di Nathan Greppi
Gli inizi eroici con la FGEI. La svolta del 1961. La volontà di assemblare le memorie e di raccogliere quanti più documenti e voci possibili. E poi: compattare le testimonianze e farne Storia, ricostruendo la Shoah in Italia e la Resistenza ebraica. Dalle valigie sotto il letto di Robi Bassi a Venezia fino allo spazio milanese di oggi al Memoriale del Binario 21
Entrando nei loro uffici all’interno dei locali del Memoriale della Shoah di Milano, è difficile immaginare che il Binario 21 sia stato ad oggi solo l’ultima fermata di un percorso molto più lungo, che da Venezia li ha portati nel capoluogo lombardo. Un percorso non solo geografico, ma anche culturale, che nel corso dei decenni ha portato il CDEC e i suoi creatori e studiosi ad evolversi e ad ampliare la propria struttura e le proprie competenze. Un traguardo importante quello raggiunto dalla Fondazione CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), che quest’anno compie il 70° anniversario dalla nascita, avvenuta nel 1955 ad opera della FGEI (Federazione Giovanile Ebraica d’Italia, ribattezzata UGEI nel 1995).
L’idea delle origini
«L’idea di creare il CDEC nasce nel maggio 1952, nel quadro di una FGEI che cerca delle strategie per rafforzare i propri pilastri ideologici e dare spazio alla sua aspirazione educativa», spiega a Bet Magazine la storica Sara Buda, già ricercatrice presso il CDEC e oggi presso l’Istituto Nazionale Ferruccio Parri. «Il progetto pubblicato su Ha-Tikwà, infatti, mirava a sollecitare il coinvolgimento dei giovani della FGEI attraverso un’iniziativa e una tematica ad essi cara, ovvero il contributo ebraico alla lotta di Liberazione. La data del 1952 non è casuale e parla del recupero della memoria della Resistenza quale strumento politico per contrastare due principali minacce: in Italia, lo spostamento a destra, con la DC che aveva sdoganato l’MSI e all’estero la proposta di riarmo della Germania nel quadro della Guerra Fredda».
All’interno della FGEI, vi era una fazione molto politicizzata. «Tra questi ragazzi, c’era Sergio Liberovici, giovane musicologo torinese che sarebbe diventato una figura importante del panorama musicale italiano. Aveva partecipato alla Resistenza, e tramite questa esperienza si avvicinò al Partito Comunista Italiano».
Alla luce di questi fatti, nel 1952 Liberovici pubblicò sulla rivista della FGEI Ha-Tikwà un articolo in cui proponeva «di creare una rubrica dedicata ad alcuni temi storici, tra cui la partecipazione ebraica all’interno della Resistenza. In seguito, l’idea si è ingrandita, arrivando a pensare di costituire un archivio permanente della resistenza ebraica». Dopo il via libera della FGEI, «Liberovici iniziò a raccogliere documenti, incontrando personaggi che avevano avuto un ruolo importante per l’ebraismo italiano durante la Seconda Guerra Mondiale, come ad esempio Israel Kalk».
«La FGEI è nata nel 1948 come una struttura federativa, non come un movimento, e per questo ha saputo raggruppare sotto un unico tetto tutti i giovani dei circoli ebraici sparsi per l’Italia, a qualsiasi indirizzo ideologico appartenessero», racconta Sergio Terracina, che tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 è stato attivo nella FGEI e redattore di Ha-Tikwà, e oggi dirige il bimestrale ebraico torinese Ha Keillah. «Questo pluralismo ideologico portava anche a discussioni molto accese, in particolare tra chi vedeva nella FGEI un movimento con una valenza politica e chi, invece, era impegnato a sostenere l’ideale sionista».
Una ulteriore svolta nel progetto del CDEC avvenne durante «l’incontro con l’UCII, come si chiamava all’epoca l’UCEI, che fin dal 1945 mirava a pubblicare una ricostruzione della vicenda ebraica italiana durante il fascismo – afferma Sara Buda. – L’avvicinamento tra le due iniziative generò acuti contrasti, perché i giovani della FGEI portavano avanti una forte polemica contro l’Unione e in particolare la sua difficoltà a riadattarsi al nuovo assetto e alle nuove necessità del dopoguerra». Questi contrasti portarono alla rottura, nel 1954, tra Liberovici e la FGEI, come si legge nella relazione in cui spiega perché, secondo lui, l’iniziativa fosse naufragata.
