Steinberg, un genio a Milano

di V. R. Bendaud

Sull’ultimo numero di Quest, la rivista digitale della Fondazione CDEC (www. quest-cdejournal.it) è uscito un interessante articolo dedicato a Saul Steinberg, il geniale e celeberrimo disegnatore americano, noto al grande pubblico soprattutto  per alcune delle sue memorabili copertine del New Yorker (come dimenticare la sua famosa “A View of the World from 9th Avenue”?). Autore del saggio è Mario Tedeschini Lalli, giornalista, pendolare fra Usa e Italia, da qualche anno alle prese con Steinberg e gli archivi della Fondazione omonima di New York che a Quest ha concesso l’utilizzo di preziose immagini e disegni realizzati da Steinberg durante gli anni della sua permanenza in Italia.

Pochi sanno infatti che il più famoso tra gli illustratori americani visse e lavorò in Italia per quasi dieci anni. Arrivato nel 1933, si stabilì a Milano prima di essere internato nel campo di Ferramonti di Tarsia, in Calabria. Nel saggio di Tedeschini Lalli si ricostruiscono nel dettaglio momenti, amicizie, amori, lavoro fino al 1940.

Nato a Ramnicu Sarat, in Romania, nel 1914 e morto a New York nel 1999, è considerato universalmente uno dei cartoonist più importanti del XX secolo, nonché uno dei grandi artisti Usa contemporanei. Uomo di straordinaria e debordante immaginazione, Steinberg fu il vero ambasciatore dell’arte statunitense nel mondo. Il periodo italiano lasciò un segno importante nella sua vita creando legami con artisti e intellettuali italiani, in primis Aldo Buzzi. Ne parliamo con Mario Tedeschini Lalli, grande esperto di Steinberg, autore di Fuga d’artista. L’internamento di Saul Steinberg in Italia attraverso il suo diario e i suoi disegni, saggio in cui per la prima volta viene pubblicato parte del diario del celebre graphic-designer, assieme a molti disegni inediti.

“Per seguire le proprie ambizioni artistiche, Steinberg voleva studiare Architettura; ma nel dilagante antisemitismo della Bucarest di quegli anni era cosa impossibile e per questo, alla fine del ’33, arriva al Politecnico di Milano dove passa tre anni di penuria studentesca. Ma è nel 1936, con l’inizio della collaborazione al giornale satirico milanese Bertoldo, che la sua vita cambia: ha denaro, frequenta ambienti divertenti e intellettualmente stimolanti e diventa famoso.

Purtroppo nel ’38 le Leggi razziali lo privarono di tutto questo”, racconta Tedeschini Lalli, e continua: “furono anni importanti, certamente un’esperienza definitoria. Si ritrovò poi, nel ‘38, improvvisamente ‘tradito’ dalla ‘cara Italia, che diventò Rumania, patria infernale’. Steinberg non parlava volentieri di quegli anni, e in seguito rifiutò qualunque pubblicazione in proposito. Adduceva ragioni artistiche (non voleva essere schiacciato sulle ‘barzellette’ di Bertoldo), ma io sospetto che avesse almeno in parte a che fare anche con la difficoltà di spiegare in contesti storici e culturali differenti come un giovane artista ebreo potesse essersi considerato realizzato nell’Italia fascista degli anni ’30. Viveva ‘come in un vuoto’ politico -ammetterà negli anni ’60 in un’intervista finora inedita-, mentre ‘c’erano altri che videro meglio’ di lui quanto stava succedendo. L’estromissione dalla professione, i tentativi drammatici di lasciare l’Italia, l’internamento, lasciarono cicatrici profonde. Nel dopoguerra andò a Norimberga come inviato del New Yorker per i processi ai gerarchi nazisti ma nei suoi taccuini si trovano solo due piccoli schizzi”.

I rapporti di Steinberg con la Comunità Ebraica Milanese? “Non ci sono notizie prima del ’38-‘39. All’inizio frequentava un gruppo di studenti ebrei romeni, mentre dopo il ’36 uscì con gli amici e compagni del Bertoldo e tutta la Milano artistica. Ma le Leggi razziali cambiano anche questo. Impossibilitato a lavorare per i giornali, nei mesi tragici del 1940-41, fu aiutato da altri ebrei. Ad esempio la famiglia Coen Sacerdotti, per la quale dipinse una tavola destinata a una casa al mare, grazie all’architetto Vito Latis. Nelle pratiche per lasciare l’Italia fu certo aiutato dalla Delasem, l’organizzazione ebraica che si occupava dei profughi. Nel suo diario, inoltre, parla del timore di essere internato nel campo di Ferramonti”.

La sua coscienza ebraica? “Immagino sia stata tentata dall’assimilazione, specie negli anni precedenti le Leggi razziali, quando si faceva chiamare Paolo invece che Saul. Quanto alla creatività, non saprei dire: l’elemento ebraico in Steinberg è ancora tutto da indagare”.