“Siamo così lontani…”

di Laura Brazzo

Hania Selinger Balitzer con i figli Hasiu e Lala. Hania, sorella di Menachem Mendel Selinger, fu deportata e uccisa a Belzec insieme ai due figli.

“Wir sind so weit”, siamo così lontani, c’era scritto sulla cartolina che Hania gettò dal treno che la stava trasportando dal ghetto di Bochnia, in Polonia, al campo di Belzec. E “Wir sind so Weit” è anche il titolo con il quale la prossima primavera uscirà il diario del del fratello di Hania, Menachem Mendel Selinger. Un diario di dimensioni quasi monumentali – sei libri, scritti tutti in tedesco, e con molte foto d’epoca –  nel quale Selinger racconta e ricostruisce eventi, pensieri, riflessioni degli anni che vanno dallo scoppio della guerra nel 1939 fino alla sua conclusione nel 1945.

A curare la pubblicazione di queste 800 pagine di diario è la nipote di Menachem Selinger, Tania Beilin, che ci ha fatto leggere in anteprima una parte dell’introduzione che accompagna i tre volumi in uscita per le edizioni Il Faggio.
Menachem, ci racconta Tania, cominciò a scrivere nel 1944, poco dopo essere riuscito a fuggire da Bochnia, e aver trovato rifugio in Ungheria. In una Budapest ancora libera, Menachem ripensa e scrive tutto ciò che ha visto e vissuto dallo scoppio della guerra in poi: racconta della fuga da Cracovia, degli anni trascorsi nel ghetto, del suo incarico presso il servizio d’ordine. E racconta tutto con estrema precisione, con dovizia di particolari, ci spiega Tania Beilin: “cita nomi, date, luoghi e fatti nei dettagli, al punto che è stato necessario preparare non solo una cronologia,  ma anche un indice dei nomi, proprio per aiutare il lettore a districarsi in un racconto, che, per come è strutturato, fatto di continui sbalzi fra passato e presente, è piuttosto complesso”.
Menachem era dotato di uno straordinario spirito d’osservazione – e senza dubbio di una prodigiosa memoria. In questa sua attenzione ed osservazione costante per ciò che gli accadeva attorno, Menachem, si legge nell’introduzione, “non vedeva solo la sventura sua e della sua famiglia, ma anche la disperazione dell’intera società ebraica in seno alla quale viveva”. “La terribile sistematicità dei tedeschi fece sì che le singole fasi dei loro crimini di massa fossero sempre uguali in tutti i ghetti polacchi, così che i racconti che ci fornisce acquistano una valenza universale”.

Tra il 1944 e il 1945 Menachem smette la fase del ricordo per scrivere l’esperienza di ogni giorno – le vicende, i pensieri, le riflessioni sulla tragedia in atto, che egli vive giorno per giorno da sopravvissuto. Scrive dell’arrivo dei tedeschi a Budapest, della necessità, di nuovo, di fuggire, dopo l’Ungheria invasa dai nazisti, verso la Romania; della due figlie che nel 1945 emigrano finalmente in Palestina verso la salvezza, mentre lui e la moglie si stabiliscono a Bruxelles.
Ed è proprio a Bruxelles che Menachem riprende in mano i suoi diari, che li sistema, in un lavoro quasi ossessivo. La morte improvvisa e prematura di Menachem, nel 1956, ha fatto sì che quei diari rimanessero per tanti anni ricordo privato delle due figlie e dei nipoti di Menachem. Oggi dopo quasi settant’anni quei sei libri che custodiscono la storia personale della famiglia Selinger e quella collettiva dell’ebraismo polacco ed europeo, giungono al destino per cui forse furono composti: essere letti, dal più ampio numero di persone, perchè non si dimentichi, nemmeno per un momento, cosa è stata la guerra, cosa è stata la Shoah per milioni di ebrei d’Europa. Perchè quell’espressione, “Wir sind so Weit”, che così spesso ricorre nelle pagine scritte da Menachem, non debba più essere ripetuta.