“La farfalla impazzita”

Giulia Spizzichino oggi ha 86 anni; ne aveva solo 11 quando nel 1938 fu cacciata da scuola a causa delle leggi razziali, e 17 quando sette uomini della famiglia di sua madre furono trucidati alle Fosse Ardeatine, nel marzo del 1944: lo zio Angelo, il nonno Mosè, suo figlio Pacifico e i tre figli maggiori di quest’ultimo, Franco, Marco e Santoro. “È una cosa che ha colpito tutto il mondo, tre generazioni scomparse in un giorno solo”.
Altri 9 suoi famigliari furono deportati e uccisi ad Auschwitz.

La sua storia di ragazzina e di donna adulta che attraversa la Shoah e tutto il resto del Novecento fino ai giorni nostri è raccontata ora in un libro dal titolo “La farfalla impazzita. Dalle Fosse Ardeatine al processo Priebke” scritto a quattro mani con Roberto Riccardi (Giuntina, 2013).

Come spiega la stessa Spizzichino a Maria Tatsos nell’intervista pubblicata su Elle.it, fu l’amico Stefano Persiani a darle quel soprannome, “farfalla impazzita”. “mi  sono ritrovata in questa definizione – dice. “Dopo la tragedia che ho vissuto, ho volato e volato senza sapere cosa cercare”.
In realtà cosa cercare, lo ha avuto sempre ben chiaro: giustizia. Giustizia per la sua famiglia sterminata fra le Fosse Ardeatine ed Auschwitz; giustizia per tutti coloro che morirono per mano nazista per il solo fatto di essere ebrei.
Una ricerca che l’ha portata ad essere una testimone chiave del processo contro Erich Priebke.  “Dopo la morte di mia madre – spiega – ho sentito il dovere di essere testimone. Non c’era in me desiderio di vendetta, ma di giustizia. Quando ho saputo che Erich Priebke viveva tranquillo in Argentina, sono partita e ho fatto di tutto perché fosse processato. Ho partecipato a incontri, trasmissioni televisive. Ho incontrato ambasciatori, vescovi. Credo che Priebke sia stato costretto a lasciare l’Argentina nel 1995 anche per il lavoro che ho svolto, raccontando la mia storia”.
Giulia Spizzichino ha preso parte a tutte le fasi del processo Priebke, che hanno visto l’ex ufficiale nazista prima assolto, nel 1996, e poi nel 1998 condannato all’ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine.
“Oggi ho un compito che non mi aspettavo”, scrive Giulia Spizzichino, “quello di testimoniare. Devo raccontare ciò che è stato, non può cadere tutto nell’oblio”. Ed è da questa necessità, di trasmettere ai più giovani quell’esperienza terribile vissuta in prima persona che l’ha spinta a scrivere questo libro. Il racconto, poi, delle vicende che la portarono a testimoniare al processo Priebke; la sua battaglia per la condanna di colui che sterminò 335 civili alle Fosse Ardeatine, è il segno più evidente di come il “sipario” sulla Shoah non si sia chiuso con l’apertura dei cancelli di Auschwitz, di come quella ferita, a distanza di 70 anni, sia ancora aperta e dolorosa.