quello attuale. Come in un grottesco gioco delle parti ciò che andava condannato dai palestinesi durante i 18 lunghi ed estenuanti giorni della scomparsa di Ghilad, Naftali ed Eyal andrebbe condannato anche dal governo israeliano e soprattutto da tutta la leadership religiosa, cosa che sfortunatamente non avviene in maniera omogenea e compatta. Anche se la polizia ed i servizi segreti continuano a considerare aperte tutte le opzioni il danno è già stato fatto. Qualsiasi altra spiegazione che non sia il coinvolgimento diretto di coloni ebrei nell’efferato assassinio di Mohammed Abu Khmer non sarà mai preso in considerazione dai palestinesi, ed in effetti il tempismo del crimine avvenuto meno di dodici ore dopo i funerali dei tre ragazzi lascia poco spazio alle alternative. Come una pentola a pressione aperta senza aver prima scaricato la valvola, le tensioni e le frustrazioni dei giorni susseguiti al rapimento sono esplose in modo dirompente e inaspettato. A più di sessant’anni dalla fondazione d’Israele il suo tessuto sociale non è mai stato così vicino ad uno strappo profondo e irreparabile come quello che sta accadendo adesso. Le due componenti della società sono tornate alle più ataviche posizioni conflittuali: noi contro voi. La nostra narrativa (giusta), la nostra storia e le nostre ragioni contro le vostre (sbagliate). Ogni spazio al compromesso è ridotto ai minimi termini. Quello che non è riuscito a fare la primavera araba lo farà forse la lunga estate israeliana. Gli sprazzi di luce in un momento così difficile sono pochi e per questo molto significativi. La pacatezza e la coerenza con le quali Rachel Frenkel, la madre di Naftali, ha condannato l’assassinio di Mohammed: “Un omicidio è un omicidio” ha detto “non c’è differenza fra sangue e sangue”. Anche la scelta del ministro Yair Lapid di pronunciare l’elogio funebre da parte del governo assume un particolare significato. Lapid oltre a essere laico è anche l’attuale ministro del tesoro, poco incline a distribuire finanziamenti governativi agli insediamenti dei territori. Preferire una figura del genere al ministro Bennet, leader politico delle forze nazional religiose può assumere almeno due significati. Da una parte convalidare l’assassinio dei tre ragazzi come un avvenimento che coinvolge tutto il Paese e dall’altra fare da megafono a delle voci di buon senso, lontane dall’attivismo politico e dalle  roboanti dichiarazioni di Bennet.
I disordini in corso all’interno del territorio israeliano sono quasi paragonabili a quelli scoppiati nei primi giorni dell’ottobre 2000, che costarono la vita a tredici cittadini arabo israeliani. Le partite del mondiale e l’atmosfera d’inizio estate riescono ancora a smorzare e attutire la gravità del momento, ma al di là di qualsiasi retorica politica questo è il momento della verità prima di tutto per la leadership israeliana, il ritorno alla calma passa per forza attraverso il dialogo delle forze in campo e la reale volontà di comprendere le esigenze della controparte.
Quarantott’ore prima del funerale di Ghilad, Naftali ed Eyal si era svolto a Tel Aviv un concerto musicale di solidarietà alle famiglie. Alla fine del concerto si erano creati spontaneamente cerchi di ragazzi intenti a cantare canzoni di preghiera. La stessa cosa è avvenuta a funerale concluso nel cimitero di Modi’in. A quasi vent’anni dall’omicidio Rabin sta nascendo una nuova “generazione delle candele”, più religiosa ma non per questo meno genuina. Gli avvenimenti di questi ultimi giorni sono il loro primo ed impegnativo esame: trasformare la rabbia, la frustrazione ed il lutto in qualcosa che riesca a coinvolgere il più possibile tutta la società israeliana, e non solo quella ebraica. Andare nella direzione opposta e cercare la vendetta indiscriminata non solo è politicamente controproducente e nocivo, ma soprattutto è contrario a qualsiasi morale ed etica ebraica. Almeno così come conosco io l’ebraismo…