Nascita e sviluppi
Nonostante Liberovici se ne fosse andato, racconta Buda, «alla fine del ’54 l’idea venne ripresa e affidata a Roberto Bassi (scomparso di recente, ndr)», che avviò in maniera ufficiale la creazione del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – Sezione Italiana, che vide la luce a Venezia il 25 aprile 1955, a dieci anni esatti dalla Liberazione. Il nome è dovuto al fatto che «esso volle porsi in diretta continuità con le iniziative simili emerse in Europa, negli Stati Uniti e in Israele, e con una in particolare: il Centre de Documentation Juif Contemporaine di Parigi, da cui ha poi preso vita l’attuale Mémorial de la Shoah francese».
Come ricorda Sergio Terracina, «secondo il suo primo Statuto, lo scopo del CDEC doveva essere la ricerca e l’archiviazione di documenti di ogni tipo, riguardanti le persecuzioni antisemite in Italia e il contributo ebraico alla Resistenza, nonché la loro divulgazione». Aggiunge che «sotto la direzione di Bassi, il CDEC acquisì la documentazione raccolta dal colonnello Massimo Adolfo Vitale, sugli ebrei italiani e stranieri deportati dall’Italia».
Man mano che l’archivio si ingrandiva e si arricchiva di nuovi documenti, e che Bassi estendeva la propria rete di collaboratori a livello nazionale, «il materiale raccolto non ci stava più nelle valigie che Robi Bassi teneva nella sua stanza in affitto. Bassi così chiede e ottiene dalla Comunità Ebraica di Venezia una piccola stanza nei suoi uffici per costruire un vero e proprio archivio», racconta Sara Buda.
Secondo Terracina, un anno spartiacque fu il 1961, per diversi motivi: «Nel ’61, ci fu la pubblicazione del libro Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo di Renzo De Felice, il più grosso lavoro di divulgazione e di presa di coscienza su quei fatti. Inoltre, nel ’61 ci fu un evento molto importante, la cattura e il processo di Adolf Eichmann, che segnò una cesura sulla divulgazione riguardo agli anni terribili della guerra. Il CDEC svolse un ruolo importante in tal senso, prima in modo volontaristico e poi in maniera più strutturata, in particolare grazie a Il Libro della Memoria scritto da Liliana Picciotto nel 1991 dopo un lavoro decennale di ricerca e raccolta delle testimonianze». Per facilitarne la gestione, nei primi anni ‘60 l’archivio viene trasferito a Milano: secondo Sara Buda, «Inizialmente nei vecchi spazi della Comunità, che all’epoca erano in Via Unione, e successivamente nella sede di Via Eupili. Fa da sfondo a questo e a future decisioni, il tentativo di evitare che l’archivio venisse trasferito a Roma, dove l’UCII sperava di aver maggiore controllo». In Via Eupili, il CDEC è rimasto per circa sessant’anni fino al 2022, quando si è trasferito nei locali del Memoriale della Shoah sotto la Stazione Centrale di Milano.
La situazione oggi
Sara Buda spiega che quello a cui si è assistito è «una progressiva professionalizzazione delle figure che vi hanno lavorato, delle metodologie e delle tecnologie messe in campo». Un altro aspetto degno di nota è che il Centro è riuscito a «farsi precursore e promotore di temi che per molto tempo sono rimasti fuori dal dibattito scientifico, portando avanti, in tempi e modi diversi, due filoni cardine della sua identità: Resistenza ebraica e Deportazione».
Forse Liberovici sarebbe stato felice di sapere che oggi, grazie al lavoro della storica Liliana Picciotto, le ricerche da lui auspicate sulla partecipazione ebraica alla lotta partigiana sono confluite in una vasta ricerca, disponibile a tutti grazie alla digitalizzazione. I mezzi di comunicazione cambiano, ma le idee – quando sono valide e importanti, sopravvivono nel tempo.