Uccidere il maestro

di Francesca Olga Hasbani

Eros e senso del sacro. Parliamo di Roee Rosen, artista, regista, scrittore israeliano che con le sue opere flirta con la provocazione intellettuale spesso assumendo posizioni moralmente ambigue e punti di vista paradossali. Le dinamiche storico-sociali percorrono le sue opere intrise di ironia e di una feroce critica alla contemporaneità. The Death of Cattelan. A Story in Stereo, in mostra fino al 28 gennaio 2012 alla galleria Riccardo Crespi di Milano, rappresenta l’esito più recente di una produzione artistica che negli ultimi vent’anni ha esplorato liberamente scrittura, disegno, pittura, fotografia e cinema, dando vita a una grande varietà di opere e a un certo eclettismo. Con una serie di collage a tecnica mista, Rosen costringe l’osservatore a decodificare una narrazione. Il messaggio nascosto riguarda la fittizia morte dell’artista superstar Maurizio Cattelan. L’aspetto visivo dell’opera è saturato di illustrazioni proprie dei codici miniati medioevali, dei libri per bambini e di motivi erotici, ma anche di scarabocchi ossessivi di una mente cospiratoria che sospetta un possibile intrigo dietro le misteriose circostanze della tragedia. Ma perché scegliere proprio Cattelan per esplorare la dimensione della morte? “Apprezzo Cattelan come artista. La mia opera non è una critica nei suoi confronti. Siamo due artisti molto diversi, sia per tecnica che per ideologia. Entrambi però, abbiamo in comune il desiderio di portare l’osservatore a riflettere sui problemi della società in cui viviamo”. Nell’opera di Rosen molti sono i motivi ricorrenti e la convinzione che ironia, humour e provocazione possono essere caricati di un vero e proprio potenziale politico, idea che lo ha portato in diverse occasioni ad essere al centro di polemiche pubbliche. È il caso della sua mostra Live and Die as Eva Braun [1997], dove ha utilizzato la figura di Adolf Hitler. Perché esporre una figura storica la cui memoria è ancora sensibile per molti? In nome della dissacrazione si può davvero fare tutto? “Il mio lavoro può essere considerato scandaloso. Hitler ed Eva Braun sono personaggi che ancora suscitano rabbia e orrore. Io non intendo né offendere né dissacrare. Moralmente l’arte è sempre sottoposta a una serie di problematiche che nascono dalla collocazione dell’opera. Un nudo creerebbe scandalo se fosse posto in una chiesa, ma non è lo stesso in un museo. Ho cercato di denunciare l’importanza dell’Olocausto, non di strumentalizzarlo come spesso si è fatto. Io pongo all’osservatore le domande sul bene e sul male. Sulla loro contrapposizione e quella paradossale incapacità per  chiunque di definirne il sottile limite”.

Un’arte di denuncia, la sua? Quali i temi che le stanno più a cuore?
“Le due polarità di realtà e finzione, innocenza e colpa, vittime e carnefici. E una riflessione provocatoria sulla natura dell’identità ebraica e sulle ideologie che corrono sotto l’attuale politica israeliana. Per far riflettere a volte sono necessarie immagini forti. Ho cercato di attingere a una vasta serie di fonti: dai drammi di Shakespeare, alle agiografie cristiane, agli emblemi nazisti, al surrealismo, fino alle Confessione di Sant’Agostino, ai B movies, alle osservazione sull’umorismo di Freud”.