Amos Oz e il tormentato rapporto col mondo tedesco

L’ultima opera di Amos Oz, Le pendici del vulcano, consta di tre saggi scritti in occasione della consegna dei premi letterari ricevuti in Germania.

Il primo quando gli fu conferito il Premio Die Welt, il giornale conservatore tedesco, nel 2004; poi a Berlino, per il 40° anniversario delle relazioni diplomatiche fra Israele e Germania, e infine quando ricevette il prestigioso Premio letterario Goethe, nell’agosto scorso. La pubblicazione di questi tre saggi in ebraico chiudono il cerchio attraverso cui i lettori israeliani scoprono quello che Oz insegna al pubblico tedesco e anche quello che loro devono conoscere di se stessi.

Amos Oz è il più apprezzato autore israeliano in Germania, e questo non è cosa da poco in un paese dove gli scrittori israeliani non hanno mai goduto di vasto consenso: per la classe media colta tedesca i libri di Oz sono una lettura obbligata e i suoi articoli e le sue lezioni (Contro il fanatismo ad esempio, lezioni tenute a Stoccarda) sono un’unità di misura morale riguardo ai rapporti fra Germania, ebrei e Israele.

L’argomento che ha turbato lo scrittore per anni è il tormentato rapporto col mondo germanico: come ci si deve rapportare – lui e gli ebrei in Israele e all’estero – con la Germania e la cultura tedesca?

I tre saggi rivelano il dissidio che tormenta lo scrittore che combatte per riconciliare i due estremi: le grevi memorie e il retaggio della Germania nazista e gli obblighi morali del mondo moderno che spinge Israele all’accettazione della realtà di un’”altra Germania”, come la ebbe a definire Ben Gurion.

La sua storia personale è illuminante: da ragazzo, pieno del fervore nazionalistico della sua famiglia e del suo ambiente, aveva giurato a se stesso che mai si sarebbe recato in Germania e che ne avrebbe boicottato i prodotti. Tra l’altro negli anni subito dopo la guerra a Gerusalemme il tedesco era una lingua quasi proibita. Ma poi vennero le riparazioni di guerra, i risarcimenti con gli accordi del ’60-’61 tra Ben Gurion e Adenauer, che tanto sconvolsero l’opinione pubblica da far rischiare quasi la guerra civile. Vi fu poi il processo a Eichmann, che fissò un nuovo modello di giustizia. Seguì la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con la Germania, con l’arrivo nel 1965 del primo ambasciatore tedesco a Gerusalemme.

Infine, nel 1983, vincendo resistenze e dubbi, Oz accettò gli inviti che gli venivano fatti da molti e andò in Germania. Se Oz incarna tutte le contraddizioni e i tormenti e i dissidi dell’anima del suo popolo, questo viaggio con le sue implicazioni, solo vent’anni fa non era poi una cosa così scontata, da intraprendersi a cuor leggero.

Ma tutte queste trasformazioni “esterne” non sono altro che un pallido riflesso della complessità del conflitto interiore, le ferite non sanate, le crescenti pressioni ad accettare la nuova realtà nonostante il desiderio di vendetta nei cuori perennemente piangenti dei sopravvissuti. La sua sensibilità di scrittore si aprì a un altro approccio e a un’altra prospettiva. Cominciò a leggere i classici tedeschi e anche gli scrittori postbellici. I libri non andavano boicottati, disse, perché boicottarli “significava essere un po’ come loro”. Oz leggeva libri tedeschi e i tedeschi traducevano i suoi.

Il primo saggio che dà il titolo al libro parla del ruolo dell’autore in una società assediata dalla tragedia. Ma allora dove si trova questo vulcano? Né in Israele né in Germania, anche se potrebbe essere in entrambi i luoghi. La missione dell’autore è quella di stare ai piedi del vulcano e dare l’allarme contro “l’inquinamento del linguaggio … in ogni situazione in cui un gruppo etnico o religioso o altro è definito come ‘sporco’ o ‘crescita cancerosa’ o ‘minaccia strisciante’”. Messaggio questo rivolto a entrambi gli uditori, tedeschi e israeliani.

E il suo lungo viaggio interiore dal rifiuto all’accettazione non restò senza conseguenze. Letterarie e storiche. Quell’Europa che aveva cacciato gli ebrei che l’amavano, che lui non ha conosciuto ma che fa rivivere attraverso i racconti dei genitori e dei nonni (Storia di amore e di tenebre). E anche storiche, per la grande tolleranza raggiunta. “Non giudicare il tuo simile fin che non sei al suo posto” si dice nelle Massime dei Padri, e Oz con questo tipo di approccio (Cosa avrei fatto in quegli anni al loro posto se fossi stato un ragazzo all’epoca dell’ascesa del nazismo?) affronta il sempre più approfondito esame della Germania. Titolo di un altro saggio Dove vive il demonio?: mettersi nei panni di un altro è secondo Oz un forte antidoto al fanatismo e all’odio.